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Squid Game: la  potente allegoria della società contemporanea

Squid Game: la potente allegoria della società contemporanea

Squid Game: la  potente allegoria della società contemporanea

Serie TV Di Angelo Gavagnin. Squid Game: disponibile su Netflix la terza e ultima stagione, ancora più violenta, irrazionale e disumana, potente allegoria dei meccanismi spietati che regolano la società contemporanea.

La terza e ultima stagione di Squid Game è uscita su Netflix il 27 giugno 2025in abbonamento sono disponibili tutte e tre le stagioni. Io le ho viste tutte e tre. La prima, una novità assoluta.
Tutti ormai sappiamo di cosa stiamo parlando: persone indebitate senza nessuna possibilità di pagare, che decidono (sono spinte), a mettere in gioco loro stesse, ciò che sono. La speranza e promessa è di un guadagno enorme e veloce, risolutore di tutti i problemi. Quello che non sanno fino all’inizio dei giochi, è che uno solo può vincere e tutti gli altri moriranno.
Naturale che questo scateni l’istinto di sopravvivenza e provochi inaudita violenza anche in chi non sospettava nemmeno di esserne capace.

Si vede subito che ci sono personaggi inclini al sotterfugio, abituati a mentire e a raggirare gli altri.

Infatti, all’inizio sono proprio i più buoni e umani che soccombono. Non avere la minima empatia nei riguardi di nessuno è una qualità che salva i peggiori durante i giochi.
Leggere i rapporti sociali con questo genere di lenti è davvero deprimente, ma forse, con meno violenza fisica e qualche regola che non possiamo certo superare, la tendenza nelle moderne società dei guadagni e dei consumi a ogni costo, è proprio questa. Non sono certo i più buoni a farcela, non c’è un’etica per cui se sei empatico, aiuti gli altri, ti comporti bene e sei incline a volere che il tuo prossimo sia felice quanto te, allora la tua vita sarà un successo e avrai tutto ciò che ti serve perché sei onesto. Purtroppo non è così. Raggiungere il successo è più facile per i cinici, quelli che possono anche truffare (nel senso più ampio del termine) senza sensi di colpa o semplicemente sfruttano l’umanità che hanno intorno.

Mors tua vita mea: in Squid Game ogni morte aumenta il montepremi ai sopravissuti.

È sconvolgente perché è così chiaro come non lo è mai stato, è la fine di ogni fiducia negli altri, anche i più buoni per sopravvivere devono adeguarsi alla cattiveria imposta come regola sociale di sopravivenza. Ogni partecipante si rende conto chiaramente che quelli che riescono a sopravvivere ai giochi sono i peggiori esseri che abbiano mai incontrato, loro hanno le qualità per vincere.

Come in tutte le fiabe, c’è sempre “uno sciocco” che ha la crisi di coscienza.

È il protagonista numero 456 Gi-Hun, che dopo aver vinto il premio in denaro alla prima stagione, decide di usarlo per rientrare nel gioco con l’intento di distruggerlo.
Non aggiungo altro perché si entra nella terza stagione che molti probabilmente ancora non hanno visto. Posso solo dire che, la terza e ultima stagione, è ancora più violenta delle due precedenti e che i protagonisti si trovano ad affrontare situazioni sempre più irrazionali e disumane.
L’orrore è nei giochi ma ancora di più in una società che li rende plausibili.

Squid Game è una potente allegoria dei meccanismi spietati che regolano la società contemporanea.

Dietro tutto ciò, ci sono solo dei ricchi annoiati e in cerca di emozioni forti che si possono comprare, che godono a vedere dei poveracci che calpestano i loro stessi principi per guadagnare tanti, tanti soldi: è ciò che hanno fatto da sempre, ma senza rischiare la loro vita.



Mi è capitato di fare la comparsa al trailer girato a Venezia in occasione dell'uscita della seconda stagione.

Comparse al trailer girato a Venezia in occasione dell'uscita della seconda stagione



Angelo Gavagnin
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Essere madre è molto più che essere "semplicemente" mamma

Essere madre è molto più che essere "semplicemente" mamma

Essere madre è molto più che essere semplicemente mamma

Di Angelo Gavagnin. Riflessioni di un padre sulle donne: essere una mamma è relativamente facile e naturale, ma non sempre una mamma è anche una madre.

Essere una mamma è relativamente facile e naturale, il procreare è sufficiente per diventarlo, certo, molto impegno e qualche sofferenza sono scontati, ma di mamme ce ne sono miliardi, al contrario di ciò che dice il famoso proverbio “di mamma ce n'è una sola”.
Non siate sconcertati, non voglio sminuire la figura materna. Tra l'altro, in Italia sarebbe considerato un delitto imperdonabile, siamo il popolo più mammone del globo o almeno così si dice. Voglio solo sottolineare che non sempre una mamma è anche una madre.

Tutte le donne che hanno procreato sono mamme.

Non a caso la festa della mamma arriva in primavera, anche la terra comincia a produrre piante e fiori, simbolo di fertilità. Alcune mamme, acquistano anche una qualità in più, diventano madri. La madre è una figura diversa, è una figura mistica.
La mamma ama in maniera spontanea, è fondamentalmente protettiva, desidera che i figli siano più felici di lei, facciano una vita più sicura e più bella della sua; i figli diventano una proiezione delle sue ambizioni. Intendiamoci, tutto naturale, niente di male, è un essere mamma solo un po' limitato, incompleto.
La madre, invece, ti aiuterà a diventare unico e indipendente, ti aiuterà a diventare un individuo, ti amerà senza volere importi nulla, sarà pronta ad accettare la “tua verità”, ti aiuterà solo a far affiorare la tua anima, il tuo essere unico.

Diciamo Madre Terra per definire il nostro pianeta.

Ma mi ricordo i tempi dell'asilo, quando chiamavo "madre" la suora che aveva il compito di educarmi, rammento, pensate, ancora il nome dopo sessant'anni, si chiamava suor Letizia.
Le religioni che concepiscono Dio come una madre sono più profonde, lo aveva capito Papa Luciani, e, coraggioso, ci aveva provato a dire che Dio è Madre, bocciato poi dal Professor Joseph Razinger, poi Papa, infatti, troppo lontano dal sentire popolare. Concetto invece ripreso da Papa Francesco: “Dio ha compassione di noi come la madre con un figlio”.
Hanno ragione Papa Francesco e il buon Papa Luciani: le madri, ma anche le mamme, hanno un che di divino...
Ma non volevo essere così serio in un giorno di festa!
La mamma è la prima che ti insegna a pregare – “Prega Dio che non ti cada la minestra sul tappeto...” – e anche a comportarti – “Smettila di fare come tuo padre...”. Di sicuro, queste nostre mamme e madri hanno anche il dono dell'ubiquità: lavorano, puliscono, fanno la spesa, stirano, fanno da mangiare e a volte scrivono pure dei bellissimi libri, credetemi, ne conosco alcune... Misteri di Madre Natura.
Ecco, noi che siamo anche figli prima che genitori, le vogliamo eterne, brave, divine, e anche belle… e sono belle.


Angelo Gavagnin
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Ennio, un docu-film di Giuseppe Tornatore: recensione

Ennio, un docu-film di Giuseppe Tornatore: recensione

Ennio, un docu-film di Giuseppe Tornatore: recensione

Cinema Di Angelo Gavagnin. Ennio, un docu-film di Giuseppe Tornatore: due ore e mezza di forti emozioni, un Morricone che riesce a spiegare in modo semplice, come nascono le sue musiche.

Il docu-film di Giuseppe Tornatore, Ennio, due ore e mezza di forti emozioni, un Morricone che riesce a spiegare in modo semplice, come nascono le sue musiche partendo dalle prime semplici canzoni che musicò per Gianni Morandi, Mina, per poi passare al Cinema.
Possiamo immaginare i film di Sergio Leone senza le sue musiche? C’era una volta il West, C’era una volta in America o Novecento di Bertolucci o Mission o Nuovo Cinema Paradiso dello stesso Giuseppe Tornatore non avrebbero avuto lo stesso impatto, la stessa forza emotiva senza le musiche di Morricone.
Ennio, un docu-film di Giuseppe Tornatore
Ennio, un docu-film di Giuseppe Tornatore: recensione

Ennio

REGIA Giuseppe Tornatore
SCENEGGIATURA Giuseppe Tornatore
PRODUZIONE/PRODUTTORE Gabriele Costa, Gianni Russo
DISTRIBUZIONE Lucky Red
FOTOGRAFIA Giancarlo Leggeri, Fabio Zamarion
MUSICA Ennio Morricone
ANNO 2021

DOPPIATORI ITALIANI
Ennio Morricone, Giuseppe Tornatore, Carlo Verdone, Clint Eastwood, Quentin Tarantino, Oliver Stone, Hans Zimmer, Barry Levinson, Dario Argento, Bernardo Bertolucci, Quincy Jones, Bruce Springsteen, Lina Wertmüller, Marco Bellocchio, Vittorio Taviani, Zucchero Fornaciari, Laura Pausini, John Williams, Enzo G. Castellari

Un uomo grande e semplice che si commuove ripensando a ciò che ha realizzato e noi con lui.

Ne esce anche l’immagine di una persona tormentata da un senso di inferiorità per aver accettato di “vendersi” al cinema e non aver percorso la strada della ricerca e della musica “seria” e per questo fu poco accettato, addirittura snobbato dai musicisti contemporanei.
Tornatore gli rende omaggio attraverso le testimonianze di registi, attori e musicisti che hanno capito la sua grandezza, un ritratto sentito, affettuoso e intenso sulla musica, l’intuito cinematografico e l’umanità di un genio italiano del Novecento.
Oltre alle interviste c’è una serie di rimandi ai film che hanno visto la sua collaborazione, con le sue musiche purtroppo solo accennate, perché per ascoltare anche solo un po’ delle cose memorabili che ha realizzato non basta certo il tempo di un film.

È bello e commovente vedere artisti, i più diversi come Bruce Springsteen o i Metallica, aprire i loro concerti con i suoi pezzi più famosi.

Riceve “finalmente” l’Oscar alla carriera nel 2007 dalle mani di un vecchio amico, l’immenso Clint Eastwood con cui ha iniziato la sua collaborazione con il cinema, musicando meravigliosamente i film di Sergio Leone. E fu standing ovation delle star della platea, come a scusarsi per il ritardo con il quale l’Academy aveva deciso di onorarlo.
Si respirano emozioni, si viaggia tra le note del Maestro. Regalatevi due ore e mezza di gioia e commozione.




Angelo Gavagnin
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Buon viaggio Francuzzo: addio al Maestro Franco Battiato

Buon viaggio Francuzzo: addio al Maestro Franco Battiato

Buon viaggio Francuzzo: addio al Maestro Franco Battiato

Musica Di Angelo Gavagnin. Buon viaggio Francuzzo: addio al Maestro Franco Battiato, il centro di gravità permanente del cantautorato italiano.

Dopo l’ultimo Tour con Alice, visto ormai nel lontanissimo 26 febbraio 2016 al Gran Teatro Geox di Padova, concerto memorabile, sei sparito: non più nuove canzoni, non più concerti, che tristezza.
Di te, solo notizie difficili da digerire. Vere? False? Frammentarie, fake?
Non c’è più stata la tua presenza, la tua purezza e sincerità, che tristezza…
Adesso che ho capito che te ne sei andato veramente, mi sento più solo su questo pianeta.
È come se avessi perso un Padre anche se non avevi molti più anni di me, o un fratello dal quale ho sempre attinto idee e consigli di vita, utili e importanti.

Mi ascolto Testamento dal tuo Apriti Sesamo e mi consolo.

Vi lascio la volontà di crescere e capire, vi lascio i miei esercizi sulla respirazione.
Franco Battiato
E mi lasci la tua idea di Reincarnazione: «Non siamo mai morti e non siamo mai nati» abbiamo solo cambiato il contenitore delle nostre anime, innumerevoli volte.
Alla fine ci penso e abbiamo solo pochi anni di differenza, infatti i tuoi concerti fanno parte dei miei ricordi giovanili, anche tu giovane e ancora sconosciuto cantante un po’ bizzarro, dai testi complessi e dalla musica a volte difficile per molti ma non per me che ti ho amato subito.
«Quand’ero giovane andavo a letto tardi, sempre […] Viva la gioventù che fortunatamente passa…», eh sì, è proprio passata, fruttuosa di canzoni memorabili che hanno educato migliaia di persone al silenzio e alla meditazione.


Alla fine hai saputo mostrare e vivere un modo dolce e leggero di essere spirituali senza essere credenti e bigotti.

Studiando le religioni più diverse e rispettandole tutte e cogliendo di tutte la vera essenza.
Ancora giovane e sconosciuto andavi a suonare nelle sale della Lombardia «La domenica nel pomeriggio e in quelle balere si divertivano a ballare operai e cameriere».
Dove mai lo troveremo un altro in grado di fare canzoni sui testi di un vecchio filosofo siciliano Manlio Sgalambro che adesso ti appresti a incontrare chissà dove e in che dimensione nell’infinito universo.

Dove mai lo troveremo un altro in grado di fare canzoni su citazione di Eraclito: «Non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume» e farle diventare pure famose e far ballare le persone su quelle note.

Ma non mi sento triste, piuttosto dispiaciuto per le molte altre canzoni ed emozioni che avresti potuto regalarci.
Ah come t’inganni se pensi che gli anni non han da finire […] È un sogno la vita!
Franco Battiato
Però non ti mollo e resto in attesa di tue notizie, nei miei momenti di pace ti aspetto: vieni a trovarmi quando vuoi!
Buon viaggio Francuzzo.

Angelo Gavagnin
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Pandemia e solitudine: opportunità o disastro sociale?

Pandemia e solitudine: opportunità o disastro sociale?

Pandemia e solitudine: opportunità o disastro sociale?

Di Angelo Gavagnin. Una delle conseguenze di questa pandemia è la solitudine forzata: ma questa è un'opportunità o un disastro sociale? Dipende.

Dopo il confinamento della scorsa primavera, le mascherine, l’andrà tutto bene dai balconi e il successivo ritorno del Covid-19, continuiamo a riflettere su questo strampalato periodo storico dondolandoci su due concetti opposti: che esso sia un disastro o un’opportunità.
Bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno?
Sicuramente vuoto del tutto se guardiamo al lato economico e finanziario, ma io propongo di guardare alla nostra psiche, al nostro cuore, anziché al pur importante portafoglio.
Per ciò che riguarda i rapporti sociali è, e sarà un disastro, a meno che non spostiamo subito le nostre energie in positivo.

“Distanziamento sociale” significa anche solitudine del cuore e ci sta obbligando a partire da noi stessi come unica via di salvezza.

Gaber, in una canzone diceva: «La solitudine non è mica una follia, è indispensabile per star bene in compagnia».
Dobbiamo diventare bravi e trasformare la non socialità e la solitudine che stanno vivendo i nostri cuori.
Siccome quella che stiamo vivendo è una solitudine imposta e involontaria, essa ci sta provocando dolore, paura, insicurezza e debolezza.
Essere positivi e trasformarla in “volontaria” potrà farla diventare “crescita interiore”.
Allora il dolore potrà divenire beneficio, la paura si potrà trasformare in euforia, l’insicurezza sparirà e la debolezza diventerà forza interiore.

La solitudine, se volontaria e scelta consapevolmente, dà forza e guarisce.

La solitudine è la sorte di tutti gli spiriti eccelsi. 
William Shakespeare
Siamo diventati dipendenti dai rumori, sopportiamo male il silenzio e la solitudine, siamo sempre sui social: dipendenti dal continuo chiacchiericcio, stiamo male se non sentiamo continue voci uscire dalla televisione.
Se scegliamo subito di trasformare questa imposizione alla solitudine del nostro cuore in volontà di sentire ciò che abbiamo dentro, tutta la percezione di questo brutto momento potrà cambiare.
Non sarà facile perché non è nostra abitudine stare con noi stessi. Sembra una battuta ma: molte volte non siamo la persona che ci piace di più. Persino Socrate diceva: «Pochi trovano in se stessi una buona compagnia».
Facciamo sì che i pochi diventino tanti e tanti, così avremo usato anche questa pandemia per la nostra crescita e la nostra salute.
È il momento di imparare a “contemplare” cioè “stare dentro il tempio” che è il nostro corpo.
Distinguere l’ombra dalla realtà e, cosa più importante di tutte, non sprecare l’unico vero tesoro che possediamo: il nostro tempo.
Per amare bisogna compiere un lavoro interiore che solo la solitudine rende possibile.
Alejandro Jodorowsky

Angelo Gavagnin
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Ti conosco mascherina?

Ti conosco mascherina?

Ti conosco mascherina?

Di Angelo Gavagnin. I possibili risvolti psicologici dell'uso della mascherina: e se fosse vista come il simbolo della malattia e ci infondesse la paura dell'altro?

Dopo mesi di “io resto a casa” finalmente ricomincia la vita vera, si può uscire e si possono incontrare parenti e amici. Peccato che non ci riconosciamo più: non perché durante il lockdown siamo esageratamente ingrassati (anche se, certo, qualche chiletto lo abbiamo messo su) ma per effetto delle mascherine che indossiamo quando usciamo di casa.
Con maschera e occhiali da sole, magari cappellino perché ormai è estate, sembriamo pronti per una rapina in banca stile La Casa di Carta.
Stiamo diventando “asociali”?
Fino a qualche mese fa era una brutta parola, oggi invece è diventato un pregio, una qualità consigliata dai nostri governanti e anche dal nostro medico. Che dire? Cambiamo strada quando intravvediamo da lontano qualcuno che potrebbe fermarci e chiederci qualcosa o quando vediamo avvicinarsi qualche pericoloso conoscente. Che brutto momento!


La mascherina è diventata un simbolo. 

Potrebbe suggerire che siamo potenzialmente ammalati e portatori di infezione. È un simbolo forte, può essere vista come un archetipo della malattia che penetra profondamente nel nostro inconscio e, passato il virus, sarà proprio lì che si andrà a depositare, a radicare. E rischiamo che diventi “paura dell’altro”, mettendo radici così profonde che ci vorrà molto, molto tempo per recuperare la fiducia nel nostro prossimo e per non pensare alle altre persone come a un pericolo. Se ci lamentavamo e non capivamo chi aveva paura del “diverso” prima, oggi abbiamo paura anche noi: di amici e parenti.
Il discorso è diverso per medici e infermieri: per loro la mascherina è la vera identità, non la indossano solo ora, lo fanno da sempre, consapevolmente.

Un’amica mi raccontava che passeggiando per il centro e fermandosi fuori da un negozio si è vista riflessa sulla vetrina. Non pensava neanche di essere lei, ha faticato a riconoscersi.

Per strada nessuno vede più i nostri sorrisi, nascondiamo le emozioni dietro il volto coperto, anche la nostra identità si nasconde: tutto ciò potrebbe renderci più deboli e insicuri?
Chissà se chi prende decisioni così importanti come in questo periodo ha pensato ai risvolti psicologici profondi, alle possibili patologie psicosomatiche future alle quali prepararsi con adeguati strumenti, ai pericoli non derivanti soltanto dal virus.


Se proprio dobbiamo usare la mascherina, facciamolo con consapevolezza, ricordando sempre chi siamo.

Ricordandoci di ridere e continuare a esternare le nostre emozioni.
Ripetiamoci: non metto la mascherina solo perché sono obbligato o per non prendere la multa, la metto quando è giusto metterla e magari ci disegno sopra un bel sorriso, una bella linguaccia alla Rolling Stones, ci metterò i colori della mia giornata per essere riconosciuto triste o allegro.
Quest’estate, al mare, tutti nudi con la mascherina, la vista più eccitante sarà vedere le labbra e il bellissimo nasino di quella splendida ragazza mentre sorseggia il suo buon caffè (finalmente senza mascherina)!


Alcuni concetti che ho espresso, sono anche il risultato della mia frequentazione dell’Associazione Universo Filosofico, che ha sede a Mestre ed è per me fonte di grande ispirazione. È presente anche su Facebook.


Angelo Gavagnin
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La Pasqua ai tempi del coronavirus: rinascere dall'interno

La Pasqua ai tempi del coronavirus: rinascere dall'interno

La Pasqua ai tempi del coronavirus: rinascere dall'interno

Di Angelo Gavagnin. La Pasqua ai tempi del coronavirus sarà una festa introversa, proiettata all'interno. Ma forse è proprio questo il segreto per rinascere: smettere di demandare benessere e felicità agli altri e cercare le risorse in noi stessi.

La Pasqua per i Cattolici cade la prima domenica dopo la prima luna piena, dopo l’equinozio di primavera. Ecco perché la data cambia ogni anno ma è sempre di domenica.
Per il popolo ebraico ricorda l’esodo dall’Egitto.
All’inizio era una festa pagana legata appunto alla luna piena: momento di buon auspicio.
Con la luna, era un momento dedicato alla donna, alla prosperità, momento di augurio e ringraziamento per tutto ciò che andava a buon fine.
Si regalava l’uovo d’oca: un grande uovo simbolo di prosperità e rinascita.
Poi il Cattolicesimo ci ha inserito l’elemento cristico. Crocefissione e Resurrezione.

Quest’anno stiamo vivendo una Pasqua anomala, chiusi in casa, mentre di solito si usa uscire per le prime gite fuori porta, le prime passeggiate sulla spiaggia, col clima che inizia ad essere gradevole, preludio alla stagione estiva per definizione estroversa.

Siamo costretti in casa da molto, troppo tempo, non sappiamo più nemmeno che giorno è: lunedì, martedì, giovedì, domenica, è irrilevante, ormai pensiamo solo in termini di mattina, pomeriggio e sera.
Il vecchio detto «Pasqua con chi vuoi» è quasi provocatorio, non funziona per niente.
Infatti, quest’anno sarà una Pasqua introversa, più dentro che fuori.
Siamo occupati a ripensare la nostra vita e i nostri comportamenti, le nostre priorità, siamo in crisi totale, se guardiamo anche alla crisi economica che ne deriverà e che ci impaurisce, capiamo che forse eravamo troppo appoggiati agli altri.
Produzione, consumi, turismo: gli altri non ci sono più, tutto finito.


Anche la globalizzazione sarà da ripensare.

Se per assurdo vivessimo in campagna, con la nostra terra e i nostri animali da cortile non sentiremmo tutta questa crisi, i nostri amici e conoscenti, il resto dell’umanità tutta, sarebbero meno fondamentali per le nostre vite.
Bisognerà di sicuro cambiare qualcosa. Cambiare l’organizzazione delle nostre città troppo turistiche perciò totalmente dipendenti dall’arrivo di masse di persone senza le quali non sopravvivono, dovremo ripensarle e renderle un po’ più autarchiche. Dovrebbero resistere anche senza turismo, con i residenti che mangiano, lavorano, vivono, creano.
Abbiamo troppo demandato l’economia, la sicurezza, perfino la felicità, agli altri.
Siamo confusi, tutto ciò che era certo è diventato incerto.

Il nostro lavoro, gli amici, il benessere, tutto troppo proiettato all’esterno, ora è tutto messo in discussione se non addirittura sparito. Dovremo imparare a stare più dentro noi stessi e il benessere che troveremo non ce lo potrà togliere nessuno.

Per Pasqua non si andrà nemmeno in chiesa ma non c’è problema. Chi veramente lo vuole può trovare la chiesa dentro di sé: silenziosa e profumata d’incenso. La mente crea, è bravissima.
Di sicuro abbiamo bisogno di risorgere dal letargo in cui ci ha confinato questo virus.
Il nuovo modo di essere sarà sempre più introspettivo.
Torneremo a uscire e a stare con gli amici e tornerà la nostra natura estroversa di italiani ma ricordiamoci di non basare ancora una volta tutta la nostra vita e la nostra gioia sempre sul mondo esterno, sulle cose e sui rapporti con gli altri, allora questo periodo non sarà passato invano, ci sarà servito.
Il simbolo della Pasqua è l’uovo, la rinascita, la vita che fiorisce da dentro. Lo sappiamo tutti, ne abbiamo esperienza: quando l’uovo si rompe da dentro genera la vita, quando si rompe da fuori al massimo possiamo fare una frittata.
Buona Pasqua.

Angelo Gavagnin
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