Gli scrittori della porta accanto
Piemme
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Recensione: Fazzoletti rossi, di Roberta Marasco

Recensione: Fazzoletti rossi, di Roberta Marasco

Recensione: Fazzoletti rossi, di Roberta Marasco

Libri Recensione di Stefania Bergo. Fazzoletti rossi di Roberta Marasco (Piemme - Il Battello a vapore). Un romanzo sull'adolescenza ad ampio spettro che tocca diversi temi, soprattutto il rapporto conflittuale delle ragazze col proprio corpo, con un punto di vista efficace.


Non mi piace per niente che sia tutto segreto. Lo fa sembrare sbagliato. Come se dovessi vergognarmi. Mi fa sentire sporca.
[...] Mi piacerebbe arrivare a scuola domani e che le mestruazioni non fossero un segreto per niente, anzi, che fosse fortissimo averle, tanto che tutte andrebbero in giro con un fazzoletto rosso, tipo, per vantarsene.
Roberta Marasco, Fazzoletti rossi
Camilla ha tredici anni e «un vuoto a forma di mamma». Insieme al fratellino minore e al padre si trasferisce nella grande e lussuosa casa della nuova fidanzata di papà, che ha una figlia di poco più grande di lei. Ma non è facile, per una adolescente, affrontare una nuova vita, senza il supporto di una madre, proprio nel momento di evoluzione psicofisica di una ragazza che si affaccia all'età adulta e deve fare i conti con le sue prime mestruazioni.
Camilla è timida e non propriamente popolare. Noi adulti diremmo originale, gli adolescenti, che subiscono sulla loro pelle la discriminazione, si sentono invece semplicemente diversi, spesso sbagliati, e a volte subiscono veri e propri atti di bullismo fisico e psicologico.

Fazzoletti rossi di Roberta Marasco è un romanzo sull'adolescenza ad ampio spettro. 

Il tema principale è legato alle mestruazioni, certo, ma tratta molti argomenti estremamente attuali e delicati, riuscendo ad amalgamare tutto in una storia dalle svariate sfumature, narrate in modo fluido ed efficace, con un linguaggio pulito, adatto ai giovani lettori, essendo Fazzoletti rossi indirizzato ad un pubblico di adolescenti.
Si parla di bullismo, ad esempio, soprattutto di quello perpetrato sul web. Quanti casi di cronaca ci hanno raccontato di ragazzine – le più esposte alla gogna mediatica, sebbene non le uniche – vittime di cyberbullismo, finite sotto i riflettori per via di video condivisi in rete con o senza il loro consenso? E molto intuitiva ed efficace è stata la scelta del ruolo giocato dalla co-protagonista, Luna, meglio conosciuta, proprio sul web, come Lunatika, celebre tik toker alle prese con la mania di perfezione fisica che spesso determina scelte alimentari dannose. Il suo personaggio, così astutamente attuale, è di sicuro appeal tra i giovani – appena ho detto alla mia bimba di quasi dieci anni che una delle protagoniste è una tik-toker si è incuriosita, ha sentito che Fazzoletti rossi poteva parlare anche di lei, non solo di qualcuno inventato – e consente di trattare anche la ricerca ossessiva dell'approvazione mediatica attraverso like e follower e il delicato tema dei disturbi alimentari, facendolo scivolare quasi con nonchalance, come uno dei vestiti alla moda di Luna.
C'è spazio anche per relazioni problematiche coi genitori. Camilla, come dicevo, deve affrontare nuovi equilibri famigliari, un'assenza prepotente – si affaccia anche il tema del dolore legato alla perdita –, e una presenza invadente, quella della matrigna e della sorellastra. Luna, concentrata sulla sua apparenza stereotipata, si deve invece misurare con una mamma femminista, che grida nelle piazze ma che ha messo da parte la sua passione per il disegno per dar modo al compagno di seguire la propria, che lo porta dall'altra parte del mondo.

Non è semplice parlare ai ragazzi di problematiche della loro età senza sembrare degli adulti facili alle ramanzine. Roberta Marasco è riuscita a mettersi dalla loro parte, a parlare la loro lingua.

Si tuffa nelle sfaccettature della pubertà e dell'adolescenza raccontandole quasi casualmente mentre racconta la storia di Camilla, di Luna e dei loro coetanei. Si tratta di ragazze e ragazzi con sensibilità e vite  differenti, «ognuno col suo viaggio, ognuno diverso». E tutto viene riferito con un punto di vista adolescenziale, così come è giusto che sia: valutare col senno di adulti maturi le pulsioni degli adolescenti che si affacciano alla vita non fa altro che aumentare la distanza tra genitori e figli; mettersi nei loro panni – noi possiamo farlo, loro no – ci aiuta a capirli e quindi, se serve, ad aiutarli.
Il fil rouge – non a caso, rosso – che lega l'intera trama, è comunque il rapporto conflittuale delle ragazze con il proprio corpo. Con un corpo che cambia, come accade col menarca, con il senso di vergogna e di sporco di cui, da sempre, le mestruazioni si macchiano. Con un corpo che assurge alla ossessiva perfezione, che appare così come gli altri lo vogliono, dettando legge nell'intimità del prossimo. Con un corpo che seduce e provoca, nella mente dei ragazzi, e che quindi è colpevole dei loro comportamenti sgradevoli.

Ma poi le ragazze di Fazzoletti rossi fanno pace col loro corpo. Fanno pace con se stesse e scoprono la sorellanza.

Il risvolto finale di Fazzoletti rossi l'ho trovato commovente. Tutto trova il suo spazio, si riduce l'entropia, come se fosse inevitabile. E ogni ragazza, proprio sfruttando la propria peculiarità, contribuisce alla svolta. La rivoluzione dei fazzoletti rossi ha la potenzialità di uscire dalle pagine del romanzo creando un legame con i giovani lettori – non solo ragazze, è una lettura senza pregiudizi –, facendo cadere il velo di omertà che ancora oggi, in modo del tutto anacronistico, copre le mestruazioni. Ma non solo. Mi ripeto, le mestruazioni sono solo un aspetto. Non è un romanzo che parla solo alle e di ragazze. Parla di prese di posizione chiare, di lotta a comportamenti discriminatori o insalubri per il singolo, dettati solo da una superficialità di gregge che rischia di trascinare con sé troppi dei nostri ragazzi. Isolare le mele marce e far sentire la propria sana voce collettiva è possibile, non è solo il lieto fine di un romanzo. Basta un tratto distintivo per aiutare a riconoscersi. Ad esempio un fazzoletto rosso.

Fazzoletti rossi

di Roberta Marasco
Piemme - Il Battello a vapore
Young adult
ISBN 978-8856674712
Cartaceo 12,75€
Cartaceo 6,99€

Sinossi

Camilla ha tredici anni e un vuoto a forma di mamma che la accompagna ovunque. Quando il padre decide di andare a vivere con la fidanzata, si ritrova anche una sorellastra, che per tutti è Annina, ma per lei è solo l'odiosa Anastasia. Luna ha un papà che vive a migliaia di chilometri di distanza per studiare i leoni marini (o forse erano elefanti?) e una mamma femminista sfegatata che passa il tempo nel suo studio a disegnare. Ma Luna è anche Lunatika, la tiktoker da milioni di visualizzazioni che le ragazzine adorano e che si è guadagnata la mitica coroncina. Quando Camilla e Luna si ritrovano nella stessa classe, non hanno niente in comune, anzi, a fatica si rivolgono la parola. Ma il giorno in cui un imbarazzante video di Camilla che parla delle sue prime mestruazioni diventa virale, tutto cambia. E la solidarietà tra ragazze si rivela più forte di ogni differenza.


Stefania Bergo
Non ho mai avuto i piedi per terra e non sono mai stata cauta. Sono istintiva, impulsiva, passionale, testarda, sensibile. Scrivo libri, insegno, progetto ospedali e creo siti web. Mia figlia è tutto il mio mondo. Adoro viaggiare, ne ho bisogno. Potrei definirmi una zingara felice. Il mio secondo amore è l'Africa, quella che ho avuto la fortuna di conoscere e di cui racconto nel mio libro.
Con la mia valigia gialla, StreetLib collana Gli scrittori della porta accanto (seconda edizione).
Mwende. Ricordi di due anni in Africa, Gli scrittori della porta accanto Edizioni.
La stanza numero cinque, PubMe Gli scrittori della porta accanto Edizioni.
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Tutta la verità su Ruth Malone, di Emma Flint: incipit

Tutta la verità su Ruth Malone, di Emma Flint: incipit

Tutta la verità su Ruth Malone, di Emma Flint: incipit

Incipit #180 Le rare notti in cui dorme riveste i panni della donna che era prima.



Tutta la verità
su Ruth Malone

di Emma Flint
Piemme
Thriller psicologico

ebook 9,99€
cartaceo 15,72€


Prima: di rado si addormentava in camicia da notte, su cuscini ben sprimacciati, la faccia lustra di crema idratante. Certe volte si svegliava in un letto sfatto accanto a una sagoma che russava; più spesso si svegliava da sola sul divano accanto a bottiglie quasi vuote e posacenere quasi pieni, la pelle impiastricciata di fumo stantio e del trucco del giorno prima, il corpo fiacco, la mente svuotata. Si alzava a sedere e sussultava, d’un tratto consapevole del torcicollo e del saporaccio triste e rancido in bocca.
Ora si sveglia, e non con l’impaccio di un mal di testa o con la spossatezza di una nottata fumosa alle spalle, ma con artefatta lucidità. Le sue giornate iniziano al suono di una campanella accompagnato da voci aspre, clangore metallico e grida. Dalle esalazioni corrosive di candeggiante e urina. E nelle sue mattine non c’è spazio per i ricordi.

Prima, tutte le mattine attraversava il corridoio per andare in cucina a mettere il caffè sul fornello. Si accendeva la prima sigaretta della giornata e ascoltava il mattino animarsi tutt’intorno: lo squillo della radio di Gina dall’alto, i passi pesanti di Tony Bonelli sulle scale. Porte sbattute, auto messe in moto. Nina Lombardo che sbraitava ai bambini della porta accanto.
Andava nel bagno in fondo al corridoio e chiudeva la porta a chiave. Frank se n’era andato da un anno e ancora lei non aveva capito di essere sola in casa. Si toglieva i vestiti del giorno prima e si lavava al piccolo lavandino: le mani, il viso, sotto le ascelle, sotto i seni, in mezzo alle gambe. A volte sentiva il proprio odore: quell’odore giallo e maturo che ancora considera suo soltanto e che la metteva in imbarazzo quando si svegliava in compagnia di qualcuno.
Come una cagna in calore, eh, tesoro?
Si strofinava in mezzo alle gambe con il ruvido asciugamano azzurro, con forza, fino a farsi male, senza alcuna pietà. Si strofinava a secco, tirava la pelle della coscia con la base del palmo per farla apparire soda un momento prima di lasciarla ricadere, bucherellata come al solito dalla cellulite. Appendeva l’asciugamano, si avvolgeva nella vestaglia e riattraversava il corridoio fino alla cucina dove si versava il caffè, e pensava allo zucchero nel barattolo senza mai metterne nemmeno un granello nella tazza.
Quindi la camera da letto, dove indossava un paio di pantaloni eleganti e una camicetta. Se più tardi aveva il turno di lavoro al Callaghan’s, prendeva la divisa, l’appendeva fuori dall’armadio per cercare macchie e fili tirati. Una camicetta inamidata stirata la domenica sera. Una gonna, un pelino troppo stretta. Le scarpe allineate, le punte unite, i tacchi eccessivamente alti per una cameriera che doveva stare in piedi quasi per tutta la notte. Ma i suoi occhi emanavano un bagliore particolare che faceva impennare le mance, che faceva volare le ore.
Poi si accendeva un’altra sigaretta, calzava le pantofole e portava il caffè in bagno. Solo allora, sveglia e all’erta, e con i vestiti a proteggerla, trovava il coraggio di guardarsi allo specchio.
Prima la pelle: la pelle sempre prima. Nelle giornate buone era diafana e liscia come una fotografia in bianco e nero. Nelle giornate meno buone, le macchie e le vecchie cicatrici che ne deturpavano la superficie dovevano essere nascoste. Posava la tazza sul bordo del lavandino, tirava dalla sigaretta e la lasciava in equilibrio nel posacenere sulla mensola.

Tutte le mattine si spalmava il fondotinta con le dita che tremolavano a seconda di quanto l’avesse turbata il riflesso allo specchio o del tipo di notte che aveva passato.

C’erano giorni in cui le mani le tremavano e le sudavano a tal punto che il trucco veniva tutto a chiazze, o la sua pelle era tanto segnata che due strati di fondotinta non sembravano fare alcuna differenza. In quei giorni lo spalmava prendendosi a schiaffi. Punendosi. E mentre lo faceva si guardava dritta negli occhi. Abbastanza forte da farsi male, non abbastanza da lasciare segni.
Poi la cipria, applicata fino a dipingere la maschera ormai familiare. Arricciava le labbra, spennellava il fard nell’incavo sotto gli zigomi, socchiudeva gli occhi finché il viso allo specchio non diventava un ovale indistinto, e controllava che le strisciate di colore fossero uniformi. Fatto. Batteva le palpebre, impugnava la matita, concentrandosi. Prima le sopracciglia: due arcate alte e meravigliate che le incorniciavano gli
occhi dalla forma allungata. Ombretto, eye-liner, tre passate di rimmel. Lavorava come un’artista: sfumava, ritoccava, marcava i colori. Di tanto in tanto tirava dalla sigaretta, beveva un sorso di caffè. Un’ultima impolverata di cipria; un velo di rossetto, ben tamponato; una pettinata veloce per cotonare i capelli; una spirale argentea di lacca. Finito. Solo allora riusciva a guardarsi in faccia.
Prima, era Ruth.
Ora è una delle venti donne infreddolite in una stanza rivestita di piastrelle, rannicchiate sotto uno stillicidio d’acqua tiepida. Venti pezzetti del peggior sapone in circolazione. Venti asciugamani logori su venti ganci arrugginiti.
Una volta entrata chiude gli occhi, si fa sorda alle grida rimbombanti, ai canti, alle imprecazioni. Finge di essere sola e si concentra completamente sulla pulizia. Non si sente mai abbastanza pulita. La prima settimana ha chiesto uno spazzolino per unghie e ora affonda le setole nel sapone, si concentra per raccogliere le verdi scaglie mollicce e formare un sottile strato di schiuma tra palmo e spazzola. E poi strofina, come quando dalle suore le lavavano la faccia fino a scorticarla. Chiude gli occhi e si rivede com’era allora: una minuscola tredicenne dal
petto piallato, i capelli flosci, la pelle del viso grassa e punteggiata da foruncoli rossi e bianchi. Sente l’acqua pungerle la pelle come allora, lo stesso odore di candeggina e vapore acqueo, perde la nozione dello spazio e sa che non ha molta importanza.

E quando le guardie le gridano di darsi una mossa riapre gli occhi, afferra l’asciugamano ruvido e si strofina fino a farsi male.

Più tardi prenderà il minuscolo specchio che le hanno concesso e guarderà un frammento del suo viso; lo vedrà lucido, grasso, foruncoloso e saprà che la punizione non è ancora finita.
Solo di rado solleverà lo specchio all’altezza degli occhi – rapidamente, come per non vedere il peggio – e si pettinerà le sopracciglia, si inumidirà le dita per incurvare le ciglia, per opacizzare la pelle e proverà a riconoscersi in quel riflesso. Le piccole vanità sono l’unica cosa che resta di lei.
Indossa in fretta la biancheria ingrigita e il vestito di cotone che le hanno dato, poi mette anche un maglione perché non ha mai abbastanza caldo. Attende l’ispezione – della branda, della cella, della sua persona –, quindi è ora di colazione.
Un tempo colazione evocava immagini da rotocalco di bricchi di caffè, pane tostato ancora tiepido e tocchi di burro scintillanti come raggi di sole. Di una mamma e un papà, e di bambini con i baffi di latte e le teste arruffate. Di sorrisi e baci e dell’inizio di una nuova giornata. Pensava che visioni come quelle l’avrebbero tirata fuori di lì, finché non si è resa conto che quelle immagini solari riemergevano durante la notte, e che lo splendore di quei sorrisi a colazione la faceva singhiozzare nell’oscurità. Ora si concentra su un momento alla volta. Sui rumori che rimbombano per le scale. Sul freddo corrimano di metallo. Poi sulla sensazione del vassoio e delle posate di plastica. L’odore di uova, di farina di granturco e di grasso. Il sapore del caffè amaro e i rumori che producono trecentoventiquattro donne quando masticano tutte assieme.

Quarta di copertina
Tutta la verità su Ruth Malone di Emma Flint (Piemme), 2019.

New York, una torrida estate del '65. Capelli cotonati rosso fuoco, pantaloni Capri, sigaretta tra le labbra: Ruth Malone, divorziata e giovane madre di due bambini, è la Marilyn del quartiere. Le piace bere, uscire, avere uomini diversi, specie ora che ha dato il benservito al marito Frank, con cui è in guerra per la custodia dei bambini. Cindy e Frank Jr. sono i suoi piccoli tesori, i capelli che pettina ogni mattina e le bocche che sfama ogni giorno, stando attenta che mangino abbastanza verdura.
Ma poi, un mattino, Ruth non li trova più nei loro lettini. La polizia arriva e subito qualcosa non quadra: trovano le bottiglie di bourbon vuote, i bigliettini d'amore di troppi uomini in una valigetta sotto il letto, e Ruth troppo truccata, troppo bella. Le vicine scuotono il capo: il Queens intero sembra traboccare di pettegolezzi e mezzi sussurri, "madre distratta", "l'ha fatto apposta".
Pian piano Ruth si accorge che la "verità" degli altri - senza prove a suffragarla, solo illazioni - le si sta chiudendo sopra come il coperchio di una bara. Solo Pete Wonicke, giornalista in cerca di storie, cercherà di guardare oltre le apparenze, innamorandosi di questa donna sbagliata, che pagherà la propria imperfezione nel modo più terribile.
Ispirato al caso di cronaca nera che sconvolse l'America degli anni '60, Tutta la verità su Ruth Malone è un thriller serratissimo, e al tempo stesso un romanzo magnifico e sorprendente. Ruth Malone: vi sembrerà di averla conosciuta davvero, e vi si spezzerà il cuore per lei.

★★★★★

Il buon giorno si vede dal mattino, dicono, e un buon incipit e una copertina accattivante possono essere il perfetto bigliettino da visita di un libro.
Secondo voi, quante stelline si merita il biglietto da visita di questo libro?

Tutti i nostri incipit:


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Recensione: Fino a quando la mia stella brillerà, di Liliana Segre e Daniela Palumbo

Recensione: Fino a quando la mia stella brillerà, di Liliana Segre e Daniela Palumbo

Recensione: Fino a quando la mia stella brillerà, di Liliana Segre e Daniela Palumbo

Libri Recensione di Stefania Bergo. Fino a quando la mia stella brillerà, di Liliana Segre e Daniela Palumbo (Piemme). Un romanzo necessario, che parla ai giovani lettori non solo di Olocausto, ma anche e soprattutto di indifferenza e sensi di colpa. 

Fino a quando la mia stella brillerà è un romanzo scritto da Daniela Palumbo che ha raccolto la testimonianza di Liliana Segre, allora bambina ebrea deportata ad Auschwitz. Il romanzo è edito nella collana Il battello a vapore, destinato quindi ai lettori più giovani, dai 12 anni in su.
Pur raccontando il buco nero di umanità che ha sventrato la razza umana durante la seconda guerra mondiale, Fino a quando la mia stella brillerà è una lettura che racconta in punta di piedi l'orrore dell'Olocausto attraverso gli occhi e le emozioni di una bambina, Liliana Segre. Una bambina come tante, bambina in un passato nemmeno tanto lontano, bambina come si è bambini oggi — come lo è mia figlia. Con una vita spensierata di giochi, amici, studio, passioni, interessi, affetti. Una vita che troppo presto ha iniziato a perdere i contorni, frastagliati dalla grettezza di un nemico che non si è palesato subito. Ha iniziato il suo attacco in sordina, con le prime restrizioni, le prime leggi — razziali — assurde che limitavano la libertà di quegli esseri umani colpevoli di essere nati con un sentimento religioso differente.

Non si spiega perché, Liliana, quando a otto anni è costretta a lasciare la scuola della sua città, Milano — doveva frequentare la terza elementare.

Ma la cosa che più la ferisce è l'indifferenza delle sue compagne di classe, della sua maestra. Perché magari una bambina non capisce il senso delle leggi razziali, ma l'indifferenza la capisce benissimo. È qualcosa che piano piano penetra fino alle ossa, sgretola i sogni di una giovane mente, le sue aspettative, le illusioni che gli esseri umani siano come una grande famiglia in cui tutti ci si aiuta e tutti si protesta contro le ingiustizie subite anche da uno solo dei suoi membri. Ma l'umanità non è una grande famiglia, è solo un'accozzaglia di individui che vivono uno rasente l'altro e, al bisogno — il proprio — si voltano di spalle per non vedere.

Daniela Palumbo ha scelto con Liliana Segre di sviluppare la trama di Fino a quando la mia stella brillerà in un modo a mio avviso molto efficace, diretto, proprio pensando all'età dei giovani lettori.

Nella prima parte viene narrata, in prima persona, la vita di Liliana dalla sua nascita agli otto anni. La vita di una bambina benestante, circondata da amici e affetti. Una famiglia che crea il proprio futuro, il proprio benessere, mandando avanti una ditta tessile e una scuderia, chiamata Balilla. Una bimba che perde la mamma troppo presto, ma con un padre meraviglioso che fa attenzione a non farle mai sentire la mancanza pur alimentando il ricordo di una madre mai conosciuta ma viva, nelle sensazioni, nell'aria che si respira nella sua bella casa elegante. Una famiglia allargata, in cui vivono anche i nonni, paterni e materni, fonte inestimabile di conoscenze e saggezza. E in cui vivono anche Susanna e Caterina, a servizio dalla famiglia Segre cui si legano fedelmente con reciproca stima. Una vita normale, serena, fatta di scuola, vacanze al mare, giochi e storie raccontate in giorni di pioggia, arricchita dalle foto dell'album di famiglia. L'abilità di Daniela Palumbo sta proprio in questo, nell'accendere un riflettore su una vita comune, in cui tanti bambini potrebbero identificarsi, e nel mostrare come quel riflettore ad un certo punto — nella seconda parte di Fino a quando la mia stella brillerà — abbia iniziato a bruciare le immagini, cambiando tutto. Per porre l'accento su un dettaglio terribile ma da tenere bene a mente: potrebbe capitare anche a noi, nulla ci mette al sicuro dalla crudeltà, perché quello che è accaduto dopo non è la punizione per una colpa commessa, ma la decisione assurda di una mente malata.

Molti sono gli amici della famiglia Segre che cercano di fornire una via di fuga almeno a Liliana, offrendosi di nasconderla, pur sapendo di rischiare essi stessi. Perché i veri amici, leali, questo fanno.

E Liliana Segre li ricorda tutti, con un affetto profondo e nostalgico, annoverando ciascuno di essi tra i Giusti.
Ma nulla mette al riparo Liliana e la sua famiglia dalla furia nazista. E la bambina — nella terza parte del romanzo — finisce ad Auschwitz. Separata subito dal suo papà di cui non saprà più nulla. Ma proprio l'amore di e per suo padre sarà la sua salvezza, ciò che la terrà in vita per oltre un anno di detenzione. Anche se restare vivi all'inferno forse non è una vera salvezza, è solo un inspiegabile istinto di sopravvivenza.
Daniela Palumbo raccoglie i ricordi di Liliana Segre e li vomita su carta. Non sono fintamente edulcorati, ma sono racconti di un orrore vissuto da bambina e, si sa, i bambini sperimentano la realtà con un filtro, che poi si perde crescendo, che aiuta loro ad adattarsi alle situazioni, anche le più terribili, senza perdere la speranza e l'innato bisogno di leggerezza. Quindi sono racconti crudi, diretti come pugni allo stomaco, ma calibrati sulla sensibilità dei giovani lettori, cui comunque non si possono raccontare favole per sempre, perché la conoscenza di certi avvenimenti è necessaria per andare oltre e non permettere che si commettano ancora gli stessi errori.

La terza parte del romanzo si sofferma appena sull'esperienza di Liliana Segre ad Auschwitz, come se il racconto dell'orrore non fosse così importante. Perché quello che deve essere raccontato ai bambini è il dopo.

Un ritorno ad una normalità che non esiste più. Non esistono più le proprie cose, i propri affetti. Si ritorna ad una routine di gente che vuole andare oltre e fa di tutto per scordare l'orrore della guerra. Addirittura negarne lo spettro più spaventoso, l'Olocausto. Perché è difficile credere che l'uomo possa arrivare a tanto. O forse, più semplicemente, perché sapere che mentre qualcuno continuava a vivere una vita apparentemente normale poco più in là si consumava l'aberrante degrado della nostra umanità, rendeva tutti complici, gettava su tutti una coltre di senso di colpa. E non è facile guardare negli occhi i sopravvissuti e sentire che nessuna scusa sarà mai abbastanza.
I sopravvissuti stessi, per anni, non hanno parlato. Quasi tutti. Un evento di tale portata va sedimentato per decenni — forse non sedimenta mai —, metabolizzato e poi raccontato, rivivendolo. Si arriva al punto che il lacerante dolore del ricordo non supera più l'urgenza di far sapere al mondo l'ingiustizia subita, proprio per evitare che accada ancora. E quel punto a volte scaturisce da un incontro, da un amore, da un'amicizia che condivide lo stesso fardello. Come è successo a Liliana.
Fino a quando la mia stella brillerà, di Liliana Segre e Daniela Palumbo, è uno dei tanti libri sull'Olocausto, un romanzo da leggere insieme ai nostri figli più piccoli o da far leggere in solitudine a quelli più grandi, pronti ad accogliere le loro domande e il loro turbamento. Perché l'educazione degli adulti di domani passa anche attraverso la forgiatura della loro coscienza.


Fino a quando la mia stella brillerà

di Liliana Segre e Daniela Palumbo
Piemme, Il Battello a vapore
Narrativa per l'infanzia 12+
cartaceo 8,41€
ebook 5,99€

Sinossi
Una testimonianza rivolta ai ragazzi, unica e commovente, su uno dei passi più cupi della storia dell'Uomo. La testimonianza di Liliana Segre, raccolta da Daniela Palumbo, inizia con la sua infanzia felice a Milano con il papà Alberto. Le leggi razziali però cambiano per sempre la loro vita; fino alla fuga (fallita) in Svizzera. Liliana e il padre vengono arrestati e deportati ad Auschwitz. Liliana ha 13 anni. Sopravviverà, ma il papà non tornerà. Ed è proprio a lui che Liliana dedica questo libro, che prosegue con il racconto del campo, della salvezza e del ritorno a casa. Ritorno difficile, segnato dalla sofferenza del vissuto personale ma anche dall'indifferenza dell'Italia del primo dopoguerra. Una sofferenza che verrà mitigata solo dall'affetto di una nuova famiglia e dal ruolo di testimone che Liliana assumerà negli anni successivi, soprattutto nei confronti dei giovani, simbolo di un futuro di speranza.


Stefania Bergo
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Mille splendidi soli, di Khaled Hosseini: pagina 69

Mille splendidi soli, di Khaled Hosseini: pagina 69

Mille splendidi soli, di Khaled Hosseini: pagina 69

Pagina 69 #157 Mille splendidi soli, di Khaled Hosseini (Piemme). Dall’intreccio di due destini, una storia indimenticabile che ripercorre la Storia di un paese in cerca di pace, dove l’amicizia e l’amore sembrano ancora l’unica salvezza.

Per i primi giorni Miriam quasi non uscì dalla sua stanza. All’alba la svegliava il lontano richiamo dell’azan e, dopo la preghiera, si trascinava nuovamente a letto. Sentiva Rashid che si lavava in bagno ed era ancora a letto quando lui entrava nella sua stanza per controllare che tutto fosse a posto prima di andare in bottega. Dalla finestra, lo osservava attraversare il cortile, assicurare la colazione al portapacchi della bicicletta che conduceva a mano fuori, sulla strada. Lo guardava allontanarsi pedalando, finché la sua massiccia figura spariva dietro l’angolo in fondo alla via.
Trascorreva intere giornate a letto, sentendosi disperatamente alla deriva. A volte scendeva in cucina e faceva scorrere le dita sul bancone appiccicoso e macchiato d’unto. I tendoni di nylon a fiori puzzavano di cibo bruciato. Apriva i cassetti sbilenchi e osservava i cucchiai e i coltelli scompagnati, il colino e le spatole di legno scheggiate, presunti strumenti della sua nuova vita. Tutto le ricordava la sciagura che l’aveva colpita, facendola sentire fuori posto, sradicata, come un’intrusa nella vita di un’altra persona.
Alla kolba il suo appetito era stato regolare. Qui, il suo stomaco raramente reclamava del cibo.



Quarta di copertina
Mille splendidi soli, di Khaled Hosseini

A quindici anni, Mariam non è mai stata a Herat. Dalla sua kolba di legno in cima alla collina, osserva i minareti in lontananza e attende con ansia l’arrivo del giovedì, il giorno in cui il padre le fa visita e le parla di poeti e giardini meravigliosi, di razzi che atterrano sulla luna e dei film che proietta nel suo cinema. Mariam vorrebbe avere le ali per raggiungere la casa di Herat, dove il padre non la porterà mai perché lei è una harami, una bastarda, e sarebbe un’umiliazione per le sue tre mogli e i dieci figli legittimi ospitarla sotto lo stesso tetto. Vorrebbe anche andare a scuola, ma sarebbe inutile, le dice sua madre, come lucidare una sputacchiera. L’unica cosa che deve imparare è la sopportazione.
Laila è nata a Kabul la notte della rivoluzione, nell’aprile del 1978. Aveva solo due anni quando i suoi fratelli si sono arruolati nella jihad. Per questo, il giorno del funerale, le è difficile piangere. Per Laila, il vero fratello è Tariq, il bambino dei vicini, che ha perso una gamba su una mina antiuomo ma sa difenderla dai dispetti dei coetanei; il compagno di giochi che le insegna le parolacce in pashto e ogni sera le dà la buonanotte con segnali luminosi dalla finestra.
Mariam e Laila non potrebbero essere più diverse, ma la guerra le farà incontrare in modo imprevedibile.


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Recensione: Il cacciatore di aquiloni, di Khaled Hosseini

Recensione: Il cacciatore di aquiloni, di Khaled Hosseini

Recensione: Il cacciatore di aquiloni, di Khaled Hosseini

Libri Recensione di Ornella Nalon. Il cacciatore di aquiloni di Khaled Hosseini, Piemme, edizione 2014. Un bellissimo e intenso romanzo destinato a  imprimersi nella memoria.

Amir e Hassan sono compagni di giochi inseparabili, ma non sono amici, non possono esserlo. I loro diversi ceti sociali hanno decretato che l'uno, di casta pashtun, possa studiare e ambire a qualsiasi attività, l'altro, di casta hasara, debba rimanere nell'ignoranza e il suo ruolo non può che essere quello del servo.
I loro rapporti devono rimanere per sempre su un piano differenziato.
Eppure, Amir, pur trovandosi nella posizione più agevolata, molto spesso si trova nella condizione di invidiare il suo piccolo servitore. A differenza sua, egli è naturalmente dotato di scaltrezza, perspicacia e di coraggio e sembra che, molto più di lui, corrisponda al modello di figlio ideale per suo padre.
Il loro rapporto sarà destinato a deteriorarsi quando Hassan subirà una terribile violenza  da  un terzetto di teppisti e Amir ne sarà testimone senza avere il coraggio di intervenire per accorre in suo aiuto. Da quel momento, il suo senso di colpa lo perseguiterà e lo indurrà a escogitare un sistema per allontanare Hassan e suo padre dalla sua casa e dalla sua famiglia.
Così, i bambini saranno destinati a crescere separatamente e la loro storia avrà un unico punto di connessione solo quando saranno adulti. Hassan continuerà a vivere in Afghanistan, mentre, in seguito all'invasione dei Russi, Amir e il padre si trasferiranno in America.


Il cacciatore di aquiloni di Khaled Hosseinin è romanzo di formazione dalla rilevante componente emotiva. 

Scritto in maniera fluida con un ritmo che sa tenere magistralmente in tensione, non ho alcuna difficoltà a considerarlo uno dei libri contemporanei che mi hanno maggiormente conquistata.
I personaggi sono descritti con una profondità tale da delinearne persino l'aspetto.
Il grande e possente Baba, padre di Amir, irreprensibile e indomito che vorrebbe riscontrare le sue stesse qualità nel figlio ma che, non trovandole, manifesta la sua delusione con un atteggiamento di pacata freddezza. Amir, bambino estremamente sensibile, avverte il distacco del padre e trascorre tutta la sua infanzia cercando di conquistarne la fiducia, pur tuttavia sentendosi sempre inadeguato. Crede di ottenere un piccolo successo quando risulta vincitore della gara di aquiloni e Baba, finalmente, lo guarda con orgoglio. Ma tutto svanisce e peggiora con la vicenda della violenza subita da Hassan. Solo da adulto riuscirà a perdonarsi e a passare oltre quando cercherà di riparare ai suoi vecchi torti con un atto di coraggio che lo porterà a sfidare persino la morte.
Hassan, come detto in precedenza, è un bambino molto sveglio e sopperisce alla mancanza degli insegnamenti scolastici con la scaltrezza e la curiosità che gli consentono di imparare alla scuola della vita. Accetta la sua condizione di subalternità con naturalezza e affronta le avversità con stoica rassegnazione, senza per questo lasciarsi sopraffare dalla loro forza d'impatto.
Ben descritti, anche se in maniera meno dettagliata considerata la loro minore rilevanza, gli altri personaggi come, ad esempio, Assef che nasconde la sua naturale perfidia e lascivia dietro il paravento dell'integralismo talebano, o della dolce Soraya che per avere seguito una scelta dettata dal cuore, per anni viene additata e perseguitata da maldicenze e finalmente salvata da Amir che, nonostante tutto, decide di sposarla.

Le vicende dell'esistenza dei personaggi de Il cacciatore di aquiloni si stemperano nell'arco di circa un trentennio, durante il quale l'Afghanistan è stato terreno di occupazioni militari.

Prima dell'armata rossa e poi dei talebani che hanno avuto degli effetti devastanti sul paese, facendogli conoscere una forte retrocessione dei diritti civili, in primis di quelli delle donne.
Khaled Hosseini non tralascia le vicende storiche che hanno segnato il suo paese, ma non appesantisce il suo romanzo con tediose descrizioni. Le accenna e ne delinea le tragiche conseguenze, invogliando il lettore ad approfondire per conto proprio le conoscenze. È una questione di misura. Dopotutto, questo romanzo altro non è che un insieme equilibrato di elementi: la formula vincente che fa di esso davvero un grande romanzo.
Sembra quasi incredibile che Il cacciatore di aquiloni sia un'opera prima.  


Il cacciatore di aquiloni

di Khaled Hosseini
Piemme
Narrativa
ISBN 8868367300
cartaceo 6,71€
ebook 7,99€

Sinossi
Si dice che il tempo guarisca ogni ferita. Ma, per Amir, il passato è una bestia dai lunghi artigli, pronta a riacciuffarlo quando meno se lo aspetta. Sono trascorsi molti anni dal giorno in cui la vita del suo amico Hassan è cambiata per sempre in un vicolo di Kabul. Quel giorno, Amir ha commesso una colpa terribile. Così, quando una telefonata inattesa lo raggiunge nella sua casa di San Francisco, capisce di non avere scelta: deve tornare a casa, per trovare il figlio di Hassan e saldare i conti con i propri errori mai espiati. Ma ad attenderlo, a Kabul, non ci sono solo i fantasmi della sua coscienza. C'è una scoperta sconvolgente, in un mondo violento e sinistro dove le donne sono invisibili, la bellezza è fuorilegge e gli aquiloni non volano più.

Ornella Nalon
Ornella Nalon
I miei hobby sono: il giardinaggio, la buona cucina, il cinema e, naturalmente, la scrittura, che pratico con frequenza quotidiana. Scrivo con passione e trasporto e riesco a emozionarmi mentre lo faccio. La mia speranza è di trasmettere almeno un po’ di quella emozione a coloro che leggeranno le mie storie.
Quattro sentieri variopinti, Arduino Sacco Editore
Oltre i Confini del Mondo, 0111 Edizioni
Ad ali spiegate, Edizioni Montag
Non tutto è come sembra, 0111 Edizioni.
Una luce sul futuro, Gli scrittori della porta accanto Edizioni.
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Recensione: La libraia dai capelli rossi, di Suzanne Kearns

Recensione: La libraia dai capelli rossi, di Suzanne Kearns

Recensione: La libraia dai capelli rossi, di Suzanne Kearns

Libri Recensione di Ornella Nalon. La libraia dai capelli rossi di Suzanne Kearns, Piemme, edizione 2006. Un romanzo stile Harmony, con ancora meno mordente. 

Joshua ama il mare e la pesca, ma non riesce ad amare le donne. A trent'anni suonati deve ancora imparare a lasciarsi andare ai sentimenti perché teme il dolore dell'abbandono. Proprio quello che ha dovuto subìre lui, da bambino, a seguito del suicidio della madre. Pur essendo cresciuto con l'amore e con le soffocanti attenzioni di Edith e del marito che avevano accolto in casa Grace quand'era ancora incinta, non è mai riuscito a superare il trauma della sua morte che peserà sempre nel suo cuore come un macigno e continuerà a influire su tutte le sue scelte.
Quando a Bell Island arriva Isabella, Joshua ne viene irrimediabilmente attratto. Lui, che non era mai stato un grande lettore, finisce col visitare la libreria della nuova arrivata con assiduità, di certo più per la sua folta capigliatura rossa e la sua frizzante verve che per i libri che vende.
Questo è l'esordio della loro storia d'amore che, all'inizio, sembra coinvolgere entrambi in modo deciso, ma che, in seguito, lascerà apparire le proprie lacune.
Come il solito, l'uomo non riesce ad abbandonarsi all'amore che sta provando e a concedere tutto se stesso alla donna che pur crede di amare. Questo atteggiamento procura dolore a Isabella, tant'è che alla fine decide di fuggire da quella storia e da quell'isola.
Tutto sembra tornare come prima, se non fosse che Joshua trova nella cassetta della posta una lettera scritta da sua madre ed altre ne troverà in seguito. Sono le memorie di una donna che non ha avuto la possibilità di vedere crescere il figlio e a cui, forse, la verità è stata negata. Queste lettere rosa profumate di lavanda saranno il vaso di Pandora che farà scoprire all'uomo tutta una serie di segreti e di menzogne che lo sconvolgeranno sin nel profondo, ma che avranno anche la funzione di sciogliere, finalmente, quel nodo di diffidenza che, per anni, gli ha ostruito il cuore.

La libraia dai capelli rossi di Suzanne Kearns è una storia breve, che, per come è scritta, sembra quasi il riassunto di un romanzo. 

In realtà, il testo è abbastanza scorrevole, ma questa è l'unica qualità che gli posso riconoscere.
La storia ha la particolarità di essere scontata e allo stesso tempo inverosimile. Posso comprendere che crescere sapendo che la propria madre è morta sucida  comporti alcuni squilibri comportamentali, ma in questo caso Joshua viene descritto come un emerito ebete. Non fa nulla per non perdere la fidanzata, ma poi la rincorre, e ancora la molla e se la va a riprendere un'altra volta. E i suoi genitori adottivi? Dopo avere scoperto le loro mancanze, alcune di una gravità assoluta, non si decide a prendere una posizione nei loro confronti; in un continuo tira e molla si arrabbia, poi perdona, poi si arrabbia di nuovo e di nuovo perdona. Tutta la seconda parte del romanzo verte sui suoi altalenanti comportamenti tra fidanzata e genitori.
E poi,  risulta davvero poco credibile che tutti i suoi problemi, e abbiamo visto che ne ha parecchi, si risolvano subito dopo avere letto qualche lettera di sua madre. Lettere  che, peraltro, essendo scritte da una povera donna che si trova nel letto di morte, dovrebbero riportare concisamente quanto vuole svelare al figlio e invece risultano piuttosto prolisse e ricche di dettagli.
Ma chi ha recapitato le lettere a Joshua, considerato che Grace risulta essere deceduta? Anche qua la risposta è illogica. Non svelo il nome della persona per non fare troppo spoiler, ammesso che qualcuno, nonostante tutto, volesse leggere questo romanzo, dico solo che non si capisce il motivo per cui abbia aspettato così tanto tempo per farlo e per quale malsana decisione abbia pensato di spedire le lettere anziché consegnarle direttamente in mano al destinatario.
Certo, un romanzo ha bisogno di qualche colpo di scena per essere più interessante, ma se dev'essere assurdo e illogico, molto meglio che non ci siano.
Ancora una volta non riesco a spiegarmi come un'opera prima di così basso livello, com'è La libraia dai capelli rossi di Suzanne Kearns, possa essere tradotta in diverse lingue e pubblicata in Italia da una grande casa editrice come la Piemme. Misteri dell'editoria!


La libraia dai capelli rossi

La libraia dai capelli rossi 

di Suzanne Kearns
Piemme
Narrativa
ISBN 8838477124
cartaceo 8,80€

Sinossi
Joshua McKeon ha più di trent'anni, eppure l'amore, quello vero, non sa cosa sia. Isabelle, l'unica donna ad aver scalfito il suo cuore diffidente e indurito, si è stancata di aspettare e l'ha lasciato senza una riga, né un indirizzo. Le sue risate, i suoi libri e la sua cascata di riccioli rossi ormai sono solo un ricordo. Un giorno, però, un anonima busta color ciclamino scuote la vita di Joshua: la scrittura e il delicato profumo di lavanda sono quelli di sua madre, Grace, morta suicida quando lui aveva appena sei anni. Ben presto, le lettere diventano due, poi tre, quattro..., ognuna racconta un pezzetto di Grace, ognuna contiene una scheggia del suo passato perduto. Ma i misteri, che affiorano sempre più numerosi, spingono Joshua a indagare.

Ornella Nalon
Ornella Nalon
I miei hobby sono: il giardinaggio, la buona cucina, il cinema e, naturalmente, la scrittura, che pratico con frequenza quotidiana. Scrivo con passione e trasporto e riesco a emozionarmi mentre lo faccio. La mia speranza è di trasmettere almeno un po’ di quella emozione a coloro che leggeranno le mie storie.
Quattro sentieri variopinti, Arduino Sacco Editore
Oltre i Confini del Mondo, 0111 Edizioni
Ad ali spiegate, Edizioni Montag
Non tutto è come sembra, 0111 Edizioni.
Una luce sul futuro, Gli scrittori della porta accanto Edizioni.
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Recensione: La donna di Einstein, di Marie Benedict

Recensione: La donna di Einstein, di Marie Benedict

Recensione: La donna di Einstein, di Marie Benedict

Libri Recensione di Davide Dotto. La donna di Einstein di Marie Benedict, Piemme 2017. Un romanzo dedicato a Mileva Marić, fisica, matematica e prima moglie di Albert Einstein.

Dov’era il mio nome? Ripartii da capo e rilessi con calma ogni parola, ma non c’era. Mileva Marić Einstein non compariva neanche in una nota a piè di pagina. Sotto il titolo, di nuovo un solo autore: Albert Einstein.
Mileva ha affrontato e superato diverse prove: è una donna, è slava, vive nell’Impero Austroungarico dove regnano ordine e gerarchia, inconciliabili con aspirazioni che, per concretizzarsi, trovano fin troppe porte chiuse.
Non serve bussare e attendere che qualcuno venga ad aprire, o spiani la strada. È una sfida meno che scontata prendersi quello che le spetta, vincere le scoperte ostilità dell’universo maschile e gli scrupoli che la spingono a vigilare sulla propria intelligenza, a tenere per sé quello che ha da dire o da rispondere.
Mileva riesce a entrare al Politecnico di Zurigo, dove studia fisica e matematica. Ha l’aria di un cane sciolto, non ha alcuna intenzione di fraternizzare, né di ricevere l’altrui approvazione.

È determinata quanto basta per non permettere nemmeno a un tipo come Albert Einstein di scalzarla. 

Invero, con il giovane intreccerà una tortuosa relazione culminata, nel 1903, nel matrimonio.
Non mi sarei fatta cogliere di sorpresa. Non sarei fuggita. Avrei afferrato la mia occasione a piene mani e mi sarei forgiata il futuro che sognavo. Il mio futuro.
Dal giovane Einstein riceve i primi incoraggiamenti. Impara molto da lui, dice, «nonostante i modi frivoli», sfacciati e impudenti.
Il futuro insieme è irto di difficoltà e le rinunce inevitabili. Einstein deve trovare un lavoro per mantenere la famiglia. Le cose si complicano ulteriormente: gli intoppi ai reciproci sogni obbligano  Albert ad accontentarsi dell' impiego (provvidenziale) all’ufficio brevetti di Berna. A farne le spese è Mileva, già madre di una figlia nata fuori dal matrimonio, cui ha dato nome Lieserl.
Ti scongiuro, vieni in Svizzera! Magari non proprio a Berna, dove la gente chiacchiererebbe; magari a Zurigo, in modo che ci possiamo vedere con maggiore facilità. E vieni da sola. Vieni senza la piccola.

Qual è il vero avvenire di Mileva Marić, moglie di Albert Einstein? 

Sua madre aveva avuto da ridire sugli incitamenti del padre, che puntava sulle capacità intellettive della ragazza, grazie alle quali avrebbe potuto aprirsi un varco nel mondo della scienza. È grazie a una dispensa ottenuta che la ragazza poté proseguire negli studi e frequentare le superiori.
Da che ero nata, non aveva fatto altro che ripetermi che avevo la responsabilità di coltivare la mia mente.
A cose fatte non c’è tempo per dubbi e ripensamenti. Mileva ha il diritto di perseguire entrambe le strade: le ambizioni scientifiche – collaborando con Albert – e gli impegni famigliari inderogabili. Tuttavia i fronti sui quali la donna di Einstein deve confrontarsi sono troppi e non sono sufficienti l’intelletto, la volontà ferrea. Al sogno di una vita si antepongono un marito, le faccende domestiche, i figli. Il signor Einstein rappresenterà un problema non da poco.
«Forse, se fossi libero di andare dove voglio…» borbottò Albert quasi tra sé. Quasi.
Lo fissai sbalordita. Troppo stupefatta per parlare, a dirla tutta. Si stava riferendo a me? Sul serio stava dicendo che avevo imposto dei limiti geografici alla sua ricerca di un impiego e che era stato quello a scatenare tanti rifiuti? O che avevo avanzato qualche altro tipo di pretesa che lo stava danneggiando?»

Le cose avrebbero potuto funzionare meglio se tra i coniugi vi fosse stata una maggior simmetria e reciprocità, non invece una unilateralità di sacrifici. 

Questo il tema principale del romanzo.
Alla storia si aggiunge una questione molto dibattuta, venuta alla luce una trentina d’anni fa in occasione del ritrovamento di un carteggio tra Albert e Mileva: la discussione sui contributi di Mileva Marić ai lavori di Albert Einstein.
Scopo del romanzo non è dire l’ultima parola su un argomento tanto controverso. Piuttosto è quello di riequilibrare i meriti di ciascuno, dandone il giusto rilievo. Mileva non fungeva da segretaria. Aveva la preparazione e la cultura necessarie per rendersi coautrice delle teorie del marito. Essendo entrambi fisici, lo scambio di vedute avveniva da pari a pari.
Della vita di Einstein è stata tratta, nel 2017, la prima stagione della serie Genius andata in onda su National Geographic, con Geoffrey Rush, Emily Watson, Johnny Flynn, Samantha Colley.


La donna di Einstein

di Marie Benedict
Piemme
ISBN 978-8856660029
Cartaceo 15,72€
Ebook 9,99€

Sinossi
C'è un personaggio nella vita di Albert Einstein senza il quale la sua storia - e la nostra - non sarebbero quello che sono. Fu il suo più grande amore, ma anche qualcosa di più: la donna che lo ispirò, lo incoraggiò e lo aiutò a concepire quella formula che avrebbe cambiato il mondo. Mitza Marić era sempre stata diversa dalle altre ragazzine. Appassionata di numeri, fu la prima donna a iscriversi a fisica all'università di Zurigo, più interessata a quello che non a sposarsi come la maggior parte delle sue coetanee. E quando a lezione incontrerà un giovane studente di nome Albert Einstein, la vita di entrambi prenderà la strada che era fin dall'inizio scritta nel destino. La loro sarà un'incredibile unione di anime e menti, un amore romanzesco e tormentato, destinato a finire e, allo stesso tempo, a restare nella storia.

Davide-Dotto

Davide Dotto
Sono nato a Terralba (OR) vivo nella provincia di Treviso e lavoro come impiegato presso un ente locale. Ho collaborato con Scrittevolmente, sono tra i redattori di Art-Litteram.com e curo il blog Ilnodoallapenna.com. Ho pubblicato una decina di racconti usciti in diverse antologie.
Il ponte delle Vivene, Ciesse Edizioni.
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