Lifestyle Di Elena Genero Santoro. Viaggiare con la celiachia può essere talvolta complicato. Qual è la situazione in Italia? E in Europa? Quali ristoranti scegliere? È possibile mangiare davvero senza glutine?
Viaggiare con la celiachia può essere talvolta complicato, per un motivo molto semplice: non si può mangiare ovunque, non si può mettere sotto i denti qualunque cosa quando si ha fame.La celiachia è una malattia infiammatoria permanente dell’intestino tenue, con tratti di autoimmunità, scatenata dall’ingestione di glutine in soggetti geneticamente predisposti.La celiachia non è un’allergia, in genere il celiaco che viene a contatto accidentalmente con il glutine non rischia la vita, ma può stare molto male, con uno spettro di disturbi che va dalla diarrea al malessere generale, con mal di testa, nausea, confusione.
Se la contaminazione, anche minima, persiste, l’intestino si danneggia anche in assenza di altri sintomi e inizia il malassorbimento dei nutrienti, con tutte le conseguenze del caso (ferro basso, carenza di vitamina B, per esempio).
Quindi vanno evitati tutti i cereali che contengono glutine: grano (frumento), orzo, segale, farro, kamut, spelta e tricale.
Facile dunque? Mica tanto.
Perché il glutine è davvero dappertutto.
La situazione in Italia.
Gli italiani celiaci sono l’1%. Ci sono duecentomila diagnosticati, ma dovrebbero essere seicentomila.C’è comunque un’associazione, l’AIC (Associazione Italiana Celiachia) che si occupa di sensibilizzare, di informare, di formare i ristoratori e anche i celiaci. Ogni anno aggiorna il prontuario degli alimenti e la lista dei ristoranti che aderiscono al rigido protocollo per la dieta dei celiaci. In più c’è la app sempre aggiornata con la quale è possibile scansionare il codice a barre degli alimenti nel supermercato per vedere se sono nel prontuario e possono essere assunti.
Perché il vero problema della celiachia non sono il pane, la pasta e la pizza. Quelli sono facili da reperire, nello scaffale dedicato di ogni supermercato.
Il problema sono tutti gli altri alimenti: la carne, i latticini, il pesce, gli affettati, i preparati di ogni genere e specie che ognuno vorrebbe poter mangiare. Il vero problema per i celiaci sono gli alimenti che di per sé non contengono glutine, ma che cucinati con farine, contaminati da grano e similari, processati in stabilimenti che trattano frumento & co., potrebbero contenere glutine in quantità al di sopra di 20 ppm (parti per milione).
L’AIC considera sicuri solo gli alimenti prodotti dalle aziende affiliate e quelli che sulla confezione riportano la spiga barrata o la dicitura “senza glutine”, in qualunque lingua europea.
Secondo il Regolamento Europeo 828/2014, un prodotto con la scritta “senza glutine” è garantito per legge.Purtroppo in Europa non esiste una legge contraria, che obblighi un’azienda a dichiarare le possibili contaminazioni. Il Regolamento Europeo 1169/2011 obbliga a dichiarare tutti gli allergeni possibili, ivi compreso il glutine, ma solo se aggiunti volontariamente al prodotto.
Persino in mancanza della dicitura “può contenere tracce di glutine” il prodotto non è da considerarsi sicuro per il celiaco. Insomma, l’AIC insiste sulla scelta di prodotti con la scritta “senza glutine” esplicita. Ma siamo in Italia, e l’Italia è uno dei posti in cui in assoluto il celiaco vive meglio. Quasi tutte le confezioni del supermercato riportano la scritta “senza glutine”, dalla polpa di pomodoro al formaggio spalmabile, dai funghetti sott’olio alla margarina. Basta guardare prima di mettere nel carrello, ma la scelta è vastissima. Il celiaco in Italia mangia tutto quello che mangiano gli altri, non deve rinunciare a niente.
E all’estero?
Da quando la celiachia è entrata a fare parte della mia vita non ho varcato i confini dell’Europa, e sotto certi aspetti me ne guardo bene. E già in Europa ho avuto delle serie difficoltà.Intanto il celiaco, quando viaggia, deve cercare luoghi in cui ci sia la consapevolezza della malattia o per lo meno sensibilità e acume da parte di chi deve capire il problema prima di servirgli un piatto in tavola.
Non basta sapere che in Etiopia mangiano il teff o che in Brasile e in Argentina la dieta si basa sulla carne per partire contenti e convinti di mangiare. Bisogna vedere quel teff com’è preparato, come si accompagna, se è stato processato insieme al grano.
So che in molti posti in America vanno di moda i locali senza glutine, ma non garantiscono l’assenza di contaminazioni, quindi per il celiaco non sono adeguati.
Per sentito dire, pare che uno dei paesi peggiori per il celiaco sia il Giappone dove, nell’immaginario collettivo, si nutrono solo di riso. Proprio per questo però la malattia è poco diffusa e c’è poca conoscenza. I celiaci che conosco e che hanno visitato il Giappone hanno dovuto portarsi le scorte da casa.
Sconsiglio quindi ai celiaci di intraprendere viaggi all’avventura per il mondo senza essersi sincerati di poter trovare cibo senza glutine. Ma cibo davvero senza glutine, senza l’ombra di contaminazioni.
Torno all’Europa, in cui ho fatto diverse vacanze negli ultimi anni, sempre scegliendo di alloggiare in una casa attrezzata di cucina per preparare personalmente i miei pranzi e le mie cene.Dicono che in UK i celiaci siano trattati bene, ma non ci sono mai stata dopo la diagnosi.
La Spagna è il paradiso del celiaco, equivalente all’Italia. Supermercati ben forniti, la scritta “sin gluten” riportata ovunque, anche sul riso che dovrebbe essere senza glutine per definizione. E i locali che servono cibo senza glutine sono tanti. Addirittura noi nel Ferragosto 2018, in un paesino dei dintorni di Barcellona, ci imbattemmo in una specie di sagra. Il mio primo pensiero fu: figuriamoci se con lo street food troviamo cibo senza glutine. Invece due roulotte su dieci erano strutturate per servire il celiaco senza la minima contaminazione, usando guanti, imballaggi dedicati.
Anche in Olanda ho trovato senza problemi locali che sapevano gestire il problema, ma sono rimasta pochi giorni e non mi sono potuta fare un’idea globale.
In Albania, mi dicono, il cibo senza glutine non esiste proprio.
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L’incubo per il celiaco inizia nei paesi francofoni: Francia e Belgio.
Non ci si spiega come due paesi così evoluti possano essere tanto arretrati sulle intolleranze alimentari. Lì il celiaco è dimenticato da Dio e dagli uomini. Ho attraversato la Francia dal Piemonte alla Normandia in macchina e non ho trovato un solo autogrill che vendesse un tramezzino confezionato senza glutine. Ma se, come sempre, pane e pasta nei grandi supermercati si trovano, la tragedia è quando si cerca di comprare una bistecca o uno yogurt. Qui, al contrario dell'Italia e della Spagna, la scritta “sans gluten” non c’è praticamente mai. A lungo mi sono domandata se in Francia i celiaci siano così pochi, o se siano semplicemente sotto-diagnosticati. Certo è che non hanno vita semplice. Persino i budini e i gelati confezionati che da noi hanno la scritta “senza glutine”, là sono venduti identici, con lo stesso marchio, ma senza alcuna indicazione. Eppure costerebbe talmente poco.In Croazia della celiachia si sono accorti da pochissimo e sono ancora poco diagnosticati. Però iniziano ad attrezzarsi.
Nei grossi supermercati si trova di solito un repartino misero di pasta, pane e biscotti, uno per tipologia, senza alcuna possibilità di scelta: di una tristezza unica. Peraltro si tratta di prodotti italiani: Shar, Mulino Bianco, Galbusera. Ma per quindici giorni di ferie si può fare. Per lo meno in Francia c’è più scelta.Come in Francia, però, il disastro è quando si cerca di comprare una fetta di prosciutto. Ho imparato a distinguere la dicitura croata “può contenere tracce di glutine” e ho escluso tutti i prodotti che la riportavano. Poi mi sono affidata alla fortuna. È andata abbastanza bene, salvo quella volta che ho comprato a mia figlia un gelato simil-Calippo per poi scoprire che anche quello conteneva tracce di glutine.
La app di AIC con tutti i ristoranti che servono cibo senza glutine come si deve vale solo per l’Italia.
All’estero utilizzo la app della Schär e anche Tripadvisor, conscia che sono posti in genere non controllati da una associazione come la nostra, che non seguono un protocollo dettato da qualcuno, ma che usano il buon senso di non grigliare pane e carne insieme, per esempio, o di cuocere il riso in un’acqua a parte. In questo caso ci si affida alle recensioni pre-esistenti e alle esperienze di chi è passato prima di noi. Se nessuno è stato male, vuol dire che quei ristoratori una vaga idea ce l’hanno.Nel peggiore dei casi, se proprio non ci fosse un posto indicato nemmeno da Tripadvisor, la AIC ha prodotto un documento multilingue che si può far leggere al ristoratore del luogo, con la spiegazione della celiachia, nella speranza che prepari qualcosa di mangiabile, tipo una bistecca con verdura e patate.
E a me non spaventa tanto il ristoratore straniero e impreparato, che legge il foglietto dell’AIC e per paura di sbagliare si impegna a non contaminare il cliente, quanto il ristoratore italiano che crede di sapere tutto ma in realtà pecca di superbia.
A chi millanta di saper gestire il problema e poi prende in giro il cliente con una patologia (celiachia, ma anche tutte le altre) io farei chiudere il locale. Servire del cibo è come avere licenza di uccidere, e ogni tanto qualche allergico ci lascia pure le penne. Quando iniziano a dirvi: “no, il glutine qui non c’è, cuociamo tutto” scappate a gambe levate. E denunciate.E poi, con tutte le precauzioni, si possono avere esperienze positive e negative. A volta anche i ristoranti controllati fanno pasticci, altre volte si riesce a mangiare molto bene pure in posti non certificati. Di certo non ci si può tappare in casa.
Elena Genero Santoro |
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