Gli scrittori della porta accanto
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Recensione: Potevo essere io, di Roberta Roncone

Recensione: Potevo essere io, di Roberta Roncone

Recensione: Potevo essere io, di Roberta Roncone

Libri Recensione di Elena Genero Santoro. Potevo essere io – 10 regole per salvarci la vita: il primo manuale per riconoscere e difendersi dalla violenza di genere di Roberta Roncone (Independently published). Un decalogo di regole, tutte introdotte da testimonianze di abusi che sono stilettate nello stomaco, con l’intento di rendere consapevoli le future vittime di ciò che non va nella loro relazione, in modo che ne possano prendere le distanze.

I doveri della sposa:
  • Voler bene al marito
  • Rispettarlo come capo
  • Obbidirlo come nostro superiore
  • Assisterlo con premura
  • Ammonirlo con reverenza
  • Rispondergli con grande mansuetudine
  • Tacere quando è alterato
  • Pregare per esso il signore
  • Sopportare i difetti
  • Schivare la familiarità con altri uomini
  • Non consumare la roba in vanità
  • Essere sottomessa alla madre dei mariti ed ai suoi vecchi
  • Umile e paziente con le cognate
  • Prudente con quelli della famiglia
  • Amante della casa
  • Riservata nei discorsi
  • Osservatrice dei doveri religiosi.
Questo elenco, tratto da un manifesto ecclesiastico del 1895, elenca i doveri delle buone spose. Gira su Internet da tempo.
Meno noto ai più è che esiste anche un analogo elenco per gli sposi, che vengono invitati a essere pazienti e a “non dimenticarsi della moglie e dei figli quando sono fuori casa” (il che è già di più di quello che certi mariti fanno nella realtà), ma questo sempre sottolineando che l’uomo è il capo e il padrone, mentre la donna deve rimanere defilata a ubbidire sorridendo.
Roba superata?
Non del tutto.

Il Nuovo Diritto di Famiglia, che mette i coniugi sullo stesso piano, ha la mia età, è del 1975.

Mia madre, nel '71, si è ancora sposata come figura subalterna, legalmente parlando.
Nonostante questo, dopo cinquant’anni abbiamo ancora, volenti o nolenti, degli imprinting da cui non ci liberiamo.
Il primo è che l’uomo e la donna ricoprono ruoli ben definiti: lui lavora, lei sforna figli e li alleva. E poi magari ha un impiego anche lei, ma la priorità è essere l’angelo del focolare, il riferimento per la prole. Su questo punto la civiltà ci sta lavorando. Siamo ancora lontani, ma la strada è tracciata.
Il secondo imprinting è la sacralità del matrimonio, o comunque della relazione. Quella istituzione che in passato non aveva nemmeno le ragioni dell’innamoramento, ma solo quelle economiche e sociali, e che in Italia è stato possibile sciogliere solo dal 1975 col divorzio, aveva la priorità sulla felicità individuale.

Mia nonna, le sporadiche volte in cui mia madre ha litigato con mio padre, anziché difenderla o anche solo lasciarla sfogare, la riprendeva affinché mettesse da parte l’orgoglio e non mandasse a monte il matrimonio.

Ora, posso dire che tra i miei genitori non è mai successo nulla di così grave, ma il presupposto di mia nonna è degno di nota. Approccio che spesse volte è stato replicato da mia madre verso di me quando ho espresso rimostranze verso il mio attuale marito. Il leitmotiv è sempre che per tenere in piedi la sacra unione, bisogna sacrificarsi, bisogna soffrire, bisogna fare dei passi indietro, a prescindere. E se da un canto è giusto impegnarsi per la propria relazione come progetto comune e scelta di vita, bisogna ricordarsi che compiacere il partner non è la priorità.
Il terzo imprinting che ci portiamo dietro dalla storia è l’assoluta ignoranza delle numerose personalità (folli) in cui possiamo imbatterci.
Un marito può, ipoteticamente, anche essere, per definizione, il “capo” del suo nucleo, comandare, decidere le sorti della famiglia. Ma chi garantisce che sia davvero in grado di farlo, o che non sia un balordo o un cretino? Chi lo certifica? In passato, il diritto divino.
Un po’ come quando nelle aziende vengono tenuti dei corsi per migliorare l’interazione tra colleghi, senza tenere conto che ci possono essere personalità abnormi per le quali le ordinarie strategie di captatio benevolentiae e di gestione dei conflitti non avranno mai successo.

Con queste zavorre che ci trasciniamo dietro dai secoli scorsi, eccoci nel presente, a dover gestire relazioni e azioni che oggi vengono – in parte – riconosciute come abusanti, violente, non consensuali.

Eppure, fino a qualche decennio fa – nel 1981 valeva il delitto d’onore – erano semplicemente la norma, con poche eccezioni. Tipo che una donna era tenuta a concedersi al marito anche se non ne aveva voglia. Che il sesso nel matrimonio era un dovere. Che lo stupro era un delitto contro l’onore e che la donna disonorata veniva riabilitata sposando il violentatore.

Oggi iniziamo a chiamare le cose con il loro nome (abusi e violenze), ma non sappiamo come riconoscerle né come affrontarle.

A volte non lo sanno neanche i terapeuti: non tutti sono in grado di distinguere gli abusi, non tutti mettono su piani diversi abusante e vittima.
Non lo sanno fare neppure i giornalisti, che continuano a confondere abusante e vittima: la vittima ha subito violenza, però aveva bevuto, però era vestita succinta, però lo aveva lasciato.
Allo stesso modo fino a qualche decennio fa era giudicato normale lo squilibrio di potere economico e sociale tra coniugi, che apre la porta agli abusi successivi.

E allora ben venga il libro di Roberta Roncone, Potevo essere io, che segue la creazione di un’omonima pagina di Instagram che raccoglie le testimonianze di vittime di abusi e di violenza di genere.

Le vittime che scrivono sono in maggioranza donne, e perché le donne sono più disposte a raccontarsi, e perché numericamente più colpite, ma la violenza di genere è un concetto più ampio. La violenza di genere è la violenza causata dal genere o dal sesso di una persona, ma può essere anche rivolta agli uomini.
In un mondo in cui la parola “narcisista” è ormai usata a sproposito, Roberta Roncone vuole evitare etichette e non si addentra nell’analisi delle personalità abusanti. “Si dice il peccato, non il peccatore” e infatti l’autrice sceglie di descrivere i comportamenti abusanti senza dare spazio alle motivazioni di chi li mette in opera. Che comunque non potrebbero costituire delle giustificazioni.

Roberta Roncone scrive un decalogo di regole, tutte introdotte da testimonianze di abusi che sono stilettate nello stomaco, con l’intento di rendere consapevoli le future vittime di ciò che non va nella loro relazione, in modo che ne possano prendere le distanze.

Infatti il primo passo è la consapevolezza. È il riconoscimento che c’è un meccanismo sbagliato alla base. Che situazioni che siamo abituati a ritenere normali, perché in passato erano considerate tali, non lo sono affatto.
Come la gelosia, per esempio. C’è un retaggio culturale che ci fa credere che una certa dose di gelosia sia espressione di amore. In realtà nell’amore la gelosia non dovrebbe essere contemplata, in quanto si suppone che la fiducia non la renda necessaria e poi sarebbe difficile stabilire un confine, una misura di fin dove si possa spingere la cosiddetta gelosia "sana".
Avevo una conoscente che il marito obbligava a chiamare casa dal telefono dell’ufficio prima di lasciare la sede per rientrare la sera. Lui poi prendeva i tempi che lei ci metteva per tornare, nel dubbio che potesse fare deviazioni non consone. Lei lo difendeva: «Fa così perché mi ama, perché è protettivo». A noi altri questo marito pareva solo ossessivo. Ma lei ci teneva un sacco a contornare la sua immagine con un’aura di perfezione. Poi il matrimonio è naufragato molto male, indovinate un po’?, per un problema di fiducia.

Roberta Roncone spera che le vittime aprano li occhi, acquisiscano consapevolezza e imparino a difendersi.

Il suo intento non è colpevolizzare le vittime: non lo fa mai, anzi le accoglie tutte a braccia aperte. Ma vuole dare loro una chiave di lettura per identificare ciò che non funziona e salvarsi da sole fintanto che la società non evolve.
Non è mai colpa della vittima, ma ci vuole capacità di discernimento per mettersi al sicuro. La regola numero uno è quella di fidarsi del proprio intuito. Se già da subito ci sono aspetti che non quadrano, non bisogna ignorarli. Non bisogna convincersi che vada tutto bene. Non bisogna farsi piacere una persona per forza anche se gli altri ci dicono che è in gamba, ha un buon lavoro e che insieme saremmo una bellissima coppia.

Anni fa, all’uscita da una relazione abusante, mentre raccoglievo i cocci della mia vita, comprai un libro per non incappare negli errori commessi in precedenza.

Era una specie di manuale su come trovare l’anima gemella e all’epoca non parlava né di narcisismo né di abusi. Diceva una cosa molto basilare e assolutamente vera: l’innamoramento è una fase bellissima, ma se vogliamo stare con una persona a lungo dobbiamo avere noi per primi in testa una lista di requisiti inderogabili e non negoziabili che il partner deve avere. Quali siano i requisiti inderogabili lo stabiliamo noi; io di default ci metterei il rispetto. Se per esempio soffro di asma e incontro una persona che fuma due pacchetti al giorno anche in casa e non intende smettere, presumibilmente insieme non faremo molta strada. Idem se incontro uno che ama i rettili tanto da avere una teca in ogni stanza e mettersi un pitone nel letto mentre io detesto i serpenti. L’amore vince su tutto? Secondo quel libro no. Alla lunga ci si logorerebbe sulle questioni su cui non è possibile raggiungere un compromesso. Il consiglio era di uscire, conoscersi per alcune occasioni e chiudere molto in fretta appena si riscontrano montagne insormontabili. È un metodo freddo, calcolato, che non tiene conto del sentimento? Può essere, ma non poi così sbagliato, perché in primis induce a non fingere di essere diversi da come si è e da avere rispetto per se stessi.

Il libro di Roncone in realtà pone l’accento su altri dettagli, ma in comune col manuale letto nei primi Duemila c’è un consiglio fondamentale: bisogna ascoltare e ascoltarsi.

E poi, in Potevo essere io grossa parte è dedicata all’analisi di tutti i meccanismi di violenza psicologica, che è quella largamente più diffusa. Perché non tutti i partner violenti arrivano all’omicidio, allo stupro o ad alzare le mani. Qualcuno non lo farà mai e si scandalizzerà all’ennesimo Turetta salito alla ribalta della cronaca. Il che non significa che non possa rendere la nostra vita un inferno.

La violenza psicologica si manifesta con critiche continue, con la demolizione sistematica della nostra figura, magari mascherata da consigli, da premura.

«Lo dico perché ti voglio bene, per aiutarti a migliorare.» Non è vero: l’unico scopo è la demolizione dell’autostima della vittima, per averne il controllo e il potere.
Il mio abusante mi disse: «Cerca pure un lavoro, se ti va, ma la responsabilità dello stipendio è dell’uomo». Lo disse col fare paternalistico di quello che vuole essere rassicurante e protettivo. Negli anni compresi che dietro si celava ben altro. Il controllo economico è violenza. L’amore su condizione è violenza.

Roncone descrive le fasi iniziali di una relazione non sana, il love bombing, la passione sfrenata, quando tutto è troppo bello per essere vero.

Infatti non è vero. Il love bombing sostituito da silenzi punitivi, critiche continue, pressioni, rinforzo intermittente. Ci sono persone che non sanno amare, ma vogliono il nostro amore per nutrirsene. Che in base a quello che dicono sembra che ci detestino: «Perché non metti mai la gonna?», «Perché non tagli i capelli?», «Perché devi uscire sempre con la tua amica?», «Perché sei sempre così permalosa?», «Perché non prendi una laurea?», «Perché non stiri le mie camicie?».
E noi a domandarci: «Perché sta con me se sembra che di me non gli vada bene niente? Forse perché in fondo mi ama, anche se ho dei difetti».
La notizia è: non sembra che ci odino. Ci odiano per davvero. Non stanno con noi perché ci amano, ma per esercitare il loro potere. Quello che un tempo agli uomini veniva riconosciuto senza discussione.

Ma c’è anche una buona notizia: i centri antiviolenza esistono. I gruppi di ascolto anche. Roncone ne parla a lungo nell’ultimo capitolo.

Ed esistono anche persone abusanti, in maggioranza uomini, che prendono coscienza di aver seguito dinamiche sbagliate.
Nel ringraziare Roberta Roncone per il grande lavoro svolto, invito tutti a leggere il suo libro Potevo essere io. C’è speranza.



Potevo essere io
10 regole per salvarci la vita: il primo manuale per riconoscere e difendersi dalla violenza di genere

di Roberta Roncone
Independently published
Manuale
ISBN 979-8310551602
Copertina flessibile | 263 pag.
cartaceo 12,99€
ebook 8,99€

Quarta

In un mondo in cui la violenza di genere è una realtà silenziosa e devastante, questo libro rappresenta un faro di speranza di resistenza. L'autrice, attraverso la sua esperienza personale e il progetto Instagram @potevo_essere_io, offre un manuale pratico e incisivo, composto da dieci regole fondamentali per riconoscere e affrontare la violenza.
Ogni regola è un atto d'amore, pensato per fornire strumenti concreti a chi si trova in situazioni di rischio o vulnerabilità. Non si tratta solo di sopravvivere, ma di trasformare il dolore in forza e in consapevolezza.
Questo libro non è solo per chi ha vissuto esperienze traumatiche, ma anche per chi desidera prevenire tali situazioni, contribuendo a creare una società più giusta e sicura.
Leggendo "POTEVO ESSERE IO - 10 regole per salvarci la vita", scoprirete come alzare la voce contro l'ingiustizia, come proteggervi e come unirvi ad una comunità di sostegno. E' un invito a non rimanere in silenzio, a riconoscere il proprio valore e a lottare per una vita libera dalla paura.
Un'opera necessaria per tutte le donne, gli uomini e le generazioni future che meritano di vivere in un mondo senza violenza.


Elena Genero Santoro
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Canzoni come poesie: «Til it happens to you» di Lady Gaga

Canzoni come poesie: «Til it happens to you» di Lady Gaga

Canzoni come poesie: «Til It Happens to You» di Lady Gaga

Musica Di Stefania Bergo. Dai versi alle note, quando le canzoni sono poesie: Til it happens to you di Lady Gaga. Scritto e prodotto assieme a Diane Warren per il documentario The Hunting Ground sulle violenze sessuali nei campus universitari statunitensi, il brano racconta le violenze subite dalla cantante a 19 anni.

Til it happens to you è una canzone scritta e prodotta da Diane Warren e Lady Gaga per The Hunting Ground (2015), il documentario del regista Kirby Dick, prodotto da Amy Ziering, sugli abusi sessuali nelle università degli Stati Uniti.
Il brano si ispira allo stupro subito da Lady Gaga, al secolo Stefani J. Germanotta, a 19 anni, a opera di un produttore musicale. Il tema centrale è proprio questo: non si può capire come vivano il momento dell'abuso e come sopravvivano poi le vittime, solo chi ha subito le molestie, chi ha percorso la stessa strada – ha indossato le stesse scarpe – può comprendere. Agli altri non spetta alcun giudizio, solo l'empatia e il rispetto con cui avvicinarsi.
Potrebbe essere una rottura, la morte di qualcuno, qualcosa che si è perduto e qualcuno che ti dice che andrà tutto bene, mentre tu senti che stai morendo dentro. Diane Warren

Til it happens to you ha ricevuto vari premi e nomination, tra cui quella agli Oscar nella categoria Best Original Song e ai Grammy Awards come Best Song Written for Visual Media.

Dopo la nomination agli Emmy Awards – vinto come Original Music – è divenuta la prima canzone nella storia ad essere stata nominata ai tre più importanti premi americani – Emmy, Oscar e Grammy.
Il video, in bianco e nero, si apre con un disclaimer: "Il seguente video contiene contenuti grafici che possono essere emotivamente inquietanti ma riflettono la realtà di ciò che accade quotidianamente nei campus universitari". L'ultimo frame è un altro messaggio: "Una donna universitaria su cinque sarà aggredita sessualmente quest'anno a meno che non cambi qualcosa", con l'invito di lasciare un feedback sul sito web ItsOnUs.org, il supporto della Casa Bianca alle vittime di violenza sessuale.



Til It Happens to You di Lady Gaga

Compositore: Diane Eve Warren, Stefani J. Germanotta
Testo: Diane Eve Warren, Stefani J. Germanotta | © BMG Rights Management, Realsongs, Sony/ATV Music Publishing LLC
You tell me it gets better, it gets better in time
You say I'll pull myself together, pull it together
You'll be fine
Tell me what the hell do you know
What do you know
Tell me how the hell could you know
How could you know

'Til it happens to you, you don't know
How it feels
How it feels
'Til it happens to you, you won't know
It won't be real
No it won't be real
Won't know how it feels

You tell me hold your head up
Hold your head up and be strong
'Cause when you fall, you gotta get up
You gotta get up and move on
Tell me, how the hell could you talk
How could you talk?
'Cause until you walk where I walk
It's just all talk

'Til it happens to you, you don't know
How it feels
How it feels
'Til it happens to you, you won't know
It won't be real (how could you know?)
No it won't be real (how could you know?)
Won't know how I feel

'Til your world burns and crashes
'Til you're at the end, the end of your rope
'Til you're standing in my shoes,
I don't wanna hear nothing from you
From you, from you, 'cause you don't know

'Til it happens to you, you don't know
How I feel
How I feel
How I feel
'Til it happens to you, you won't know
It won't be real (how could you know?)
No it won't be real (how could you know?)
Won't know how it feels
'Til it happens to you, happens to you
Happens to you
Happens to you, happens to you
Happens to you (how could you know?)
'Til it happens to you, you won't know how I feel


Mi dici che andrà meglio,
Mi dici che andrà meglio,
andrà meglio col tempo
dici che mi ricomporrò,
mi ricomporrò, "starai bene"
dimmi cosa diavolo ne sai? Cosa ne sai?
dimmi come diavolo potresti saperlo? Come lo sapresti?

Finchè non accade a te, non sai
come ci si sente
come ci si sente
finchè non accade a te, non lo saprai,
non sarà reale
no, non sarà reale,
non saprai come ci si sente

Mi dici: cammina a testa alta!
cammina a testa alta e sii forte!
perchè quando cadi devi rialzarti
devi rialzarti e andare avanti
dimmi come diavolo potresti parlare,
come puoi parlare?
perchè finchè non passi quel che ho passato io
non è certo uno scherzo

Finchè non accade a te, non sai
come ci si sente
come ci si sente
finchè non accade a te, non lo saprai,
non sarà reale (come potresti saperlo?)
no, non sarà reale (come potresti saperlo?)
non saprai come mi sento io

Fino a quando il tuo mondo non brucia e si frantuma
fino a quando non sei alla fine, allo stremo
fino a quando non sei nei miei panni
non voglio sentire nemmeno una parola da te,
da te, da te perchè tu non lo sai

Finchè non accade a te, non sai
come ci si sente
come ci si sente,
come ci si sente
finchè non accade a te, non lo saprai,
non sarà reale (come potresti saperlo?)
no, non sarà reale (come potresti saperlo?)
non saprai come ci si sente
Finchè non accade a te
accade a te, accade a te
accade a te, accade a te
accade a te (come potresti saperlo?)
finchè non accade a te non saprai come mi sento io



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Traduzione a cura di www.angolotesti.it.
Immagine di copertina: screenshot del video.



Stefania Bergo
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Relazioni abusanti: libri e testimonianze per riconoscere manipolazione affettiva e molestie morali

Relazioni abusanti: libri e testimonianze per riconoscere manipolazione affettiva e molestie morali

Relazioni abusanti: libri e testimonianze per riconoscere manipolazione affettiva e molestie morali

Di Elena Genero Santoro. Cosa sono le relazioni abusanti? Chi sono i manipolatori perversi? E chi sono le vittime? Libri e testimonianze per riconoscere manipolazione affettiva e molestie morali.

Viviamo in un mondo in cui la colpa, ormai, è delle vittime. Le vittime di stupro non sono state abbastanza accorte, non dovevano uscire di sera da sole, non dovevano flirtare, non dovevano fare nulla di ciò che hanno fatto. Le vittima di rapina non dovevano ostentare ricchezza. E le vittime di una relazione abusante, in maggioranza donne, ma possono essere anche uomini, dovevano accorgersene subito e dire basta. E quelle che prendono un mare di botte, anche di fronte ai figli? Non avrebbero il dovere morale di proteggere i bambini e andarsene? Magari, se se le prendono, è perché hanno provocato la reazione violenta nel partner: stuzzicando la gelosia, mettendo in atto meschinità urticanti che alla fine hanno “scatenato il raptus”. Quindi le vittime o sono provocatrici, cioè a loro modo colpevoli, o sono persone ingenue e poco accorte nel migliore dei casi.

Se fosse così semplice non esisterebbero tante storie di abusi.

Per dipanare la matassa delle relazioni abusanti, qualora non ci si sia già passati in prima persona, consiglio la lettura di due libri: La manipolazione affettiva, di Isabelle Nazare-Aga, incentrato sui rapporti di coppia e Molestie morali, di Marie-France Hirigoyen, che affronta il problema da una prospettiva più ampia e include anche il mobbing sui luoghi di lavoro.
Letti questi libri sarà chiaro che le relazioni abusanti seguono cliché che si ripetono in modo abbastanza sistematico.
In questo articolo mi focalizzerò in particolare sul rapporto di coppia.

DISCLAIMER
Le testimonianze riportate sono reali e non sono tratte dai libri citati.
Questo è un articolo divulgativo che si basa su testimonianze reali e su testi specialistici, ma non si vuole e non si può sostituire a una trattazione medico-scientifica o a un tentativo di diagnosi, per il quale si rimanda alle figure di riferimento quali i terapeuti.

Le relazione abusanti


Relazione abusanti

Chi è il soggetto abusante? 

I manipolatori sono tra noi. Sono medici, giornalisti, insegnanti e, spesso, occupano posti di potere. […] Essere un manipolatore non è una tattica, ma un modo di essere. È un tipo di personalità, una personalità narcisistica riconosciuta dalla psichiatria ma ancora poco studiata.
[…] I manipolatori non hanno quasi mai un aspetto cupo o demoniaco. Come tutti gli esseri umani, possiedono lati positivi e questo spiega perché riescono facilmente a confondere le persone che li frequentano. […] Trenta caratteristiche ben precise li contraddistinguono. Per sapere se abbiamo a che fare con un manipolatore, dobbiamo individuarne […] almeno quattordici.
Isabelle Nazare-Aga, La manipolazione affettiva
Il manipolatore colpevolizza gli altri, capovolge ogni situazione a proprio vantaggio. Usa ragionamenti pseudo logici e regole morali (cortesia, solidarietà, antirazzismo, ecc…) che manipola per raggiungere i suoi scopi. E poi svaluta, giudica, critica. Ma riempie le sue vittime di lusinghe e regali, se serve. Si atteggia a vittima per essere compatito. Non ammette mai di avere responsabilità, ma le attribuisce sempre agli altri. Si prende i meriti quando le cose vanno bene.

A livello di comunicazione è vago e contorto, non è mai chiaro, evita il confronto, non esprime in modo univoco le sue richieste.

Salvo poi rinfacciare ciò che non è stato compreso («avresti dovuto capire che…»). Se messo alle strette svicola, cambia argomento, non dà risposte. In compenso non accetta critiche e muove minacce più o meno esplicite.
Non è mai autentico. Mente. È il re della menzogna. Alterna maschere e lo dimostra cambiando opinione a seconda delle situazioni. Semina zizzania, crea conflitti per avere la situazione sotto controllo. È lunatico. Può raccontare una cosa un giorno e dire l’opposto il giorno dopo, ma con la medesima sicumera. Ma nega l’incoerenza.
È egocentrico, vuole sembrare superiore, ma le sue azioni sminuiscono la grandiosità dei suoi discorsi. Ignora i diritti degli altri e dimostra poca empatia. 
Genera ansia nelle persone, fa fare loro cose che non avrebbero fatto spontaneamente (induce cioè alla dissonanza cognitiva).
In conclusione il soggetto abusante sembra non avere mai una identità definita, principi morali solidi e radicati, o una coerenza, uno spessore. Il manipolatore è una scatola vuota, è una sequenza di maschere che poggiano sul nulla e che si alternano a seconda delle situazioni.


I manipolatori perversi sono consapevoli? 

A volte no, ma il risultato non cambia o cambia poco. A volte sono solo talmente egocentrici e poco empatici da nemmeno accorgersi del dolore che provocano. In questo caso si parla di “perverso narcisista” o “manipolatore”.
A volte sì, e in questo caso si parla di “perverso di carattere” o “manipolatore perverso”, sempre secondo La manipolazione affettiva.
La base di tutto è il “narcisismo patologico”.
Il “perverso di carattere” è più conflittuale, vive male la vita di comunità, è più intransigente e persino più aggressivo.


I manipolatori possono guarire? 

Cito l’opinione di Robert D. Hare, il massimo studioso della psicopatia (quelli che vengono definiti "narcisisti maligni" sono assimilabili agli psicopatici). Alla fine del volume La psicopatia, Robert D. Hare dice che è meglio che questi soggetti non vadano da un terapeuta. Intanto, per voler guarire bisognerebbe pensare di essere malati e loro non lo credono (in compenso, fanno impazzire quelli che stanno loro intorno). Poi, una volta in terapia, imparano una serie di vocaboli tecnici coi quali affinano solo la loro capacità manipolativa e diventano ancora più pericolosi.

Il libro di Robert D. Hare risale ai primi anni Novanta e ad esso è stata aggiunta un'appendice successiva. A tutt'oggi la psicopatia non risulta curabile e le terapie classiche, i tentativi di reinserimento sociale, sono tutti vani. Gli unici passi avanti compiuti nello studio della psicopatia hanno chiarito un po' meglio alcune possibili cause, quali alcune alterazioni cerebrali. Essere psicopatici è congenito. Ininfluente o quasi sono l'ambiente di provenienza, i traumi infantili, il ruolo dei genitori, le scuole frequentate.

In fondo non è nemmeno così importante sapere esattamente qual è la diagnosi sul manipolatore: se è un borderline, uno psicopatico, se è più o meno perverso.È un manipolatore, è tossico, avvelena la vita del/la partner, lo/la umilia, racconta un sacco di bugie. Anche se uno psichiatra facesse una diagnosi esatta, ciò non cambierebbe il nodo del problema: è una persona da evitare.


Relazione abusanti

Come inizia la relazione con un soggetto abusante? 

Con un’enorme menzogna, quindi in linea col modo in cui proseguirà fino all’esaurimento. Solo che all’inizio è una menzogna bella.
Se per le persone normali la seduzione è qualcosa che viene normalmente attuata all’esordio di una relazione, è quella fase in cui si dà il meglio di sé, ci si mostra sotto la luce migliore, per un manipolatore la seduzione è un inganno totale. L’abusante non si palesa al meglio delle proprie reali possibilità, ma completamente diverso. Finge per apparire ciò che non è.
E allora farà gesti spettacolari. Scriverà lettere d’amore, inonderà la futura vittima di complimenti, si mostrerà assertivo, dirà esattamente ciò che la vittima vorrà sentirsi dire. Sarà passionale, tenero, presente. Insomma, attirerà in ogni modo l’attenzione della vittima. La quale, vittima, all’inizio magari non lo aveva neppure notato, o magari non se ne sentiva neppure attratta. O aveva avuto un’impressione negativa. Ma alla fine lui la convincerà di essere ciò di cui lei ha bisogno.
Scoppia dunque l’amore, che in realtà è solo un’illusione. Questa fase è detta Love Bombing: è tutto bellissimo, tutto fantastico. Ma tutto irreale.

Testimonianza 1 

Nel periodo del love bombing, quando il mio ex voleva fare crollare le mie riserve, mi scriveva grandi lettere appassionate alle quali nemmeno credevo. Quando iniziò a farmi una corte serrata, lui mi attraeva perché era un bel ragazzo, ma non riuscivo a fidarmi di lui. Si vedeva che era farfallone. Alla fine mi convinse del contrario, disse che era stufo di volare di fiore in fiore e cercava una relazione seria. Ma da quel momento non mi scrisse più una sola riga. In compenso gli scrissi io, moltissime lettere, che lui probabilmente nemmeno leggeva. Gli scrivevo lunghi papiri perché a parole non ci comunicavo. Non riuscivo a fargli capire come sentivo le cose, le mie emozioni, i miei problemi. Volevo che si rendesse conto che certi suoi comportamenti erano nocivi, per me e per la salute del nostro rapporto. Mi addossavo sempre una parte di colpa, gli chiedevo cosa fare per migliorare. Parole parole parole cadute nel vuoto. Urlate contro un muro di gomma. Lui non ha mai degnato quelle lettere di una risposta, nemmeno verbale.


E poi? Le critiche alla vittima.

E poi iniziano le critiche: verso la vittima, verso ciò che la circonda, verso ciò che lei ama.
È lo stesso meccanismo rilevato nell’esperimento del topo. Il topino a cui veniva somministrata dell’acqua drogata dopo che schiacciava un pulsante, poi non riusciva più a rinunciarci. E se premendo il pulsante che prima gliela forniva, dopo un po’ non usciva più nulla, lui si esauriva fino alla morte a ripetere lo stesso gesto per ottenere ciò che voleva e che non gli veniva più erogato.
Negli umani accade lo stesso. Quando una “dolcezza” a cui ci si è abituati viene improvvisamente a mancare, o viene erogata a intermittenza, la vittima rimane destabilizzata. Si domanda cosa ha fatto per causare un cambiamento nel proprio partner, si colpevolizza, prova a cercare soluzioni. L’obiettivo della vittima è quello di tornare a ottenere la “dolcezza”, di ricreare la idilliaca situazione precedente.
Invece il manipolatore ha sempre meno intenzione di concedere quella “dolcezza” alla vittima, per il semplice fatto che non è in grado di amare nessuno. Al contrario, denigra il/la partner a sua insaputa, la isola dai suoi affetti («i tuoi amici sono tutti cretini, se vuoi incontrarli non contare su di me»), la ricatta moralmente («tra noi può funzionare solo se lasci il tuo lavoro»). Per corrodere la fiducia che ha in se stessa, il manipolatore induce la vittima a credere di avere problemi mentali (uno per tutti, basta guardare il film Angoscia, del 1944Gaslight in lingua originale).

Testimonianza 2

Si divertiva a prendermi in giro. Era pesante. Diceva che ero imbranata, diceva che essendo femmina ero meno intelligente di lui. Eppure mi rinfacciava di non avere senso dell’umorismo. Ricordo che una volta, all’inizio della relazione, mi fece un elenco di tutti i miei difetti. Scoppiai a piangere, tutte le sue parole mostravano che non mi apprezzava per nulla. Ma non voleva lasciarmi. Io ero lì davanti a lui, mi sentivo in difetto, piangevo e gli stavo dando una enorme soddisfazione.
Nel frattempo, magari, il manipolatore ha fatto anche altre conquiste. Essendo un bugiardo patologico ama intrattenere storie parallele. Si diverte come un pazzo a raccontare delle sue ex fiamme, per fare sentire la partner attuale sempre inadeguata. Deve sempre creare una situazione di paragoni umilianti. Questo gioco si chiama triangolazione. Il narcisista, pur essendo impegnato, chiama o incontra periodicamente un’altra persona. Gode nel fare ingelosire il/la partner.

Testimonianza 3

Parlava sempre delle sue ex. A volte le descriveva come miti irraggiungibili (una in particolare), a volte come poverette a cui lui si era degnato di concedere la sua presenza. Le ex erano sempre con noi, ovunque, anche in camera da letto. Sembrava che non se ne fosse mai liberato. Mi raccontava persino le sue performance sessuali con loro. Mi dettagliava di come le tradiva e di come le induceva a lasciarlo quando non ne poteva più di loro. Pretendeva che con alcune di loro, con cui era ancora in amichevole e ambiguo contatto, io diventassi pure amica. Ci uscivamo insieme nei weekend e le invitavamo anche a casa. Io non potevo lamentarmi anche se mi sentivo a disagio, perché a quel punto mi rinfacciava di essere paranoica e gelosa. Ma guai a menzionare il mio ex fidanzato, con cui avevo avuto una storia conclusa, ma pulita. Lui, però, triangolava di continuo.

Testimonianza 4 

Ci fu un periodo in cui eravamo già separati, ma ci frequentavamo ancora, in attesa di capire se poter recuperare il rapporto. O meglio, io sognavo che a un certo punto lui, inondato della luce divina, diventasse ciò che in realtà non era mai stato. Solo più tardi avrei capito che si trattava di una pia illusione. A casa sua, ai piedi di quello che per un po’ era stato anche il mio letto, trovai un paio di pantofole femminili di numero nettamente superiore a quello del mio piede. Mi disse che le aveva comprate per me. Finsi di crederci. Ma fu l’ultima volta in cui entrai in quella casa.
Per un soggetto abusante, una relazione di coppia non è una relazione di amore, di cooperazione, di solidarietà. È un gioco di forza, di potere.
L’abusante vuole distruggere e annientare la sua vittima per sentirsi più potente. Vuole polverizzare la sua autostima. Vuole che la vittima resti sempre a sua disposizione, non per amarla, ma per portarla all’esaurimento.
Non si può credere che esistano relazioni abusanti se non ci si convince che ci sono persone crudeli in modo gratuito, che godono della sofferenza degli altri.  Le relazioni abusanti non sono relazioni normali e non possono essere assimilate ad esse. Sono relazioni malate perché uno dei due partner è cattivo.


Relazione abusanti

Il soggetto abusante arriva sempre alla violenza fisica?

Non necessariamente. Ma anche la violenza psicologica è devastante. Il soggetto abusante è, in pratica, un vampiro.
Il partner non esiste in quanto persona, ma in quanto supporto di una qualità di cui i perversi cercano di impadronirsi. Essi si nutrono dell’energia di chi subisce il loro fascino. […] Il perverso narcisista ha il problema di ovviare al proprio vuoto. Per non doverlo affrontare, […] il Narciso si proietta nel suo opposto. […] Il Narciso ha bisogno della carne e della sostanza altrui per riempirsi. Ma è incapace di nutrirsene perché non ha neanche un briciolo di sostanza, che gli permetterebbe di accogliere, di aggrapparsi, di fare propria quella dell’altro. Tale sostanza diventa il suo pericoloso nemico, perché gli rivela che è vuoto. I perversi narcisisti nutrono un’invidia intensissima nei confronti di chi sembra possedere le cose che loro non hanno o chi, semplicemente, trae piacere dalla vita.
Marie-France Hirigoyen, Molestie morali
Il narcisista è un vampiro che perpetra atti di sadismo nei confronti della vittima finché non giunge a un fatidico momento, quello dello “scarto”, in cui allontana la vittima, le manifesta palese disamore, la blocca sui social lasciandola cadere in un baratro, salvo poi tornare a farsi vivo, come se nulla fosse, magari per fare ingelosire una nuova vittima (la succitata triangolazione). E la vittima, destabilizzata da questo “amore a intermittenza”, illusa da un possibile recupero del rapporto, non riuscirà a liberarsi in fretta dell’abusante.

Testimonianza 5

Dicono che i narcisisti godano particolarmente quando riescono a rovinare la festa al partner. Ricordo un compleanno particolarmente noioso, in cui mi aveva chiesto di uscire prima dal lavoro con la scusa di stare insieme e poi aveva bivaccato mollemente sul divano per tutto il pomeriggio. Anche i regali che mi aveva fatto sembravano delle prese in giro.
Non è un caso che io abbia subito lo scarto proprio alla vigilia di un altro mio compleanno. Era un periodo in cui usciva sempre di sera per i fatti suoi e guai a fargli notare che avrebbe potuto considerarmi un po’ di più. La sera prima del mio compleanno, proprio mentre stavo preparando una torta, rincasò con tutta la voglia di attaccare briga. Iniziò ad accusarmi di tutto, a dirmi che non gli piacevo più, che ero un’ameba, che non avevo interessi e dovevo vergognarmi, che la vita con me era noiosa e non c’era un motivo per rimanere con me. Mi scaraventò addosso il suo disamore. Allora preparai una borsa e me ne andai.


Ma chi è la vittima di una relazione abusante? 

Come dice Marie-France Hirigoyen, le vittime non sono mai simpatiche, non piacciono a nessuno, devono essere complici del carnefice, deboli, pappemolle. Se non lo sono, se diventare vittima è un fatto aleatorio e non porta con sé una colpa, allora chiunque di noi può diventarlo e questo è spaventoso. Al contrario il carnefice, se è così, avrà i suoi motivi: abusi precedenti, infanzia difficile, la sfiga.
Cominciamo a dire cosa la vittima NON è.
Non è una masochista. Se lo fosse, nella relazione abusante, ci sguazzerebbe. Invece sta male e soffre.
Non è nemmeno una persona che soffre di dipendenza affettiva. Nella dipendenza affettiva si presuppone che soggetti, per lo più donne, abusati in precedenza, nella famiglia di origine (padre alcolizzato, violento, ecc...) tendano nella vita futura a replicare, nelle relazioni affettive, lo stesso cliché e di cercare (sempre) un abusante, in quanto unico modello possibile. Si tratta di donne che cercano un determinato tipo di uomini, senza la dominazione dei quali si sentono perse. Accade, in una certa percentuale.

Ma poi ci sono donne che non hanno dipendenze affettive da colmare "a priori", che non cercano un manipolatore perverso, ma che ci si imbattono, come se fossero state investite da un tir.

Non l'hanno cercato per colmare un vuoto o un (falso) bisogno. Quindi la dipendenza che si instaura – che poi diventa dipendenza a tutti gli effetti – è una di tipo biochimico e in questo senso non affettiva.
La questione della dipendenza affettiva, si diffuse con il libro Donne che amano troppo, di Robin Norwood, che io stessa lessi molti anni fa, ed è stata per decenni la teoria più accreditata sulla causa dei rapporti abusanti. Ed è anche facile abbracciare una teoria del genere che, premetto, non è del tutto morta e conserva una parte di verità, per lo meno in certe situazioni. Le cause di una relazione abusante sono state studiate e descritte meglio negli anni più recenti. Sono ancora oggetto di studio. Le relazioni abusanti sono state comprese meglio.


Ma allora chi sono le vittime ideali di un soggetto abusante? 

Le vittime di un soggetto abusante sono persone tutt’altro che deboli, o prive di interessi, o passive. Di solito hanno una vita piena, quando non sono addirittura iperattive. E sono molto empatiche.
La vittima ideale è una persona coscienziosa, naturalmente propensa a colpevolizzarsi. In psichiatria fenomenologica questo tipo di comportamento è conosciuto e descritto, […] come un carattere predepressivo, il typus melancolicus. Sono persone che tendono all’ordine, sia in campo lavorativo sia nelle relazioni sociali, che si dedicano a quanti stanno loro vicino e accettano raramente piaceri dagli altri. L’attaccamento all’ordine e la preoccupazione di fare bene spingono queste persone a sobbarcarsi a una mole di lavoro superiore alla media, cosa che le fa sentire con la coscienza tranquilla e da cui nasce la sensazione di essere oppresse dal lavoro e da incarichi al limite del possibile. […] Spesso i melanconici sposano persone prive di emotività. Il meno sensibile dei due porta avanti la sua piccola vita inaffettiva tanto più tranquillamente in quanto il melanconico, a causa del cui permanente senso di colpa, si è fatto carico di tutte le preoccupazioni. Si occupa di tutto, gestisce le incombenze, regola i problemi fino al momento in cui, vent’anni dopo, spossato dai continui sacrifici, scoppia a piangere. […] I predepressivi conquistano l’amore dell’altro dando, mettendosi a sua disposizione, e provano una grande soddisfazione nello stare al suo servizio o nel fargli piacere. I perversi narcisisti ci sguazzano. […] Sono anche vulnerabili ai giudizi e alle critiche altrui, per quanto infondate. […] I perversi, percependo tale debolezza, provano piacere nell’instillare il dubbio. […] L’incontro con un perverso narcisista può essere vissuto in un primo tempo come uno stimolo per uscire dalla tetraggine della melancolia.
Marie-France Hirigoyen, Molestie morali


Quindi, cosa accade quando una persona di normale intelligenza si ritrova condizionata da un manipolatore?

Si chiama dissonanza cognitiva.
È come mangiare la cioccolata quando si è a dieta e poi sentirsi a disagio. È il malessere causato dal fare qualcosa in disaccordo con un'altra idea in cui si crede. È un'incoerenza di fondo che fa stare male.
La dissonanza cognitiva è un termine psicologico che descrive la tensione spiacevole derivata da due pensieri in conflitto contemporaneamente.
[...] Per sopravvivere al conflitto interno la vittima dovrà fare appello a tutte le risorse e meccanismi di difesa adatti a gestire le sue ansie più primitive, come quelle di persecuzione e annientamento, di modo che cercherà di ridurre la dissonanza cognitiva con delle strategie che possono includere: a) giustificare le cose mentendo a se stessa, se necessario; b) tornare agli schemi infantili e c) legare ancor di più con il maltrattante narcisista. La maggior parte dei meccanismi di difesa avviene piuttosto inconsciamente, quindi la vittima non è consapevole di adoperarli; il suo intento è unicamente quello di sopravvivere alla follia in cui si trova.
Il ruolo della dissonanza cognitiva nella sindrome da abuso narcisistico e gli investimenti della vittima per salvaguardare il “rapporto”


Cosa rischia la vittima di un abuso narcisistico?

Rischia la salute, fisica e mentale. I narcisisti possono diventare violenti, alzare le mani, o anche no.
Eppure anche senza violenza  fisica, il trauma da abuso narcisistico si può ripercuotere sul fisico con molte somatizzazioni, dall'insonnia, agli attacchi di panico, a vere e proprie malattie sistemiche.
Inoltre il narcisista ha buon gioco a destabilizzare la sua vittima. Nel suo provocare ed esasperare continuo spinge la vittima anche a reazioni più forti e aggressive; magari la vittima alza la voce in presenza di testimoni e allora fa la figura del carnefice. Se questo accade davanti a un giudice in sede di separazione o al momento dell'affidamento dei figli, le conseguenze possono essere poco piacevoli.


Relazione abusanti

Come si cura la vittima di un manipolatore perverso? 

Innanzitutto, chi è stato in grado di riconoscere una relazione tossica e di dire “così non sto bene” ed è in dissonanza cognitiva, non deve cercare di “recuperare un rapporto”, perché il rapporto non è mai esistito, né di “farla pagare” al narcisista, perché ha di fronte un individuo instabile e pericoloso, di fatto ingestibile.
L’unico modo per salvarsi dal manipolatore è ignorarlo. Un soggetto con ego ipertrofico trarrà enorme piacere nel vedere che la vittima si strugge per lui, ma farà molta più fatica ad accettare l’oblio.

Quindi le cure sono due efficaci e devono andare a braccetto. 

  1. Il no-contact totale e assoluto.
    Solo nel caso in cui si abbiano figli è inevitabile interagire, ma sempre riducendo al minimo i contatti.
    Il manipolatore perverso non è un ex fidanzato o ex marito con cui si possa intrattenere una relazione amicale. Non è quello con cui la vittima può pensare di scambiarsi gli auguri a Natale e Pasqua, o uscire ogni tanto. Quella col narcisista NON è una relazione normale che si può concludere con civiltà. Il manipolatore è veleno dal quale disintossicarsi. Lui/lei cercherà sempre di insinuarsi, di volgere le cose a proprio vantaggio, di ficcare il naso. Il manipolatore va cancellato. Dopo qualche settimana dall’inizio del no-contact la vittima starà peggio. Il sogno infranto crea lacerazione, la distanza dal soggetto abusante è vissuta come un peso. Ma non è il soggetto abusante a mancare: sono i sintomi fisici dell’astinenza. È la reazione biochimica. Dopo qualche tempo, tuttavia, ci si disintossica. E si inizia a stare decisamente meglio.
  2. Il supporto psicoterapeutico.
    Innanzitutto il terapeuta deve trattare queste persone come reduci da un evento traumatico. Come vere e proprie vittime di un abuso, anche se non c’è stata violenza fisica o carnale.
    Purtroppo in ambito di psicoterapia la maggior parte degli approcci classici e più largamente utilizzati non sono sempre adeguati a trattare una vittima di abuso psicologico da parte di un partner, perché tendono a puntare il dito proprio sui problemi e sulla psicologia della vittima. Il che è sbagliato, per lo meno in uno step iniziale – solo in un secondo momento la vittima può arrivare a lavorare su se stessa, per cercare di capire se ci sono cliché da non ripetere. Per esempio può essere inutile, se non deleterio, rivolgersi a un terapeuta di coppia, che tratta gli elementi della coppia come pari, minimizzando le loro scaramucce, senza rendersi conto che si tratta di una relazione del tutto sbilanciata. Quindi, quando una vittima di abuso narcisistico cerca una terapia, deve trovare un terapeuta specializzato proprio in quel settore.
E alla fine cosa resta? Resta l’ultimo incubo.


Elena Genero Santoro
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Dalla parte dell'assassino: la violenza domestica in Russia

Dalla parte dell'assassino: la violenza domestica in Russia

Dalla parte dell'assassino: la violenza domestica in Russia

Di Alessandra Nitti. Dalla parte dell'assassino: la violenza domestica in Russia non è un reato, non esiste il reato di stalking, non esistono centri di protezione per donne e bambini. E chi uccide per legittima difesa finisce in carcere.

Una sera di luglio dell’anno scorso, nella periferia di Mosca, un padre decide di spruzzare dello spray al peperoncino contro le tre figlie per punire quella che lui considera la loro sciatteria: il salotto non è abbastanza pulito.
Non è una novità per le tre adolescenti, che da anni sono costrette a convivere con un uomo che abusa e usa violenza su di loro, una persona che, nonostante i disturbi mentali, tiene in casa armi con cui spesso minaccia la famiglia e i vicini.
La novità di quella sera del 27 luglio 2018, però, è che quando Mikhail Khachaturyan si risveglia dal riposo sulla sedia a dondolo, è circondato dalle figlie. Kristina, la più grande, lo rende inerme con lo spray al peperoncino. Prima ancora di poter fuggire, si ritrova sotto una pioggia di martellate al capo da parte di Angelina, la secondogenita, e da coltellate con un coltello da caccia da parte di Maria, la più giovane. 36 in tutto, sul collo, sul petto e al cuore, fino a che il mostro non muore.
Un caso di orribile violenza domestica ripetuta per anni e terminata in tragedia. Non si poteva evitare l’assassinio? chiederà qualcuno. No, non si poteva. In Russia non si può.

Nel 2017 il presidente Vladimir Putin ha emanato una legge secondo la quale la violenza domestica non è un reato e una donna maltrattata e abusata non può rivolgersi a nessuno.

Andare dalla polizia è totalmente inutile, le forze dell’ordine arrivano solo se ci scappa il morto; scappare, forse, ma per andare dove? Non esistono regole che tengono l’uomo a distanza di sicurezza dalla donna, non esiste il reato di stalking, non esistono centri di protezione per donne e bambini. Cosa fare allora? Subire, aspettare di morire, o difendersi come hanno fatto le tre sorelle Khachaturyan. «Meglio passare il resto dei nostri giorni in carcere che continuare a vivere così», hanno asserito le tre povere ragazze, relegate in casa. Nell’ultimo anno hanno frequentato il liceo per un totale di soli due mesi. E la scuola ha preso provvedimenti? No, certo.

In una società ancora fortemente maschilista ognuno si lava i panni in casa propria, se a lavarli è sempre la donna.

Pochi giorni fa è arrivata la sentenza e Maria, Kristina e Angelina sono state condannate a vent’anni per omicidio. Le vittime tacciate di essere il carnefice, le vittime che decidono di salvare la propria vita e di lottare fino al sangue, rinchiuse in carcere. Ma chi si è curato di loro in questi anni, chi ha dato loro un’alternativa?
La Russia è ora divisa in due: i familiari di Mikhail Khachaturyan difendono il suo onore, qualcun altro accusa le giovani di omicidio premeditato; ma in centinaia di migliaia hanno sfilato davanti al Cremlino e alle ambasciate russe all’estero chiedendo di rivedere la sentenza e, soprattutto, di creare leggi che tutelino le donne.

La violenza domestica in Russia è all’ordine del giorno e i numeri sono spaventosi.

Ogni anno ci sono almeno 16 milioni di vittime.* Inoltre, è la prima causa di decesso delle donne, 1 su 3 è uccisa in casa. Il 34% viene ucciso dal partner, il 22% dai parenti. L’80% delle donne detenute è stato accusato di aver ucciso il partner per legittima difesa, il 97% ha usato un coltello da cucina, l’oggetto più vicino.**
Certo, dove altro dovrebbe stare una donna se non in cucina?
Gli attivisti si battono per i diritti delle tre sorelle e di tutte le donne russe: Human Right Watch ha asserito che si è trattato di autodifesa (quali altre alternative avevano in una nazione che non considera il comportamento di quell’uomo un reato?), e la regista ventinovenne Zarema Zaudinova ha messo sul palco una pièce teatrale con al centro lo spaventoso fatto e le proprie esperienze di abusi, in un grido di denuncia contro questa società che conferisce alle donne gli stessi diritti di una mosca schiacciata sul vetro.

* Fonte: The Indipendent;
** Fonte: dati delle Nazioni Unite per l’anno 2017.



Alessandra Nitti
Sinologa, viaggiatrice, appassionata lettrice, yogini e scrittrice. Trascorro le giornate nel mio mondo di poesia inventando trame di racconti, progettando viaggi intorno al mondo o in posizioni yoga a testa in giù. Laureata in lingue e letteratura straniere solo per il gusto di conoscere lingue difficili. Vivo a Canton, nel sud-est della Cina, per insegnare italiano a giovani cinesi. Tra una lezione e l’altra gestisco Durga – Servizi editoriali.
L’amuleto di giada, Arpeggio Libero Editore.
Faust – Cenere alla cenere, Arpeggio Libero Editore.
Esilio, Arpeggio Libero Editore.
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Recensione: L'amore che non è, di Gianpaolo Trevisi

Recensione: L'amore che non è, di Gianpaolo Trevisi

L'amore che non è, di Gianpaolo Trevisi - Libri, recensione

Libri | Recensione di Gianna Gambini. L'amore che non è di Gianpaolo Trevisi, Gabrielli Editori. I sentimenti delle donne maltrattate, diverse per età, provenienza, tratti fisici e caratteriali, avvicinate da un divisore comune: la violenza domestica.

Credo che per qualunque grande cambiamento, in ogni campo, non si debba sempre aspettare l’arrivo della legge più giusta o di quella meno sbagliata, ma si debba cominciare da molto prima, facendo accendere proprio all’interno delle aule scolastiche i primi focolai di una rivoluzione culturale che può cambiare davvero tutto.
Giampaolo Trevisi, autore della raccolta di racconti L’amore che non è, ha lavorato nella Squadra Mobile della Questura di Verona e la sua esperienza a contatto con le violenze quotidiane ha dato spunto alla stesura delle storie che si susseguono nel volume. È l’autore stesso a dire che le vicende narrate prendono vita prima di tutto nella sua fantasia, sebbene attingano in parte alle realtà con cui Trevisi è venuto in contatto durante la sua carriera.
Ogni racconto ha per protagonista o per co-protagonista una donna: età diverse, provenienza diversa, tratti fisici e caratteriali differenti, ma sono tutte avvicinate da un massimo comun divisore, ovvero la violenza che hanno subito da uomini a loro molto vicini. Ci sono vicende che si sviluppano tra le mura di una casa e che rimangono latenti all’interno di un’abitazione che, per quanto da fuori possa apparire un castello dorato, si rivela una prigione al cui interno si verificano torture inaudite. 


L'amore che non è: ogni storia colpisce il lettore e lo immerge in una realtà parallela di cui è difficile liberarsi.

Alcune di esse restano scolpite e come fossero un susseguirsi delle scene di un film costruito da una regia sapiente, si traducono in immagini vivide e profondamente realistiche.
Il libro si apre con una lettera di una ragazza al padre, in cui prevale la sofferenza per un legame ormai concluso con un uomo fondato sulla possessività, ma anche l’affetto sincero di una figlia che cede al bisogno di confessare le proprie sofferenze all’unico punto di riferimento maschile che ha conosciuto in vita. Tra le vicende narrate spicca il rapporto tra due gemelle, che pur vivendo ai lati opposti del globo terrestre, riescono a intercettare l’una i bisogni dell’altra sconfiggendo la violenza e l’odio di cui una delle due è vittima. Interessante la vicenda che vede per protagonista una dottoressa che assume l’incarico di Assessore per la difesa del sorriso della donna (assessorato purtroppo ancora inesistente nelle amministrazioni italiane) e durante un’intervista, dai risvolti inaspettati, racconta la storia che l’ha spinta a occuparsi delle donne che hanno subito violenza. Tra i racconti mi ha colpito anche la storia di Amal che è legata a quella della crescita anomala di un salice piangente e la confessione-sfogo di un uomo che, accecato dalla sete del possesso della donna che dice di amare, alterna una doppia personalità, resa magistralmente da un duplice registro stilistico.
Gli aspetti che rendono questa raccolta un volume prezioso, sono molti, ma primo tra tutti mi piace evidenziare che l’autore è un uomo e questo a mio avviso è un valore aggiunto perché, oltre che interpretare in modo sensibile e plausibile i sentimenti delle donne maltrattate, trasmette un messaggio di fondamentale importanza: la lotta per i diritti delle donne e contro la violenza su di esse, non sarà mai totalmente efficace fin quando sarà considerata soltanto una lotta di genere.

La tutela delle donne deve essere una lotta condivisa sia dagli uomini sia dalle donne. 

Infatti in L'amore che non è la bestialità di certi gesti viene additata da entrambi i generi (tra i personaggi spicca un poliziotto, di stampo forse autobiografico, che riesce a intercettare i bisogni di una donna in difficoltà ancor meglio della sua collega donna).
La lettura del libro risulta avvincente, rapida e mai noiosa grazie anche al continuo cambio dei punti di vista, che rendono la narrazione varia e viva, oltre che estremamente realistica. Questo esercizio di stile, che poteva diventare difficile da sostenere, è invece il valore aggiunto di L'amore che non è che mostra la capacità narrativa dello scrittore. Un libro da leggere, dunque, sia per l’importante tematica affrontata, che per il modo in cui Giampaolo Trevisi ha saputo raccontarci lo sguardo delle donne che ne sono protagoniste.
Lavinia e Matteo pensano e soffrono insieme, perché quando ci si ama sulla pelle di entrambi si sente tutto: un soffio di vento più fresco degli altri o una lingua di fuoco che brucia il sangue.


L'amore che non è
«Ci saranno giorni nuovi, di mille colori diversi»

di Gianpaolo Trevisi
Gabrielli Editore
Narrativa
ISBN 978-8860993229
Cartaceo 11,05€
Ebook 6,49€

Sinossi
Trevisi, poliziotto-scrittore, con questo suo nuovo libro affronta la tematica della violenza di genere, narrando esperienze tragiche e a volte fatali, esistenze interrotte o sfregiate e lo ha fatto con la voce e gli occhi delle donne. L’autore, in qualità di funzionario di polizia, spesso ha avuto modo di vedere da vicino queste storie e le racconta con grande empatia, dimostrando una profonda conoscenza delle dinamiche psicologiche maschili e femminili. La visione, nonostante la tragicità degli avvenimenti, si apre comunque alla speranza; uno sguardo positivo che coinvolge anche gli uomini, perché a fronte del violento, del codardo, vi è il padre amorevole, il compagno capace di comprendere, l’uomo che ama di un amore sano, il poliziotto competente e sensibile, in grado di ascoltare anche le parole non dette.
Prefazione di Elvira Vitulli e Postfazione di Antonia De Vita

Gianna Gambini
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Femminicidio e solidarietà: 4 iniziative letterarie per combattere la violenza di genere

Femminicidio e solidarietà: 4 iniziative letterarie per combattere la violenza di genere

Femminicidio-solidarieta-violenza

Di Loriana Lucciarini. Donne per le donne, ecco il filo conduttore di questi progetti letterari. Donne, autrici, che hanno provato a confrontarsi con una tematica dolorosa e difficile: la violenza di genere.

Violenza fin troppe volte silenziosa, consumata tra le mura di casa. Ma anche violenza sottesa, quella che fin troppo spesso molte donne si ritrovano a dover combattere, nei luoghi di lavoro, nelle situazioni quotidiane. E poi la violenza brutale e omicida, quella che colpisce quasi ogni giorno una di noi e che se la porta via, una voce spezzata e senza più storie e emozioni da raccontare.
Tanti sono i modi in cui la violenza di genere si esplica e tante sono le voci che si sono unite per denunciarla. Un grido corale, fatto di carta e inchiostro, che in tante scrittrici hanno deciso di levare in alto, per fare in modo che non ci sia più il silenzio omertoso che avvolge nelle sue spire la vita delle donne che vivono sotto le maglie di un uomo violento. Per spezzarlo, questo silenzio figlio e complice della paura.
I volumi che vi presentiamo hanno la caratteristica di essere scritti da collettivi di autrici e autori e di devolvere il ricavato delle vendite a progetti di sostegno e autoaiuto per donne vittime di violenza.


1) 4 PETALI ROSSI. Frammenti di storie spezzate.

4-PETALI-ROSSI
di A. Berna, M. Coppola, S. Devitofrancesco, L. Lucciarini
Arpeggio Libero
Racconti

Troppe volte ci sono storie che non vengono raccontate.
Parole imbrigliate sotto strati spessi di silenzi che non trovano la forza di trasformarsi in gridi acuti e disperati.
Le labbra restano serrate e ferite, a volte sanguinano come l’anima e il cuore, altre volte si sollevano appena in un impeto coraggioso ma poi tremano forte e si richiudono, senza riuscire ad emettere nessuno dei suoni distorti che mascherano un’angosciante verità.
Sono storie abortite, che non nasceranno mai e che anzi, spesso, portano alla morte: sono le storie delle donne vittime di violenze.
Per provare a dare forza e voce ad alcune di loro abbiamo deciso di realizzare questo progetto per dare voce alle donne, anche quelle che non ce l'hanno più e accendere una piccola luce, in quel buio opprimente che troppe volte, e ormai quasi ogni giorno, colpisce silenziosamente e si porta via una donna come noi.
L'antologia solidale destinerà parte del ricavato delle vendite al centro antiviolenza BeFree per il progetto “Casa delle donne nella Marsica”.

Petali Rossi devolve l'intero ricavato alla cooperativa sociale BeFree di Roma, che gestisce centri antiviolenza e servizi SOS h24 all'interno di alcune strutture nella capitale. Recentemente BeFree ha aperto una casa rifugio nel cuore della Marsica e 4 Petali Rossi ha legato il suo progetto (quattropetalirossi.wordpress.com) a questa iniziativa concreta, per supportare un luogo dove le donne maltrattate possano rifugiarsi, insieme ai propri figli, per ricostruirsi nell'animo e creare un futuro diverso, fatto di speranza.
Il centro antiviolenza BeFree è una cooperativa sociale che da anni sta “sul campo” nei luoghi in cui più forti e drammatici appaiono gli esiti di vicende fortemente segnate da abusi, maltrattamenti, violazioni dei diritti umani. Lavora su Roma e gestisce i seguenti centri/servizi:
  • centro antiviolenza “Donatella Colasanti e Rosaria Lopez”;
  • sportello Donna dell'ospedale San Camillo-Forlanini;
  • spazio Donna WeWord a San Basilio;
  • sportello per le donne lesbiche vittime di violenza.
Gestiva anche l'SOS H24 a Roma (chiuso dalla giunta capitolina di recente).
Il volume, uscito a fine 2015 e presentato al festival di Caffeina 2016, ha già ottenuto un ottimo successo di vendite e di interesse, arrivando a coinvolgere realtà locali e associazionismo per nuove iniziative legate al tema della violenza di genere e del femminicidio.

LE STORIE
Bella da rubare - Arianna Berna
Bella da rubare: uno scatto fotografico compromettente può costare caro. Gaia toccherà con mano l’umiliazione di essere esposta al pubblico, perché utilizzata a sua insaputa come testimonial di una campagna pubblicitaria, mettendo in crisi le relazioni affettive e compromettendo la sua immagine.
Il coraggio di raccontare - Loriana Lucciarini
Lo stupro etnico nella ex Jugoslavia, durante la guerra dei Balcani, è quello che ha segnato per sempre la vita di molte donne; ma è proprio grazie alla testimonianza di molte di loro che, nel 2001, il Tribunale internazionale dell’Aja ha condannato lo stupro di massa come crimine contro l’umanità. Questa è la storia di Selina, di Hasa, di Adila e di tante altre, vittime della violenza della guerra.
L’equilibrio perfetto - Monica Coppola
Il passato che ti segna. Il passato che si dimentica. Il passato che ritorna. Una bambina che diventa donna mentre ombre indefinite attanagliano la luce del presente proprio nel momento in cui la voglia di vivere rinasce da un amore inaspettato, improvviso. Assolutamente perfetto. Troppo, forse, per essere reale. Questa è la storia di Anne e dei suoi fantasmi…
Una gabbia di vita - Silvia Devitofrancesco
Alba è una giovane come tante. Ragazza semplice e sognatrice, lavora in una panetteria. Sarà proprio lì tra panini e dolci che la giovane incontrerà un uomo che le farà perdere la testa. L’uomo perfetto, pronto a regalarle attenzioni fino a quando…




2) EVA NON È SOLA

EVA-NON-SOLA
di AA. VV.
Selfpublished
Racconti e Poesie
ASIN B01MCZA302

Eva non è sola” è un progetto contro la violenza e il femmincidio. Trenta autori, da ogni parte d’Italia, si sono uniti attraverso la passione per la scrittura e la problematica sociale trattata, e hanno dato vita a un’antologia che raccoglie 23 racconti e sette poesie. Fra gli stessi ci sono anche Presidenti di Commissioni Pari Opportunità, rappresentanti delle forze dell’ordine ed esperti nel campo delle Politiche Sociali.
Racconti di: Gabriele Andreani, Roberta Andres, Sabrina Abeni, Rossella Assanti, Simona Barba, Monica Brandiferri, Coralba Capuani, Simona Colaiuda, Franca De Angelis, Maria Pia Di Nicola, Laura Fioretti, Martina Galvani, Lucia Guida, Manuela Leonessa, Lorena Marcelli, Annarita Petrino, Carlo Porrini, Fernanda Pugliese, Maria Adelaide Rubini, Daniela Vasarri, Bianca Cataldi, Corinne Savarese
Poesie di: Caterina Silvia Fiore, Caterina Lattanzi, Roberto Mestrone, Andreina Moretti, Elisabetta Bagli, Elisabetta Bagli, Vittorio Verducci, Barbara Villa.

Antologia corale con la partecipazione di autrici e autori sul tema. I proventi saranno ripartiti per sostenere tre centri antiviolenza abruzzesi. Il progetto è stato ideato e curato dalla scrittrice Lorena Marcelli (www.facebook.com/antologiacontrolaviolenzadigenere). L'antologia è stata presentata ufficialmente il 25 novembre a Roseto degli Abruzzi.




3) LE PAROLE, IL CUORE, LE IDEE PER FERMARE LA VIOLENZA

Dopo 4 Petali rossi, le 4writers (Arianna Berna, Monica Coppola, Silvia Devitofrancesco e Loriana Lucciarini) hanno deciso di continuare l’opera di sensibilizzazione sul tema creando un nuovo progetto: “Le parole, il cuore, le idee per fermare la violenza” (quattropetalirossi.wordpress.com).
L'idea è quella di realizzare una campagna ad hoc contro la violenza di genere che sarà lanciata nei primi mesi del 2017 sui social network. Per poterla finanziare è stato organizzato un omonimo concorso letterario, utile a selezionare autori e storie d'impatto emotivo, per la realizzazione di un ebook, le cui vendite saranno proprio destinate a tal fine.
Il 25 novembre sono stati annunciati i vincitori del concorso e ha avuto inizio la fase 2, che prevede la realizzazione del volume, edito da Le Mezzelane.

4-writers

Il Progetto prevede, quindi, due fasi:
  1. Il concorso letterario omonimo, svoltosi su mEEtale nel 2016, che ha visto la partecipazione di 34 meetalers da tutta Italia: un modo per dar voce a storie di violenza e a farlo nel modo in cui questa community sa meglio fare: scrivere!
  2. La Campagna di sensibilizzazione sui social network (twitter, facebook, instagram…), che prevederà slogan a effetto per la trattazione del tema della violenza e del femminicidio, creato ad hoc per comunicare attraverso i social network. La campagna sarà avviata a metà 2017 grazie alla raccolta fondi e sarà supportata e diffusa nel web anche da mEEtale.
Per raccogliere i fondi necessari a sponsorizzare la campagna di sensibilizzazione, sarà possibile acquistare alcuni gadget:
  • l’ebook nato dal concorso, che conterrà i dieci racconti più belli e che sarà messo in vendita su mEEtale al costo simbolico di 2€;
  • le virtual card, ogni cartolina avrà il costo di 1€ e contribuirà a finanziare la campagna (card 1, card 2card 3card 4card 5);
  • il kit ebook+virtual card, per un sostegno maggiore, al costo di 3€.


4) LA PELLE NON DIMENTICA

Vogliamo occuparci di un problema che affligge la nostra umanità: il femminicidio,le violenze domestiche perpetrate, lo stupro. È una piaga infetta, un neo maligno, un carcinoma di quelli che non perdonano. Brutture di una vita che dovrebbe essere tenuta, invece, su un palmo della mano come una porcellana preziosa.
progetto La pelle non dimentica - lapellenondimentica.wordpress.com

LA-PELLE-NON-DIMENTICA

Il concorso letterario omonimo, organizzato assieme all'associazione culturale Euterpe e svoltosi sulla community di scrittura mEEtale, vuole dar voce alle persone che sono sensibili a questo argomento. Alla fine del concorso, verranno pubblicate due antologie, una di racconti e l'altra di poesie, e il ricavato della vendita, tolte le spese vive di pubblicazione con Le Mezzelane, andrà a favore di un'associazione che si occupa della violenza sulle donne.
Le antologie sono in fase di impaginazione, pronte per essere mandate in stampa e presentate il 18 di dicembre a Santa Maria Nuova, nel corso di un evento conviviale. Per prenotazioni e maggiori info: lapellenondimentica.wordpress.com.





Loriana Lucciarini
Impiegata di professione, scrittrice per passione. Spazia tra poesia e narrativa. Molte pubblicazioni self e un romanzo “Il Cielo d'Inghilterra” con Arpeggio Libero. E' l'ideatrice e curatrice delle due antologie solidali per Arpeggio Libero, la prima di favole per Emergency “Di favole e di gioia” nonché autrice con la fiaba “Si può volare senza ali” e la seconda di “4 Petali Rossi – frammenti di storie spezzate”, racconti contro il femminicidio per BeFree. E' fondatrice e admin di “Magla-l'isola del libro”
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Questo non è amore: un progetto della Polizia di Stato contro la violenza di genere

Questo non è amore: un progetto della Polizia di Stato contro la violenza di genere

Questo non è amore: un progetto della Polizia di Stato contro la violenza di genere

Di Tamara Marcelli. Progetto Questo non è amore: un camper contro la violenza di genere, con il coordinamento operativo della Direzione Centrale Anticrimine e il coordinamento sanitario della Direzione Centrale di Sanità.

Da luglio saranno istituite postazioni mobili della Polizia di Stato, dei camper operativi, che stazioneranno nelle vie e nelle piazze di alcune città, il primo e il terzo sabato di ogni mese.
Nella prima fase del progetto saranno interessate 14 province, individuate in base a precisi indicatori:
  • incidenza statistica di particolari reati “spia”;
  • rilevanza strategica;
  • dislocazione geografica.
Province pilota: Arezzo, Bologna, Brescia, Campobasso, Cosenza, L’Aquila, Macerata, Matera, Palermo, Pescara, Roma, Sassari, Siracusa, Sondrio.

Obiettivi del progetto

L’approccio è fondato su accoglienza, ascolto, multidisciplinarietà e tutela. 
Il progetto mira a favorire il contatto diretto con potenziali vittime e offrire il supporto di un'èquipe di operatori specializzati tra cui un medico psicologo della Polizia di Stato e/o dei centri antiviolenza, un operatore esperto appartenente alla sezione specializzata della Squadra Mobile, un operatore appartenente all’ufficio denunce/Anticrimine/prevenzione generale soccorso pubblico, un rappresentante della rete dei centri antiviolenza della zona, un funzionario della Squadra Mobile per eventuale immediata informazione all’Autorità Giudiziaria. Parimenti, mira a favorire l’emersione di quel numero di casi “nascosti”, sollecitare la collaborazione e il lavoro di rete e individuare comportamenti sintomatici di violenza domestica.
La seconda fase del progetto sarà caratterizzata dall’elaborazione dei dati raccolti e la progressiva estensione a tutto il territorio nazionale.
La terza fase del progetto prevede lo sviluppo di un protocollo ”ad hoc”, di un “percorso protetto” per l’accoglienza e l’ascolto delle vittime.

Numero d’emergenza
Antiviolenza e Stalking
1522


La campagna di prevenzione e sensibilizzazione denominata Questo non è amore rappresenta un importante passo in avanti della Polizia di Stato nella lotta alla violenza di genere.

Un impegno ulteriore per mettere in campo la professionalità di operatori altamente specializzati che possano interpretare i timori e il dolore delle donne vittime di reati particolarmente traumatici, sia a livello fisico che psicologico.
Gli atti persecutori, spesso sottovalutati dalla vittima, sono frequentemente il preludio di reati più gravi come le lesioni o l’omicidio. Reati che rappresentano tristemente anche un fenomeno culturale.
Strutturare la presenza su tutto il territorio e rendere sempre più accogliente per le vittime ogni ufficio di Polizia, privilegiando fin da subito l’approccio psicologico, è una sfida che la Polizia di Stato intende vincere.
Il nostro lavoro è scendere in strada, avvicinarsi alle vittime costruendo dove occorre e consolidando una relazione di fiducia tra Polizia e cittadino.
Denuncia la violenza sulle donne.Bisogna favorire quella presa di coscienza nelle vittime di violenza affinché emergano dal sommerso e denuncino i propri aguzzini, e tra la gente comune, spesso testimone di tali condotte, affinché segnali eventuali episodi restando nell’anonimato.
Avvicinati al camper della Polizia di Stato.
Fidati. Se denunci, possiamo prevenire, possiamo proteggerti.
La locandina dell’iniziativa è stata distribuita tradotta in numerose lingue, così come il materiale informativo.
Il progetto è stato presentato al Viminale il 1 luglio 2016 dal Ministro dell’Interno Alfano e dal Capo della Polizia Gabrielli.




AGGIORNAMENTO 25/11/2018
Nei due anni della prima fase del progetto, a cui avevano aderito 22 questure, sono state quasi 80 mila le vittime di violenza che si sono rivolte alla Polizia.
Dal 19 novembre 2018 è partita una nuova fase dell'iniziativa permanente alla quale hanno aderito 83 questure che, con modalità diverse, nelle piazze e nei centri di aggregazione saranno a disposizione con materiale illustrativo e personale specializzato per dare informazioni e per raccogliere le testimonianze di chi, spesso, ha ancora esitazione a denunciare o a varcare la soglia di un ufficio di Polizia.
Per tutti gli aggiornamenti e per la consultazione dell'opuscolo Questo non è amore 2018, consultare il sito della Polizia di Stato.
Tamara-Marcelli

Tamara Marcelli
Artista poliedrica, eccentrica, amante dell'arte in tutte le sue forme. Una sognatrice folle. Ha studiato Lettere e Tecniche dello Spettacolo, canto e recitazione per oltre dieci anni e ha lavorato come attrice in alcuni importanti Teatri del Lazio. Scrive poesie, romanzi, testi teatrali, articoli e saggi.
Il blu che non è un colore, Gli Scrittori della Porta Accanto (seconda edizione).
Il sogno dell'isola, Gli Scrittori della Porta Accanto (seconda edizione).
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