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Recensione: Il lato attivo dell'infinito, di Carlos Castaneda

Recensione: Il lato attivo dell'infinito, di Carlos Castaneda

Recensione: Il lato attivo dell'infinito, di Carlos Castaneda

Libri Recensione di Andrea Pistoia. Il lato attivo dell'infinito di Carlos Castaneda (BUR). La naturale conclusione di un percorso narrativo, l'interessante racconto della vita meno spirituale dell'autore dall'adolescenza all'età adulta, con episodi a volte surreali, morbosi e fuori contesto.

Rispetto a tutti i precedenti romanzi di Carlos Castaneda, Il lato attivo dell’infinito presenta delle peculiarità uniche nel suo genere che possono conquistare o lasciare perplesso il lettore. Ma quale effetto ha avuto su di me? Come sempre, procediamo con ordine e dall’inizio.

In primo luogo, ne Il lato attivo dell’infinito appare per lo più l’autore e non Don Juan, il suo sciamano mentore.

Infatti, il romanzo è interamente incentrato su episodi salienti del passato di Castaneda, rievocati per far comprendere quanto abbiano influenzato la sua vita non solo come essere umano, ma anche come apprendista sciamano. Lo stesso Don Juan li analizza saltuariamente per dimostrare al suo pupillo come ogni avvenimento possa essere letto attraverso una chiave spirituale, al di là dell'ordinario.

Così, l'autore si tuffa nei ricordi, i quali coprono il periodo che va dall’infanzia alla maturità, riscoprendo situazioni mai narrate nei libri precedenti, se non appena accennate.

Ad esempio, vengono menzionati l'ammissione all'università e l'abbandono subito dopo (senza rivelarne il contesto per evitare spoiler). Vengono inoltre ripescate alcune situazioni apparentemente non correlate alla sua crescita interiore, quali per esempio la vicissitudine dello psicologo con la sua segretaria o l'amico alle prese con continui guasti alla propria automobile.
Ciò che potrebbe affascinare di più il lettore affezionato a Castaneda è la rivelazione di episodi legati a Don Juan, soprattutto il suo arrivo da lui e il loro primo vero incontro.

Per interpretare certi episodi, l'autore richiama molti concetti già trattati nei libri precedenti, anche solo per accennarli o sintetizzarli.

Si torna quindi a parlare del “vedere” di uno sciamano, delle differenze tra un vero Nagual (ovvero Don Juan) e un semplice sciamano, del silenzio interiore, del punto di rottura, del punto di unione, dell’accettazione della morte per uno sciamano, del fermare il tempo, del Sognare e degli inorganici.
Al contempo, vengono forniti nuovi spunti di riflessione come ciò che accade dopo la morte e tutto ciò che ruota intorno ai “predatori” (entità energetiche tutt’altro che benevole verso gli umani).
Come in ogni suo libro, non mancano momenti in cui Carlos Castaneda rischia di morire non solo durante la sua pratica di sciamano ma persino da adolescente e adulto.
Tutto ciò ci conduce al gran finale, tipico dei libri di Castaneda, che rappresenta anche la naturale conclusione di questa collana.
Ed eccoci giunti alla mia personale opinione.

Il lato attivo dell’Infinito, ha i suoi punti di forza e le sue debolezze.

Da una parte, è decisamente più comprensibile dei precedenti in quanto incentrato sul passato da “comune mortale” di Castaneda, seppur gli episodi non siano affatto leggeri o spensierati. Al contrario, alcuni di essi sono morbosi, raccapriccianti, disgustosi, grotteschi, drammatici e quasi surreali.
D'altro canto, ci sono anche episodi commoventi e sofferti, profondi e coinvolgenti, al punto che sorprendono il lettore per le molte e insolite esperienze vissute da un ragazzo (e poi uomo). Tutto ciò suscita curiosità e mantiene vivo l’interesse.
Personalmente, però, alcuni episodi mi hanno lasciato perplesso per la loro incoerenza e mancanza di logica, come ad esempio l'esperienza di Castaneda con il "malavitoso".

È senza dubbio piacevole e interessante scoprire Castaneda da una prospettiva più umana e terra-terra rispetto a quella a noi più familiare dei libri precedenti, incentrati sul suo apprendistato sciamanico. 

Al tempo stesso, le nozioni sciamaniche restano l’aspetto più interessante del romanzo; ho trovato altresì affascinante il concetto di “infinito”, “cosa succeda dopo la morte” e, perché no, anche i predatori e la loro “fame”.
Mi ha colpito anche il fatto che abbia riassunto in questo romanzo i concetti chiave che già conosciamo Peccato che vengano spiegati in modo talmente rapido e superficiale da risultare incomprensibili (a meno che uno non abbia già letto in precedenza il libro in cui l'autore ne parla in modo approfondito).
D’altra parte, gli episodi vissuti da Castaneda colmano con nuovi tasselli il quadro che ci siamo fatti, arricchendolo di particolari che colpiscono e inteneriscono.

Di contro, alcuni episodi li ho trovati un po’ troppo surreali, morbosi e fuori contesto.

Certo, a ben guardare ciascuno di essi aveva una sua ragione d’essere e nella crescita interiore dell’autore, eppure alcuni mi hanno fatto, per varie ragioni, storcere il naso.
In definitiva, Il lato attivo dell’infinito di Carlos Castaneda non può essere letto come libro a sé stante, ma rappresenta la naturale conclusione di un percorso narrativo che abbraccia l’intera collana dell’autore (che consta, compreso questo, di dieci libri). Ecco perché, per chi ha letto tutti gli altri, immergersi in quest’ultimo non può che essere piacevole quanto “ritornare in un luogo familiare”. Un libro quindi che non può mancare nella libreria di ogni “fan di Castaneda” e che arricchisce il lettore di nuovi concetti affascinanti e misteriosi. Ma al tempo stesso gli fa scoprire un aspetto inconsueto dell'autore, ovvero quello fuori dalla sua vita di sciamano e immerso nella quotidianità del suo passato di ragazzo e di uomo, come potrebbe essere quello di ognuno di noi.


Il lato attivo dell'infinito

Autobiografico
di Carlos Castaneda
BUR
Non-fiction | Saggio narrativo
ISBN 978-8817258890
Cartaceo 10,00€
Ebook 7,99€

Quarta  

Il lato attivo dell'infinito è la regione a cui accedono gli sciamani dopo la morte. Per prepararsi all'ultimo viaggio nell'ignoto, gli sciamani ripensano e rivivono gli atti e i momenti fondamentali della loro vita: il metodo più efficace per raccogliere la somma totale delle loro emozioni e conoscenze, della propria energia vitale. Per questo don Juan Matus, lo sciamano Yaqui che ha scelto Castaneda, lo esorta a mettere insieme l'"album" delle proprie esperienze. Questo libro è appunto l'album di un guerriero dello spirito.

Libri di Carlos Castaneda




Andrea Pistoia
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Recensione: La bottiglia magica, di Stefano Benni

Recensione: La bottiglia magica, di Stefano Benni

Recensione: La bottiglia magica, di Stefano Benni

Libri Recensione di Andrea Pistoia. La bottiglia magica di Stefano Benni (BUR). A metà tra una favola per ragazzini e una critica spietata della società, con forse troppi personaggi ed elementi narrativi.

Stefano Benni l’ho sempre adorato per la geniale originalità con cui imbastisce una storia, sia nei suoi libri più comici che in quelli più impegnati e provocatori.
Ecco perché, quando ne ho avuto l’occasione, ho acquistato anche questo romanzo, La bottiglia magica, incuriosito da ciò che si celava dietro questa opera di parole e disegni (già, perché rispetto a tante altre sue opere, in questo libro Benni si avvale anche della collaborazione di Luca Ralli e Stefano Tambellini per i disegni e la colorazione).

La bottiglia magica di Stefano Benni narra delle vicende di due ragazzi: Pin, pescatore che sogna di emigrare in Diladalmar in modo da diventare finalmente ricco, e Alina, una ragazza che vorrebbe fuggire dal collegio in cui è rinchiusa.

Le loro strade s’incrociano quando il ragazzo trova una bottiglia magica, al cui interno c’è la richiesta d’aiuto da parte di Alina. È per questo che decide di mettersi in viaggio per andare a soccorrerla. Affiancati l’uno da un topo parlante e l’altra da un gatto wi-fi, i due ragazzi per realizzare i loro sogni di libertà affronteranno mirabolanti avventure e verranno a contatto con personaggi variopinti e folli.
Di primo acchito sembrerebbe una favola per bambini. Ma ricordiamoci che stiamo sempre parlando di un’opera di Benni! Infatti, quando il libro prende la piega di una storia per ragazzini, l’autore se ne esce con un discorso profondo, filosofico, razionale o critico che spiazza il lettore e lo spinge a porsi continue domande e a rivalutare il target di lettori a cui è rivolto questo libro. Senza contare che lo stupisce con geniali giochi di parole, con episodi di una sensibilità fuori dall’ordinario e pagine intrise di poesia romanzata.

Ebbene sì, perché è comprovato che un giovane leggerà questo libro come una favoletta divertente, ricca di personaggi pazzi e situazioni al limite del paradossale, ma è anche vero che leggendo tra le righe di ogni episodio e dialogo si scopre un altro modo d’interpretare la storia.

Stefano Benni coglie l’occasione per prendere in giro tormentoni, programmi tv nostrani (esempio lampante “Mosterchef”, il cuoco sadico del collegio) e incoerenze sociali di questi anni. In pratica, amalgama sapientemente la favola per bambini con critiche più o meno velate alla società attuale con trovate geniali, espedienti narrativi fuori dall’ordinario e battute a volte persino feroci e volgari.
Il giocoforza dell’autore è che, in quanto scrittore affermato, si può permettere di osare. Ovvero non pone limiti alla propria fantasia: ottiene così un libro ricco di trovate stilistiche e narrative uniche (anche solo il far interagire i disegni col testo o rendere gli uni la diretta conseguenza dell’altro oppure inserire in una pagina uno spartito con tanto di note e parole o all'occorrenza poesie che hanno un senso di essere).
Quindi lo consiglio vivamente?
Ni.

Per quanto abbia apprezzato La bottiglia magica e in tutta la storia abbia trovato tracce di genialità (con Stefano Benni non potrebbe essere altrimenti), ammetto di essere rimasto perplesso su alcune cose.

Innanzitutto l’autore ha giocato così tanto sull’amalgamare elementi narrativi diversi da non permettere al lettore di capire a quale pubblico fosse indirizzato il romanzo. È una divertente favola per ragazzini, ma con delle situazioni e soprattutto dei dialoghi a volte troppo adulti e volgari. Senza contare che la storia in sé è una favoletta, ergo un adulto che cerca una lettura consona alla sua età tenderebbe a evitarlo (anche solo vedendo i disegni, il lettore occasionale lo giudicherebbe appunto solo un mero libro per ragazzini delle elementari). Ciò non toglie però che è solo apparenza: il libro è una metafora e una critica spietata (ma onesta) della società attuale e di tutti i problemi che viviamo in questi anni (in primis il problema degli immigrati, la disperazione che porta questi a scappare dalle loro terre e alla società che ci vuole solo consumatori senza una coscienza critica).
E ancora, ho trovato anche eccessiva la presenza di decine di comprimari. Anche se ognuno ha una sua (buffa) caratterizzazione, il fatto che (a fine libro si capisce che) fanno solo una comparsata li penalizza: non si capisce infatti se dobbiamo imprimerceli nella memoria a lungo termine in quanto riappariranno dopo poche pagine o dimenticarcene perché solo "meteore".

Infine, non mi sono mai piaciute le filastrocche e le poesie nei romanzi, specialmente se infantili.

Può avere un senso se il libro è per ragazzini (o meglio ancora bambini) ma se rivolto a un pubblico adulto penalizza la lettura. Certo, alcune sono anche simpatiche, ma altre sono troppo banali per essere apprezzate da una persona che ha più di quattro anni.
Tengo però a precisare che ciò che mi ha lasciato perplesso è veramente poca cosa rispetto a tutto ciò che c’è di bello nel romanzo di Stefano Benni, il quale si dimostra una volta di più uno scrittore che sa fare il suo mestiere e lo sa fare bene. La sua creatività è senza limiti e la sua capacità di narrare i drammi della società camuffandoli da favoletta per ragazzi fanno guadagnare inevitabilmente punti al romanzo.
Ergo, a parte qualche mia personale perplessità non posso che consigliare questo libro sia che voi cerchiate una lettura leggera e piacevole sia che desideriate un romanzo con dei meta-messaggi su cui riflettere.

La bottiglia magica

di Stefano Benni
BUR
Narrativa
ISBN 978-8817097109
Cartaceo 12,35€
Ebook 9,90€

Sinossi 

Pin è figlio di un pescatore di nome Jep e spera di diventare ricco emigrando nel Diladalmar. Alina è rinchiusa nel collegio high-tech di Villa Hapatia, il suo sogno è fare la scrittrice. Lui ha un bel nasone e un topo per amico; lei si accompagna a un gatto (wifi) con un largo sorriso. Vi ricordano qualcuno? I loro destini si mescolano grazie alla bottiglia magica che Alina ha affidato all'acqua. È Pin a trovarla e così comincia per entrambi un viaggio di terrore e meraviglia, fatto di incontri rocamboleschi, fughe a perdifiato, prodigiosi capovolgimenti. Pin deve affrontare rapper e fate muscolose, una traversata con scafisti dalle sembianze di un gatto e una volpe, poi tanti altri amici e nemici. Alina, invece, scappando dalla preside Queen Fascion e dal crudele cuoco Monsterchef, nei sotterranei della scuola scopre un terribile segreto: qualcuno vuole cancellare ogni forma di diversità e fantasia. Riusciranno i nostri eroi a incontrarsi e rovesciare un futuro già scritto?

Andrea Pistoia
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Recensione: Il potere del silenzio, di Carlos Castaneda

Recensione: Il potere del silenzio, di Carlos Castaneda

Recensione: Il potere del silenzio, di Carlos Castaneda

Libri Recensione di Andrea Pistoia. Il potere del silenzio di Carlos Castaneda (BUR). Episodi di vita di Don Juan e Carlos, ridicoli, spaventosi, magici e drammatici. Un libro che non può essere compreso senza aver prima approfondito i precedenti.

Questo romanzo incomincia con un ripasso delle nozioni apprese nelle precedenti opere. Ciò è utile per comprendere i concetti presenti più avanti.
Poi ci si tuffa nella storia vera e propria, che segue sostanzialmente due livelli temporali diversi (in cui l’autore non è il protagonista ma per lo più una comparsa). Quindi è come se si stessero leggendo due libri distinti ma sapientemente amalgamati per offrire una certa omogeneità al tutto.


Il “primo libro” è incentrato su Don Juan che conduce Carlos in alcuni luoghi magici del Messico per fornirgli lunghe e complesse spiegazioni sui concetti chiave dello sciamanesimo.

Qui il maestro continua a trascinare l’allievo in stati alterati di coscienza per fornirgli degli insegnamenti utili al suo apprendistato. Ed è così che veniamo a conoscenza di nuovi concetti: “noccioli astrali”, “intento”, “spirito”, “anelli di collegamento” e “i quattro modi dell’agguato”. Ma c’è anche spazio per parlare del “corpo sognante”, ovvero la capacità di essere in due posti contemporaneamente, e delle esperienze passate di Carlos (incomprensibili a quest’ultimo fino a che il suo mentore non gli fornisce una spiegazione “sciamanica”).

Il “secondo libro” invece verte sul passato di Don Juan, da quando era scampato alla morte grazie a colui che sarebbe diventato il suo maestro, il nagual Julian, fino al suo apprendistato con quest’ultimo.

Lo fa narrando certi episodi, considerati da lui in un primo momento assurdi e incomprensibili ma col senno di poi (e soprattutto con le conoscenze sciamaniche acquisite) sensate se non addirittura necessarie. Infatti, Don Juan dimostra al suo allievo come ogni singola “follia” di Julian sia stata studiata a tavolino fin nei minimi particolari per indurlo in un certo stato d’animo o di coscienza e come un maestro sia disposto a tutto pur di rendere il suo allievo a sua volta un nagual.


Che dire di questo libro?

Innanzitutto che si alternano lunghe spiegazioni su concetti fondamentali per l’apprendistato di Carlos (su tutti i “noccioli astratti”, “l’intento” e “l’agguato”) a episodi di vita vissuta sia dall’autore che dal suo maestro. Peccato che, secondo me, proprio queste spiegazioni siano il punto debole del libro: non tanto perché si dilunghino in modo eccessivo quanto per la complessità dei concetti in essi contenuti. Come negli ultimi libri da me letti dell’autore, sono infatti troppo lontani dalla mia comprensione di “occidentale medio”. Di conseguenza sfugge non solo la loro essenza ma anche tutto ciò che si sviluppa da essa. Ergo, mancando la base, tutto il resto è un enorme ammasso d’informazioni lacunose che fanno perdere più e più volte il filo del discorso.


Seppur l’autore riassuma continuamente certe spiegazioni (sviluppate in modo esaustivo nei precedenti libri) c’è sempre quella sensazione di avere a che fare con nozioni troppo fuori dai consueti canoni per comprenderle appieno.

Per chiarire ciò a cui mi sto riferendo, quando si entra in concetti quali “il riflesso di sé”, “l’agguato” o “l’impeccabilità”, tutto diventa più difficile se non addirittura incomprensibile.
Anche se, di contro, queste spiegazioni vengono intervallate da (pochi) episodi d’azione decisamente d’effetto e spiazzanti. Basta citare quando Don Juan “impazzisce” per insegnare a Carlos la “lezione di spietatezza” o il finale, dove il maestro mostra come si può trascendere qualsiasi legge fisica una volta che si è divenuti sciamani.
Ovviamente nel romanzo fanno la loro comparsa altri sciamani, alcuni decisamente particolari e affascinanti (primo fra tutti, “lo sfidante della morte”, ovvero colui che può vivere in eterno).
Non mancano neppure concetti poetici, quali il “balzo del pensiero nell’inconcepibile” o cos’accade quando muore uno sciamano.

Dulcis in fundo, una domanda è d’uopo: “Mi è piaciuto?”

Ammetto che le troppe spiegazioni, a me incomprensibili, mi hanno fatto calare più volte l’interesse. Di contro, gli episodi di vita vissuta da Don Juan e Carlos, tra il ridicolo e lo spaventoso, tra il magico e il drammatico, mi hanno incuriosito e, a volte, appassionato. Senza contare che le spiegazioni “magiche” di certi comportamenti dei maestri sono un valore aggiunto all’opera.
Eppure tutto ciò non è stato sufficiente a farmi apprezzare appieno questo libro.
Specialmente perché mi aspettavo di leggerne uno incentrato ancora una volta su Carlos e il suo apprendistato, non certo su quello del suo maestro (chiariamo: comprendo la necessità di questa decisione narrativa. Semplicemente mi divertiva di più l’idea di Carlos sottoposto incessantemente alle “torture magiche” di Don Juan).
Infine, vi avverto, è un libro che non può essere sicuramente compreso senza aver prima approfondito i precedenti, né tantomeno letto con superficialità, in quanto la distrazione su un singolo concetto condurrebbe di conseguenza a non capire tutto ciò che ne segue.

Il potere del silenzio

di Carlos Castaneda
BUR
Saggio
ISBN 8817258911
Cartaceo 9,50 €
Ebook 6,99€

Sinossi 

È sempre don Juan il protagonista dei libri di Castaneda, studioso di etnologia dedicatosi in particolare alle antiche tradizioni esoteriche degli indios del Messico centrale. Nel paesaggio allucinato e selvaggio di un Messico immutabile si placa il rumore della vita quotidiana e si afferma il silenzio interiore. Diviene così possibile attingere ad arcane energie, forze recondite dello spirito che la razionalità del moderno mondo occidentale ha soffocato. Solo il nagual, lo sciamano (nelle vesti di don Juan) è in grado di controllare questi misteriosi poteri e di compiere incredibili esperienze, condividendole con colui che ha scelto come apprendista, cioè lo stesso Castaneda.

Andrea Pistoia
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Recensione: Il dono dell'aquila, di Carlos Castaneda

Recensione: Il dono dell'aquila, di Carlos Castaneda

Recensione: Il dono dell'aquila, di Carlos Castaneda

Libri Recensione di Andrea Pistoia. Il dono dell'aquila di Carlos Castaneda (BUR). La cultura sciamanica messicana e gli stati alterati di coscienza, in un romanzo che a volte risulta ridondante.

Eccomi qui a parlare dell’ennesimo libro di Castaneda e dell’evoluzione del protagonista da “comune mortale” a sciamano.
Partiamo dicendo che questo romanzo è suddiviso in tre parti distinte, anche se c’è un filo conduttore che li collega.
La storia incomincia con Carlos Castaneda che s’incontra con gli allievi e allieve (già visti negli scorsi libri) dei suoi maestri Don Juan e Don Genaro. Con loro ha svariate esperienze che abbracciano tutta la prima parte del libro. Tra rituali e condivisioni di esperienze mistiche, apprendiamo nuove pratiche sciamaniche, tra cui: le tre attenzioni in cui vive un uomo, lo scorgere le auree delle persone e il viaggiare nei sogni. Ma soprattutto scopriamo come i personaggi, nei momenti più disparati, si ricordano episodi cruciali perduti nella propria memoria (come se qualcuno avesse indotto i malcapitati a dimenticarli) del loro passato con i due maestri.


Nella seconda parte invece Carlos Castaneda si muove per il Messico in compagnia della Gorda, approfondendo con lei il “perdere la forma umana” e il sognare consapevolmente, da solo o in coppia.

Troppo lungo spiegare l’intero processo in una recensione ma, vi assicuro, è tutto veramente affascinante.
La terza parte, infine, è un enorme flashback in cui Carlos Castaneda ricorda gli incontri con Don Juan, il quale gli racconta del suo benefattore (ovvero maestro), delle Regole dell’Aquila, dei compagni ‘spirituali’ del protagonista e del suo incontro con Don Genaro.
In quest’ultima parte il racconto del maestro coinvolge il lettore in quanto quest’ultimo viene a conoscenza di alcuni retroscena (specialmente il come e il perché ha scelto Castaneda e gli altri allievi) e scopre come certi episodi letti nei precedenti libri abbiano una spiegazione completamente diversa da quella fornita in passato da Don Juan al protagonista (e di conseguenza al lettore).
Ma passiamo ora a valutare questo romanzo.
Come per gli altri libri dell’autore, ho trovato pro e contro.


Perché leggere  Il dono dell'aquila di Carlos Castaneda.

Naturalmente in primis il fatto che resta comunque un libro di Castaneda, quindi si sa già cosa aspettarsi, dallo stile ai colpi di scena, dalle esperienze mistiche alle spiegazioni al limite della nostra comprensione.
Il mistero intorno ai loro ricordi, che affiorano nelle situazioni più disparate, s’infittisce sempre più e mantiene vivo l’interesse del lettore per pagine e pagine, finché verso la fine si ha una spiegazione sciamanica chiarificatrice.
Non di meno, tutto ciò che riguarda il sogno e su come muoversi coscientemente al suo interno è quantomeno intrigante e affascinante. Gli esercizi che propone invogliano a sperimentare e a credere che, come tutti i libri dell’autore, ci sia un fondo di verità in ogni sua esperienza.
Rileggere i primi incontri di Castaneda ma questa volta analizzati dal punto di vista del suo maestro danno una prospettiva nuova all’intera esperienza dell’autore.


Cosa non mi ha convinto di Il dono dell'aquila di Carlos Castaneda. 

Come negli altri libri, spiazza e personalmente infastidisce notare come tutti questi “aspiranti sciamani” (ma anche i compagni-stregoni di Don Juan) siano folli e instabili, aggressivi ed esagerati, irritanti e dispettosi. Non ci si capacita di come persone “sulla via dell’illuminazione” possano essere protagonisti di continui litigi, lotte e colpi bassi, manco fossero dei bambini delle elementari!
Al tempo stesso, non comprendo come Carlos, pur essendo considerato il Nagual (quindi un maestro da seguire), venga perennemente criticato, insultato e minacciato da coloro che dovrebbero portargli invece il massimo rispetto. Durante il racconto si evince in più punti come lui si senta un pesce fuor d’acqua, sempre insicuro e alla mercé degli avvenimenti (al contrario della Gorda, la quale si dimostra più forte e decisa). Ciò rende il tutto incoerente e lascia perplessi.


Come nei libri precedenti c’è sempre qualche entità che attenta alla vita dell’allievo e ci sono i soliti allarmismi rivolti a Carlos sulla pericolosità, mortale, di certi rituali. 

Onestamente, il ripetere questa pantomima in ogni libro dopo un po’ sa troppo di “già visto” (anche se queste situazioni hanno una ragione d’essere ben precisa, svelata successivamente).
Ci sono veramente tanti, troppi, personaggi. Tra i compagni di Carlos e quelli di Don Juan, arriviamo a una ventina di comprimari che si susseguono e alternano. Addirittura, in un capitolo, quando fanno il punto sul ruolo di ognuno, bisogna stilare un elenco di tutti gli interpellati per capirci qualcosa! Non che sia fondamentale sapere chi fa cosa, ma diciamo che tutta questa processione di allievi e maestri manda in confusione il lettore.


Appaiono anche nuovi, misteriosi personaggi.

La Donna Nagual, Zuleica (la quale insegna a Carlos l’arte di sognare), Florinda (che insegna la tecnica dell’agguato) ma soprattutto Silvio Manuel, percepito come un nemico mortale per gli aspiranti stregoni. Qui c’è un nuovo paradosso, in quanto da una parte questo conduce gli amici-compagni spirituali di Castaneda a considerare quest’ultimo un nemico che attenta alla loro vita (dato che nei loro ricordi lui è pappa e ciccia con Silvio) ma dall’altra continuano a seguirlo. Ergo, questa ulteriore incoerenza di base nei loro comportamenti ha aumentato la mia perplessità (facendomi sorgere il dubbio che sia stato un grossolano errore di caratterizzazione dei personaggi e delle loro azioni. Questo fino alla fine, dove anche questa sotto-trama ha una spiegazione).

In definitiva, è un romanzo di Carlos Castaneda, quindi come tutti gli altri si riscontrano pregi e difetti che possono attirare o respingere il lettore. 

Certo è che, come i libri precedenti, c’è tanto da imparare della cultura sciamanica messicana e degli stati alterati di coscienza. L’autore mantiene vivo l’interesse del lettore con certi escamotage narrativi (in primis il motivo per cui si sono dimenticati episodi salienti e fondamentali della loro vita) anche se ammetto che certe spiegazioni sono state rese troppo prolisse, diventando a tratti noiose e allungando oltre il necessario il racconto.
Ciò non toglie però che, tirando le somme, la trama conquista per com’è stata imbastita e per ciò che di spirituale e mistico si percepisce dietro certi episodi e rituali.


Il dono dell'aquila di Carlos Castaneda

Il dono dell'aquila

di Carlos Castaneda
BUR
Saggio
ISBN 978-8817258906
Cartaceo 10,00€

Sinossi 

Carlos Castaneda, partito intorno alla metà degli anni sessanta alla volta del Messico per una tesi sulle proprietà delle piante psicotrope, si imbatte in Don Juan, sciamano e profondo conoscitore delle "piante che danno potere". Si ferma presso di lui e ne diventa apprendista. Dagli appunti che Castaneda stende in quegli anni, nasceranno i libri. Nel paesaggio allucinato delle aride e desolate plaghe di un Messico diverso, tra le antiche rovine delle civiltà autoctone più remote, l'apprendista raggiunge il livello più alto dei poteri magici: ottiene "il dono dell'aquila", la libertà, si scioglie da ogni forma di condizionamento e diviene nagual, energia cosmica pura.


Andrea Pistoia
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Recensione: Il secondo anello del potere, di Carlos Castaneda

Recensione: Il secondo anello del potere, di Carlos Castaneda

Recensione: Il secondo anello del potere, di Carlos Castaneda

Libri Recensione di Andrea Pistoia. Il secondo anello del potere di Carlos Castaneda (BUR). Il quinto libro di una saga sugli sciamani e la magia messicana.

Dato che mi ero ripromesso di leggere tutti i libri di Carlos Castaneda, dopo i quattro recensiti precedentemente in questo sito, eccomi giunto a Il secondo anello del potere.
Come sapete, Carlos Castaneda racconta nelle sue opere il percorso che ha affrontato per diventare uno stregone. In questo libro l’autore torna in Messico in quanto ha bisogno di capire se il colpo di scena che conclude il quarto libro, L’isola del Tonal, sia accaduto veramente o è stato unicamente frutto della sua immaginazione.


Vorrebbe domandarlo a Don Juan, il suo maestro sciamano, ma quest’ultimo è scomparso. Al suo posto trova le allieve di quest’ultimo e gli apprendisti di Don Genaro (altro potente stregone che abbiamo conosciuto nei precedenti romanzi).

Tutto il libro si dipana sugli incontri/scontri tra Carlos Castaneda e gli allievi dei due stregoni. 

Affronta in primis Dona Soledad, anche se più che un incontro tra stregoni saggi sembra un racconto horror “dei tempi andati” di Stephen King. Di conseguenza, le prime cinquanta pagine spiazzano subito per la direzione che prende la storia: ci si aspetterebbe infatti un romanzo con apprendisti equilibrati invece si è catapultati in uno scontro incomprensibile, ridicolo e surreale, in cui gli antagonisti sono delle persone emotivamente instabili che non sanno gestire le proprie pulsioni.
Ciò non migliora col proseguo della storia, infatti via via subentrano le altre allieve; qui tutto precipita nell'isterismo e in dinamiche relazionali fuori da ogni logica. Per intenderci, se possiamo accettare queste reazioni esagerate da un maestro che usa sistemi poco ortodossi per trasmettere grandi verità, risultano incomprensibili se compiute dalle allieve, le quali dimostrano solamente di essere delle pazze con enormi problemi psicologici ed emotivi.

Persino gli allievi di Don Genaro risultano infantili, irosi e violenti, tra litigi, volgarità senza filtri e insulti gratuiti.

(Vedi il «Lurida troia» rivolta ad un’allieva di Don Juan o «Duecentoventi natiche» per offendere l’obesità di un'altra).
Sono tutto fuorché senza macchia; lo dimostrano specialmente in certe loro azioni, quali il voler sottomettere le allieve di Don Juan o il tentare addirittura di violentarne una. Qui si raggiunge l’apice dell’incredulità, del disgusto e si vacilla nella lettura in quanto ci si aspetta che l’allievo di uno stregone, dopo anni di apprendistato e dopo aver raggiunto certi livelli di consapevolezza, abbia trasceso certi beceri istinti e pulsioni, invece si scopre come nessuno abbia ottenuto un suo equilibrio. Più che ad un incontro di uomini “sulla via dell’illuminazione” sembra una visita in un manicomio criminale!


Tantomeno Carlos Castaneda ne esce facendo la figura del giovane saggio: anche lui infatti reagisce in modi paradossali che lasciano perplessi e increduli.

(Per fare un esempio, come fa a dialogare amichevolmente, quasi con profondo rispetto, con una donna che fino a un attimo prima ha cercato di ucciderlo?)
In più, l’autore viene designato come il successore di Don Juan, eppure tutto è fuorché un guerriero senza macchia: negli scontri con gli altri allievi si dimostra insicuro, in balia degli eventi, sprovveduto e con scatti di estrema paura e rabbia ingiustificati per uno che dovrebbe essere uno stregone da rispettare. Al contrario i suoi avversari sembrano sapere sempre cosa fare e come farlo, con una sicurezza che Carlos Castaneda si sogna (e per questo viene ampiamente deriso dai presenti, anche pesantemente).

In Il secondo anello del potere, come nei libri precedenti, si parla di rituali e tecniche e ci si immerge in discorsi magico-filosofici.

(Per dirne alcuni, lo “stampo umano”, gli alleati e i “buchi nello stomaco”)
Ma così lontani dalla realtà occidentale da risultare a volte incomprensibili al lettore medio occidentale. Infatti, non avendo delle analogie con la vita di tutti i giorni, non si riesce a capire quanto possano essere solo fonte di fantasia sfrenata o di realismo romanzato.
Infine, altra particolarità che potrebbe infastidire, ma resta comunque un nonnulla rispetto a ciò che vi ho appena riportato, è la traduzione del testo. A volte sono stati usati dei termini insoliti: sinché, dacché, ammenoché, la sera avanti, pel (per dire: “per il”), mi fè segno, ecc. Non che non si capisca cosa si voglia comunicare con questo stile un po’ retrò della lingua italiana ma semplicemente spiazza trovare parole così inusuali.


Ok, ma alla fine c’è qualcosa che si salva? Se si va oltre tutti gli episodi difficili da digerire, qualcosa di buono lo si trova sicuramente.

Innanzitutto i primi incontri tra gli allievi e i loro maestri sono interessanti e offrono più spessore al background dell’intera epopea dell’apprendista stregone. Infatti ogni allievo racconta come ha incontrato il suo maestro (mostrandoci così un affresco di persone allo sbando, con un passato a volte doloroso, commovente e straziante) e come quest’ultimo l’ha indirizzato verso la strada della stregoneria messicana. Ciò è interessante in quanto offre nuovi particolari sul passato dei due maestri e un quadro più chiaro di alcuni episodi accaduti a Carlos che, grazie alle spiegazioni degli altri apprendisti stregoni, si arricchiscono di nuovi significati.
Forse proprio questo è la forza del quinto libro della saga: narrare come persone fuori controllo siano state salvate da questi maestri spirituali e guidate verso un equilibrio interiore (anche se, c’è da ammetterlo, nel libro si evince dagli scatti di ira e dalle crisi degli allievi come la strada verso la pace dello spirito è ancora lunga).
In più, si parla di tecniche sciamaniche che nei precedenti libri non sono stati riportati, quali il rubare il potere di un’altra persona (anche se per farlo si è disposti a uccidere Carlos pur di acquisirne il potere. Peccato che poi, una volta che non si è riusciti nell'intento, tutti amici come prima. Mah…) e si approfondiscono certe tematiche accennate in passato, ovvero l’arte di sognare, l’aura (anche se ne parlano in altri termini) e si vanno ad analizzare vecchi comportamenti adottati da Don Juan verso l’autore in un’ottica più chiara, grazie al ‘sapere’ acquisito in questo libro, mostrando come certi atteggiamenti del maestro avevano un senso di essere attuati.


Personalmente ho trovato molto interessante (e comprensibile) l’ultima parte del libro, dove si spiega in modo pratico e chiaro come “contemplare” (in pratica meditare), con tanto di esempi pratici da sperimentare a nostra volta. 

Ho trovato sempre molto poetico il ‘Fermare il mondo’, ovvero andare in un altro stato di coscienza per immergersi nel Tonal. E infine ho apprezzato ampiamente le ultime pagine del romanzo, dove finalmente sono un gruppo di persone sagge unite per uno scopo superiore: condividere i propri segreti con l’autore per chiarirne le perplessità.
Ma alla fine dove sono andati Don Juan e Don Genaro? Ce lo svelano gli allievi alla fine, in una rivelazione magica che chiude in bellezza il libro.

Come al solito, domanda di rito: consiglierei Il secondo anello del potere di Carlos Castaneda?

Ammetto che tante parti non mi sono piaciute: specialmente gli scontri verbali e fisici con tracce di horror e di volgarità gratuita. Le ho trovate troppo paradossali addosso a degli apprendisti stregoni evoluti. Senza contare che i comportamenti degli allievi sono stati per lo più irritanti, odiosi e deplorevoli.
Di conseguenza, l’opera non è pienamente digeribile. Capisco l’obiettivo dell’autore di mostrare le mille (oscure) sfaccettature di un apprendista ma avrei evitato di riportare certi episodi; forse la lettura non solo non ne avrebbe risentito ma ne avrebbe addirittura giovato.
Certo è che resta sempre un libro di Castaneda; di conseguenza gli aspetti più spirituali, magici e poetici sono presenti anche qui (anche se per lo più condensati alla fine).
Ovviamente non si può leggerlo se prima non si conoscono i libri precedenti: sono in una continuity serrata che non ammette ignoranza (anche solo per gli episodi in cui ripercorre il passato di Carlos, le pratiche sciamaniche e i concetti sviscerati nei libri precedenti).
Di conseguenza, consiglio di leggere prima gli altri libri e poi quest’ultimo. E se riuscirete a sopportare gli allievi odiosi e i comportamenti illogici dei protagonisti, rimarranno delle dissertazioni filosofiche e dei concetti affascinanti che spronano ad andare oltre i propri limiti, spirituali e mentali.


Il secondo anello del potere

di Carlos Castaneda
BUR
Saggio
ISBN 978-8817059503
Cartaceo 8,50€

Sinossi 

Dopo aver appreso le arti magiche che introducono nel labirinto del "mondo del potere e della conoscenza" Castaneda sperimenta le facoltà acquisite in uno straordinario viaggio nell'universo della stregoneria applicata. E'la prova del fuoco che anche lui è uno stregone e un guerriero, quindi è in grado di affrontare e vincere fenomeni extranormali e terrificanti. Figura centrale del libro è un formidabile personaggio: dona Soledad, magica e terribile antagonista di Castaneda e, nello stesso tempo, espressione di quanto vi è di più profondo e misterioso nel concetto di femminilità.

Andrea-Pistoia

Andrea Pistoia
Nasco in una solare giornata di luglio a Vigevano. A dodici anni scoppia l’amore per la letteratura. Affronto la scuola come un condannato a morte. In compenso la mia cultura extra-scolastica cresce esponenzialmente. Dopo due anni vissuti a Londra, torno in Italia come blogger, giornalista, recensore di fumetti e sceneggiatore di un fumetto online per una nota casa editrice. Chitarrista dei ‘Panama Road’, direttore editoriale di una fanzine online.
Ancora e mai più (nelle mutande), Youcanprint.
Di donne, di amori e di altre catastrofi, Youcanprint.
Da zero a 69, PubMe - Collana Gli Scrittori della Porta Accanto.
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Recensione: L'isola del Tonal, di Carlos Castaneda

Recensione: L'isola del Tonal, di Carlos Castaneda

Recensione: L'isola del Tonal, di Carlos Castaneda

Libri Recensione di Andrea Pistoia. L'isola del Tonal di Carlos Castaneda (BUR). Un libro che risulta per certi versi illuminante e coinvolgente, specialmente nelle scene d’azione, mentre per altri un po’ troppo lento.

Dopo la trilogia sull’apprendistato di Carlos Castaneda, non potevo esimermi dal leggere questo quarto libro.
Ma prima di entrare nel vivo della recensione, una premessa: la trilogia si conclude con i botti e un finale che parrebbe chiudere degnamente tutta la saga (resto sul vago per non spoilerare). Ergo, pensavo che questo quarto libro fosse un approfondimento delle tematiche accennate nella trilogia. In realtà è il seguito cronologico, ovvero parte da dove termina il terzo, abbracciando quindi gli anni successivi al 1971. Si scopre così che il suo apprendistato con don Juan e don Genaro non è ancora concluso e che lo aspettano altre avventure magiche e mistiche.


L'isola del Tonal di Carlos Castaneda è un romanzo di quasi quattrocento pagine suddiviso in svariati capitoli, anche se grossomodo la prima parte è incentrata sul Sognare mentre la seconda sul Tonal e sul Nagual.

Tonal e Nagual, tuttavia, non possono essere spiegati in poche righe in una recensione, quindi bypasso la cosa.
Abbandonate quindi le droghe psicotrope del primo libro (ovvero il peyote e la mescalina), allievo e maestro si concentrano su altri modi per entrare in uno stato alterato di coscienza e per interrompere il dialogo interiore, in modo tale da percepire la realtà a più largo spettro.
L'isola del Tonal alterna lunghi dialoghi chiarificatori a episodi di azione pura in modo da dimostrare come la realtà sia ben al di là di come la vediamo solitamente.


A questo punto, però, veniamo ai pro e contro dell’Isola del Tonal di Carlos Castaneda.


Pro:
  • È Carlos Castaneda, quindi chi ha letto i precedenti libri troverà la famigliarità del suo stile narrativo atto a riportare su carta esperienze e nozioni illuminanti.
  • Il piacere di trovare concetti spirituali orientali re-interpretati dalla cultura messicana. Per intenderci, la kundalini loro la chiamano “La breccia” e l’aura intorno alle persone viene definita come “Essere luminoso”.
  • Alcuni concetti sono affascinanti, ovvero il significato di essere un guerriero senza macchia e l’arte di Sognare.
  • Il fatto che certi episodi riportati nella trilogia vengano chiariti in questo libro. Tante prove che Carlos Castaneda ha affrontato in passato, e motivate in modo a volte superficiale e sbrigativo, qui hanno una spiegazione esaustiva, mostrando così come certe verità non potevano essere fornite senza un adeguato bagaglio di sapere (per intenderci, è come quando si dà ad un bambino una spiegazione fantasiosa perché non ha ancora le nozioni e la capacità per comprendere le leggi che governano il mondo). Ne sono esempi lampanti certe prove o rituali, quale l’usare droghe psicotrope per raggiungere stati alterati di coscienza o le sfide contro la strega Catalina. Stesso discorso vale per certi concetti (ad esempio il “Vedere”) che adesso vengono approfonditi chiarendo dubbi e perplessità dell’autore e del lettore. Tutto ciò fa ottenere ulteriori punti all’opera.
  • Il finale aperto e poetico è con i botti; spiazza e incanta il lettore, lasciandolo col quesito: “E adesso cosa accadrà?”. Infatti, dato che non è chiaro se l’episodio sia una metafora o la realtà, si è inevitabilmente invogliati a leggere il romanzo successivo per scoprirlo (ovvero Il secondo anello del potere).


Contro:
  • L'isola del Tonal consta di circa quattrocento pagine. Personalmente le ho trovate eccessive, dato che in certi punti si dilunga in spiegazioni che lasciano il tempo che trovano. Lo dimostra il fatto che, ripensando a certi capitoli (in special modo quando spiega il Tonal e il Nagual o il “doppio” di ogni stregone), ho il vuoto totale.
  • Tonal e Nagual: quasi tutto il libro è incentrato su questi concetti. Il problema è che sono concetti così lontani dalla nostra realtà (anche per chi da tempi immemori ha dimestichezza con certi concetti filosofici) che fanno fatica ad essere compresi e accettati. Senza contare che l’autore vi si dilunga per pagine e pagine intere, risultando nel complesso un po’ noioso e monotono.
  • Si torna ancora una volta a parlare di morte durante le pratiche magiche. Come nei precedenti libri, i maestri di Carlos Castaneda tirano in ballo ad ogni prova il rischio di decesso nel caso l’autore non esegua alla lettera certe indicazioni e rituali. Di conseguenza, anche qui il lettore resta perplesso: sarà veramente pericoloso o è solo un astuto escamotage per indurre Carlos Castaneda a comportarsi in maniera impeccabile? Tra l’altro, durante la lettura si scopre come alcune raccomandazioni fornite all’allievo nei precedenti libri non erano atte a evitare all’apprendista una morte prematura ma erano solo un modo per metterlo alla prova e sfruttare la sua paura per superare le difficoltà. Al che viene spontaneo chiedersi se anche in questo libro valga lo stesso “approccio educativo”.
  • Ho trovato fastidioso quel continuo prendersi beffa di Carlos Castaneda da parte dei suoi maestri. Non solo, ma questi ultimi spesso ridono, scherzano e fanno cose da pazzi. Specialmente don Genaro risulta irritante nel suo vestire costantemente i panni del buffone (anche se un attimo dopo passa in “modalità saggio”, spiazzando autore e lettore). Diciamo che chi si aspetta dei maestri in versione monaco zen pacato e saggio resterà deluso dalla cosa. Di contro c’è che ad ogni comportamento inusuale ne scaturisce una spiegazione plausibile (offerta da Don Juan) che chiarisce il tutto.
  • Sembra una sciocchezza ma, per quanto mi riguarda, il fatto che si diano tutti del lei (al contrario dei precedenti libri in cui si davano del tu) mi ha lasciato molto perplesso. Non so per quale ragione sia stata fatta questa scelta stilistica ma preferivo di gran lunga quella confidenziale e amichevole dei precedenti romanzi.

In definitiva, L'isola del Tonal di Carlos Castaneda è un libro che risulta per certi versi illuminante e coinvolgente, specialmente nelle scene d’azione, mentre per altri un po’ troppo lento per i miei gusti. 

Come ogni libro di Carlos Castaneda, il lettore attento troverà in modo molto approfondito verità e concetti affascinanti ma in chiave stregoneria messicana; ciò risulta un valore aggiunto a tutta la lettura. Sfortunatamente, essendo concetti fuori dalla nostra prospettiva abituale della realtà, a volte sono di difficile comprensione. Non di meno, il fatto che vengano così sviscerati da ogni angolazione, invece di aiutare nella comprensione diventano dispersivi e impegnativi da assimilare.
Di contro, il finale e certe parti del libro valgono l’intera lettura.
Vi chiederete: "Quindi ce lo consigli o no?"
Lo consiglio a tutti coloro che hanno già letto la trilogia, che vogliono scoprire i retroscena di quei libri e approfondire certi concetti fuori dall’ordinario. Se poi si soprassiede a certe spiegazioni prolisse, risulta comunque scorrevole, specialmente nei momenti in cui si passa all’azione.
Lo sconsiglio a chi invece è al suo primo libro di Carlos Castaneda: c’è una continuità serrata da seguire e L’isola del Tonal diventa incomprensibile se non si ha il background dei precedenti. Ergo, partite da A scuola dallo stregone (primo della saga, nonché il più famoso).


L'isola del Tonal

di Carlos Castaneda
BUR

ISBN 978-8817127516
Cartaceo 9,35€
Ebook 7,99€

Sinossi 
Un docente universitario di etnologia decide di apprendere le arti esercitate dagli stregoni ma, per ben dieci anni, ha l'impressione di essere preso in giro da loro. Solo alla fine scoprirà che questo "imbroglio" è in realtà una tecnica di insegnamento, un modo diverso per avviarlo alla conoscenza. Questo libro narra la fase conclusiva dell'imbroglio e forma la sintesi dell'apprendistato.

Andrea Pistoia
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Recensione: Manuale dell'imperfetto viaggiatore, di Beppe Severgnini

Recensione: Manuale dell'imperfetto viaggiatore, di Beppe Severgnini

Recensione: Manuale dell'imperfetto viaggiatore, di Beppe Severgnini

Libri Recensione di Andrea Pistoia. Manuale dell'imperfetto viaggiatore di Beppe Severgnini (BUR). Un'analisi spietata (ma bonaria) del vacanziere italiano medio. 

Dato che avrei affrontato un viaggio di piacere in treno, quale miglior libro di questo per tenermi compagnia? E non solo mi ha tenuto compagnia ma mi ha fatto scoprire quanto gli italiani, me compreso, siano imperfetti durante le vacanze.
Partiamo dal titolo, Manuale dell'imperfetto viaggiatore: da questo si evince che non è un romanzo né un racconto ma è appunto un manuale dove Beppe Severgnini racconta, nei tanti capitoli che ne fanno parte, le mille sfaccettature comiche dell’italiano in ferie. Il giornalista però non analizza solo la persona quand’è in villeggiatura ma anche il prima e il dopo, offrendo un caleidoscopio di paradossi di cui il turista medio è l’ignaro protagonista. Si parte infatti dall’incontro tra il vacanziere e l’agente di viaggio (il quale sa quali sono i punti deboli del proprio ‘pollo da spennare’) per poi passare alla preparazione della valigia e ai tragicomici comportamenti dei passeggeri sugli aerei. Ma Beppe Severgnini si spinge anche oltre: studia con sguardo critico anche coloro che affrontano il viaggio in automobile o in nave, scovando modi d’essere e di comportarsi talmente assurdi da averli sempre considerati, in quanto vissuti in prima persona, plausibili e realistici, dimostrando una volta di più come l’italiano ovunque lo metti fa sempre la sua (imbarazzante) figura.


Beppe Severgnini nel Manuale dell'imperfetto viaggiatore non lascia passar liscio neanche il turista nelle diverse capitali.

Che sia New York, Bruxelles, Parigi o Amsterdam, lui deve sempre farsi riconoscere, in un modo o nell’altro, e distinguersi per originalità ed ingenua superficialità.
Nella sua analisi spietata (ma bonaria), l’autore prosegue catalogando in modo creativo le diverse tipologie di viaggiatori e il loro approccio con i lidi lontani, mostrandoci grandi e piccole verità che imbarazzano e spiazzano chi italiano è e sa quanto le critiche non siano affatto frutto di fantasticherie o fini a se stesse (dato che in fondo ci riconosceremo sicuramente in qualcuno di quei modi di esseri che, nel bene e nel male, ci ha resi famosi nel mondo).

Ciò che mi ha stupito di più di questo Manuale dell'imperfetto viaggiatore è stata la leggerezza, il ‘politicamente corretto’, con cui descrive ogni episodio. 

Si vede che Beppe Severgnini è un professionista della scrittura e sa il fatto suo, in quanto non giudica né offende mai una certa tipologia di italiano (anche quando quest’ultimo si meriterebbe un bel ‘Sei proprio un ignorante’) ma ci scherza sopra con maestria, dosando sapientemente le parole. Questa sua capacità non toglie però nulla al libro: risulta comunque divertente, sarcastico e provocatorio quanto basta da spingerci a leggerlo tutto d’un fiato. È una scrittura brillante, fantasiosa, mai noiosa o ripetitiva.
Certo, non è un libro prettamente comico: non è che ci si scompiscia dal ridere ad ogni pagina o episodio ma resta comunque una piacevole lettura (lo dimostra il fatto che l’ho letto tutto durante un mio viaggio in treno, ed è tutto dire) ma con dei metamessaggi che spingono a riflettere sui nostri modi di essere e fare il viaggiatore.


Manuale dell'imperfetto viaggiatore

di Beppe Severgnini
BUR
Humor | Narrativa
ISBN 978-8817127424
Cartaceo 8,07€
Ebook 5,99€

Sinossi
Il viaggio è una questione secondaria. A me interessano i viaggiatori" afferma Beppe Severgnini introducendo questo libro. "Eravamo turisti. Siamo diventati viaggiatori. Imperfetti, ma viaggiatori" sostiene l'autore. Siamo curiosi, rumorosi, avventurosi, frettolosi, generosi. Leggiamo poco e compriamo troppo. Siamo complessivamente onesti e giustamente diffidenti. Siamo tolleranti. Se vi riconoscete in queste pagine, vi raccomandiamo di essere indulgenti. Con voi stessi e con l'autore, che ricorda: "Se ho saputo descrivere la commedia umana che circonda i nostri viaggi, il motivo è uno solo: tra gli attori ci sono anch'io, e di solito mi diverto come un matto.

Andrea-Pistoia

Andrea Pistoia
Nasco in una solare giornata di luglio a Vigevano. A dodici anni scoppia l’amore per la letteratura. Affronto la scuola come un condannato a morte. In compenso la mia cultura extra-scolastica cresce esponenzialmente. Dopo due anni vissuti a Londra, torno in Italia come blogger, giornalista, recensore di fumetti e sceneggiatore di un fumetto online per una nota casa editrice. Chitarrista dei ‘Panama Road’, direttore editoriale di una fanzine online.
Ancora e mai più (nelle mutande), Youcanprint.
Di donne, di amori e di altre catastrofi, Youcanprint.
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