Gli scrittori della porta accanto

The week: focus sugli eventi tra il 16 e il 29 gennaio

The week: focus sugli eventi tra il 16 e il 29 gennaio

The week Di Argyros Singh. Cosa è successo nel mondo tra il 16 e il 29 gennaio? Aggiornamento dalla guerra in Ucraina, l'approvvigionamento energetico in Europa, la minaccia di una guerra con l’Iran e l’arresto di Matteo Messina Denaro.

In questo The Week, apro con un aggiornamento sulle ultime settimane di guerra in Ucraina, per collegarmi poi con la ricerca europea di nuove fonti di approvvigionamento energetico. La seconda parte è invece dedicata a quanto sta accadendo in Israele, tra tensioni nella maggioranza di governo, violenze tra israeliani e palestinesi e la minaccia di una guerra con l’Iran. Per finire, ricordo l’arresto del mafioso Matteo Messina Denaro, dopo decenni di latitanza.



Guerra in Ucraina e fonti energetiche: che cosa cambia?

Queste ultime due settimane di conflitto si sono aperte con una reciproca carneficina: un attacco dell’esercito ucraino avrebbe ucciso, nella zona di Makiivka, quattrocento soldati russi, cifra ridotta a sessantatré da fonti russe. I russi hanno risposto nei giorni successivi con una serie di bombardamenti, che hanno provocato altre decine di vittime, tra civili e militari. Gli aggressori hanno impiegato anche droni iraniani. A oggi, morti e feriti delle due parti hanno superato le centomila persone.
Secondo il capo delle forze armate ucraine, Valerij Zalužnyj, il 40% dei territori occupati dalla Russia sarebbero stati liberati, ma l’Ucraina si trova ora in una delle fasi più difficili della sua resistenza. L’esercito difensore ha ricevuto l’addestramento da diciassette Paesi europei; l’Occidente ha fornito risorse agli ucraini per riuscire a resistere alla crisi energetica provocata dalla campagna di bombardamenti che mirava a sfiancare il fronte interno, colpendo infrastrutture energetiche e civili. L’Ucraina ha subìto notevoli danni, ma grazie anche ai sistemi di difesa antiaerea occidentali, il Paese ha potuto reggere l’urto. Ricostruendo l’entità degli attacchi missilistici russi, si può notare una progressiva riduzione del numero di missili impiegati, segno che questa campagna si sia rivelata infruttuosa.

L’esercito ucraino, che finora aveva combattuto in superiorità numerica, si trova adesso in svantaggio.

La mobilitazione russa degli scorsi mesi sta permettendo agli invasori di avere un ricambio di truppe al fronte, mentre gli ucraini sono sfiancati da mesi di attacchi concentrati nell’area di Soledar e Bakhmut. La prima città è caduta dopo mesi di pressione, con l’impiego di truppe d’élite russe dei mercenari Wagner. Bakhmut resiste ancora e ora i russi stanno cercando di tagliare le vie di rifornimento alla città colpendola da sud. Un’eventuale caduta di Bakhmut non segnerà la fine della guerra, né un’avanzata vittoriosa a Kyiv: la capitale è distante centinaia di chilometri e ci sono città notevolmente più grandi di Bakhmut da superare. In realtà, il rischio è che, prendendo questa cittadina, i russi possano iniziare a martellare la linea difensiva a sud, che da diversi anni regge contro l’avanzata russa e dei secessionisti, permettendo agli ucraini di impiegare meno soldati a fronte di infrastrutture militari più consolidate.

L’Ucraina sta organizzando una nuova mobilitazione e ha chiesto anche ai cittadini all’estero di registrarsi alle rispettive ambasciate, per dare al governo un’idea dei numeri potenzialmente a disposizione.

La first lady ucraina, Olena Zelenska, è intervenuta al World Economic Forum di Davos per sensibilizzare i presenti in merito al conflitto. In parallelo, dopo intensi confronti tra i membri della Nato, diversi Paesi occidentali hanno deciso di inviare nuove risorse e armi all’Ucraina. Per questi motivi la Federazione ha incrementato la pressione nell’area di Bakhmut, cercando di approfittare di questa fase di difficoltà. C’è stato anche un cambio di guardia ai vertici: il capo di Stato maggiore Valery Gerasimov è stato nominato capo delle forze congiunte impegnate in Ucraina. Il comandante Alexander Lapin è diventato capo delle forze di terra e sembra che la sua figura sia stata scelta per contenere lo strapotere del gruppo Wagner, il cui leader, Yevgeny Prighozin, critica da mesi l’esercito regolare russo e ha tenuto a mostrare i video della sua presenza sul campo, rimarcando la differenza tra sé e i vertici militari russi.

In realtà, anche all’interno della Wagner non mancano alcune criticità: è stato il gruppo a raccogliere migliaia di criminali nelle carceri russe, mandandole al macello sulla linea del fronte per sfiancare gli ucraini.

Un bel libro del criminologo Federico Varese, La Russia in quattro criminali (Einaudi, 2022), mostra come questa tattica spietata sia stata ripresa dai tempi dell’Urss, quando da Stalin in poi si sfruttarono i carcerati per compiere crimini efferati. Proprio dalle fila della Wagner è scappato Andrey Medvedev, che ha chiesto asilo in Norvegia, dichiarando di voler collaborare alle indagini sui crimini di guerra in Ucraina.
Per quanto riguarda la Bielorussia, ci sono pressioni affinché il presidente Lukashenko apra un nuovo fronte a nord, per distrarre le forze ucraine. La Bielorussia è però restia all’intervento diretto, per varie ragioni: la scarsità e l’obsolescenza dei mezzi militari a disposizione; un esercito non motivato a colpire il vicino; il fatto che un attacco porterebbe ufficialmente la Bielorussia in guerra, con tutte le conseguenze politiche che questo comporterebbe. Inoltre, l’intervento bielorusso consentirebbe all’Ucraina di colpire le basi russe sul suo territorio, finora intoccabili.

Per concludere, la principale svolta di queste settimane è stata la scelta tedesca di sbloccare l’impiego dei carri armati Leopard sul suolo ucraino.

La scelta del cancelliere Olaf Scholz si è fatta attendere per diverse ragioni. La prima è storica: l’ultima volta che i carri armati tedeschi hanno affrontato i russi in Ucraina è stato nella seconda guerra mondiale; ora, però, avrebbero modo di schierarsi dalla parte dell’aggredito. La seconda ragione è commerciale: un’eventuale cattiva prestazione dei Leopard farebbe perdere commissioni alla Germania (già in Siria i tank furono impiegati dai turchi con scarsi risultati). Il terzo punto è l’opportunismo politico: la Germania sta perseguendo una folle conversione energetica al 100% rinnovabili, escludendo l’energia nucleare. Un caso emblematico è la decisione di chiudere le proprie centrali nucleari, spingendo Berlino ad avviare i lavori alla miniera di Garzweiler, per l’apertura di un nuovo sito di estrazione di gas naturale. Il Paese conta infatti su una buona percentuale di energia prodotta da rinnovabili; quello che manca è un’energia di backup che compensi le fasi “improduttive” (la notte per i pannelli solari, etc.): quell’energia era stata coperta dal nucleare e dal gas russo. L’aspetto tragicomico è che gli ambientalisti tedeschi abbiano protestato a Garzweiler, con il supporto di Greta Thunberg, in quelle miniere che saranno sfruttate per compensare la riduzione di energia nucleare voluta dagli stessi verdi.
In poche parole, il governo tedesco potrebbe in futuro richiedere ancora il gas russo, in modo tale che l’opinione pubblica interna, delegandone la nociva estrazione a uno Stato estero, possa tornare a vantare una superiorità morale sul tema della decarbonizzazione.

Ucraina. Storia, geopolitica, attualità

Ucraina
Storia, geopolitica, attualità.

di Argyros Singh
PubMe – Collana Collana Gli Scrittori della Porta Accanto
Saggio
ISBN 979-1254581933
Saggio
ebook 4,99€
Cartaceo 15,00€

Un Paese dove invece sembra non aprirsi nemmeno il confronto tra le diverse possibilità di un mix energetico green è l’Italia.

L’intento del governo Meloni è di rendere la Penisola un hub europeo del gas naturale, sfruttando la posizione centrale nel Mediterraneo, porta per l’Africa verso l’Europa centrale e i Balcani.
Nei mesi scorsi ho raccontato di come, già con il governo Draghi, l’Italia avesse implementato le relazioni con Algeri, nell’ottica di una diversificazione delle fonti energetiche. A oggi, l’Algeria è il nostro principale fornitore di gas: a dicembre 2022, la quota proveniente dalla Russia si era ridotta al 3%; solo nel 2021 era del 40%, percentuale ora raggiunta dal Paese nordafricano. Con l’ultimo viaggio della premier Meloni, è stato siglato un nuovo accordo, che prevede un aumento della fornitura di tre miliardi di metri cubi all’anno, almeno fino al 2025.

Dopo l’Algeria è stata la volta della Libia.

O meglio, della visita nell’area controllata da Tripoli, in quella terra martoriata dalla guerra civile e dall’intervento di potenze straniere (Russia, Turchia, etc.), di cui ho scritto nel reportage dello speciale The Week dedicato al continente africano.
Qui Eni ha firmato un accordo con la compagnia statale libica Noc per la produzione di gas, in particolare con lo sviluppo delle Strutture A ed E, al largo della Libia, un progetto strategico che permetterebbe a Tripoli di incrementare la produzione interna e l’esportazione. L’obiettivo è di avviare la produzione nel 2026, per un totale di 750 milioni di piedi cubi di gas al giorno. Il progetto prevede anche la costruzione di un impianto CCS (cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica) a Mellitah, con un investimento di otto miliardi di dollari.
Un secondo accordo tra i due Paesi ha riguardato la cooperazione con la Guardia costiera libica per la gestione del flusso migratorio verso l’Europa. Gli aiuti finanziari e tecnici portati dall’Italia e dall’Ue serviranno alla Guardia costiera per frenare l’immigrazione clandestina, tutelando però i diritti umani. Un tema che negli ultimi due anni ha fatto molto discutere, con reportage che mostravano le condizioni disumane in cui erano tenuti i migranti.
Sull’Ucraina – ispionline.it, cnn.com, affarinternazionali.it e parabellumhistory.net | Sulla questione energetica – wired.it, ilsole24ore.com e ilpost.it

Nuove tensioni in Israele

In un recente The Week, avevo parlato delle elezioni in Israele. Dopo giorni di scontri politici, la Corte Suprema ha dichiarato inammissibile la nomina di Aryeh Deri, leader del partito sefardita Shas, come ministro dell’Interno e della Sanità. Dieci degli undici giudici hanno ritenuto che le tre condanne per corruzione non fossero compatibili con il suo incarico politico, per ragioni di etica e di reputazione dell’ordinamento giuridico del Paese. Ora, senza il voto di Deri, la maggioranza del premier Benjamin Netanyahu potrebbe non avere i numeri per governare.

Mentre potere esecutivo e giudiziario si confrontavano sul tema, l’ostilità tra israeliani e palestinesi ha conosciuto un nuovo picco.

Nell’ultimo anno, l’esercito israeliano ha compiuto numerosi raid in Cisgiordania, con almeno duecento palestinesi rimasti uccisi, tra combattenti e civili. In questi giorni, l’esercito aveva condotto una nuova incursione nel campo profughi di Jenin, alla ricerca di affiliati alla Jihad islamica. Alcuni presenti avevano reagito alla presenza dell’esercito e gli scontri avevano portato a nove morti e venti feriti tra i palestinesi. Il giorno dopo, nei pressi di Gerusalemme Est, un uomo armato ha assassinato sette persone, che si trovavano vicino a una sinagoga, prima di essere ucciso dalla polizia. Altre tre persone sono rimaste ferite. In una successiva sparatoria, nella zona della Città di Davide a Gerusalemme, un giovane palestinese ha ferito due persone.
In questo scenario di conflitto crescente, non sembrano esserci attori internazionali capaci di mediare tra le parti. Con un governo di estrema destra intenzionato a riguadagnare credibilità nell’opinione pubblica, una soluzione pacifica sembra sempre più distante.

Oltre alle tensioni interne, lo Stato di Israele è preoccupato per la scelta iraniana di dotarsi del nucleare a scopi militari.

La scorsa settimana, il Paese aveva tenuto con gli Usa la più grande esercitazione militare congiunta di sempre, con oltre settemilacinquecento unità. L’obiettivo era testare i sistemi di difesa aerea e di rifornimento dei jet, preparandosi allo scenario peggiore.
Secondo il Wall Street Journal, Israele avrebbe anche condotto attacchi con droni sul suolo iraniano, per colpire le infrastrutture interessate dallo sviluppo delle armi nucleari. Il Paese ha visto in questi giorni la visita del direttore della Cia, William Burns, e del Segretario di Stato, Antony Blinken, interessati a discutere il dossier iraniano e altre questioni regionali.
Sulle tensioni israelo-palestinesi – ispionline.it, aljazeera.com e cnn.com

L’arresto di Matteo Messina Denaro

Il 16 gennaio, i carabinieri del Ros di Palermo hanno arrestato il boss mafioso Matteo Messina Denaro, dopo trent’anni di latitanza. È stato fermato alla clinica Maddalena della città siciliana, dove stava per iniziare una seduta di chemioterapia. I Ros e i membri della procura di Palermo hanno poi individuato uno dei covi, a Campobello di Mazara, nel trapanese, cittadina del favoreggiatore Giovanni Luppino.
L’indagine che ha portato all’arresto è stata di tipo tradizionale, seguendo quello che è stato definito il “metodo Dalla Chiesa”, dal nome del generale ucciso dalla mafia nel 1982. Tutto è cominciato dalle conversazioni intercettate tra i familiari del capomafia, in cui si parlava di una malattia, e dall’incrocio dei dati con la piattaforma del Ministero della Salute e di altre agenzie statali. Indagando sulle strutture che potevano occuparsi di chemioterapia, gli investigatori sono riusciti a scoprire quella frequentata da Messina Denaro, il quale utilizzava l’identità di un’altra persona. Al momento dell’arresto, il boss non ha opposto resistenza e ha sùbito dichiarato il proprio vero nome. Per lo Stato, si trattava dell’ultimo stragista del 1992-93 non ancora catturato dalla polizia.
Le autorità, dal procuratore di Palermo alla premier, hanno riconosciuto l’importanza dell’arresto, pur consci del fatto che la guerra alla mafia sia tutt’altro che conclusa. Mentre i media proponevano uno stucchevole dibattito intorno all’opportunità di ridiscutere le norme sulle intercettazioni, le indagini sono andate avanti. L’obiettivo di questi giorni e dei prossimi mesi sarà la ricostruzione della fitta rete di fiancheggiatori, che ha garantito a Messina Denaro una così lunga latitanza. Non si sa ancora se il capomafia vorrà invece collaborare alle indagini o se preferirà chiudersi in un omertoso silenzio.
Sull’arresto del capo mafioso – ansa.it e micromega.net

Argyros Singh


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