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Recensione: La città autistica, di Alberto Vanolo

Recensione: La città autistica, di Alberto Vanolo

Recensione: La città autistica, di Alberto Vanolo

Libri Recensione di Elena Genero Santoro. La città autistica di Alberto Vanolo (Einaudi). Un saggio breve che non impone soluzioni definitive ma propone sfide ai progettisti di oggi e domani, per ripensare spazi e ambienti accoglienti e stimolanti anche per persone neurodivergenti, dando vita a città che tengano conto anche della salute mentale e non solo dei vincoli fisici.

Quando alla facoltà di Ingegneria Edile del Politecnico di Torino seguivo i corsi di architettura e urbanistica, ci veniva spiegato che, per la gestione della disabilità, bisognava rispettare dei criteri progettuali, peraltro normati rigidamente dai regolamenti italiani, al pari delle norme antincendio con cui andavano a braccetto.
E così ci trovavamo a disegnare porte mai più strette di ottanta centimetri e bagni in cui una carrozzina potesse fare un giro completo. Il bagno largo con lavandino basso e la tazza alta era un obbligo nei locali pubblici e in certi tipi di alloggi, se di nuova progettazione o nel momento in cui venivano ristrutturati. Per strada non so se qualcuno di voi ha mai notato che a volte, sui marciapiedi, ci sono delle piastrelle rigate da grosse scanalature o con dei punti in rilievo: queste servono per gli ipovedenti e i non vedenti, che possono percorrere le strade della città con l’ausilio di un bastone. E che dire delle rampe dei raccordi delle discese dei marciapiedi? Ancora una volta la normativa prevede determinate pendenze e un numero massimo di centimetri di dislivello per le carrozzine.

In realtà, già quando studiavo, trovavo che fossero soluzioni più teoriche che pratiche.

Spesso, su quei marciapiedi, era difficile persino spingere un passeggino, figuriamoci se un paraplegico poteva percorrere le stesse strade in modo indipendente.
Le leggi esistono, ma i lavori non sempre sono realizzati a regola d’arte.
Tuttavia, queste misure a favore della disabilità, sacrosante peraltro, considerano solo un tipo di disabilità: quella fisica. La persona che non può camminare, la persona che non può vedere.
Non viene tenuto conto in nessun modo quanto un ambiente possa essere penalizzante per chi ha una neurodivergenza o una disabilità intellettiva.

Alberto Vanolo è un professore di geografia economico politica con un figlio di nove anni autistico.

Teo, il bambino, è un autistico di quelli che venivano non troppo tempo fa definiti "gravi", “a basso funzionamento”, oggi di “livello due o tre". Insomma, Teo è un bambino non autosufficiente, con comportamenti “strani“.
Alberto Vanolo, scrive La città autistica, parlando di autismo non dal punto di vista delle neuroscienze, a cui concede solo un breve excursus, ma da un punto di vista paterno e soprattutto geografico, spaziale e ambientale, attingendo alla propria formazione. Vanolo tocca diversi punti raccontando l’autismo, e se da un lato non ama particolarmente le definizioni, le etichette diagnostiche, anzi, abbraccia un approccio "queer", in cui la diversità dovrebbe essere il più possibile normalizzata, dall’altro offre alcuni spunti di riflessione su come ambiente e geografia potrebbero in effetti rendere la disabilità meno gravosa.

Approccio queer: la causa dell'inclusione delle neurodivergenze è accostata, per alcuni versi, a quella LGBTQI+.

Un mero inciso, che anche la disforia di genere è stata di recente inclusa nel grande insieme delle neurodivergenze, ne parlo nel mio precedente articolo.
L’autismo, dunque, non è qualcosa da curare, da guarire, da contenere, ma è un modo di essere che in certi ambienti può costituire un limite, mentre in altri ambienti assolutamente no.


Alberto Vanolo parte a raccontare delle "esplorazioni psico geografiche" o "passeggiate situazioniste" che compie con suo figlio Teo.

Vivendo in una città di una certa dimensione, gli stimoli per un autistico sono tanti, talvolta eccessivi, e possono costituire sia qualcosa di costruttivo, sia un vero disturbo. Vivere in una grande città per una persona autistica presenta pro e contro, ma l’isolamento della pacifica campagna non costituisce sempre la soluzione migliore. Vanolo ipotizza una città non voglio dire utopica, ma ristrutturata a beneficio delle persone autistiche. Magari progettata da persone neurodivergenti, che comprendano le necessità da un punto di vista interno, come sul Maremagnum di Barcellona architetti in carrozzina avevano progettato, negli anni Novanta, tutti i ponti in legno di raccordo in modo che le carrozzine potessero scorrere senza intoppi.

Le persone neurodivergenti sono molto sensibili ai sovraccarichi sensoriali.

Non tutte sensibili in equal modo agli stessi stimoli, ma mediamente infastidite. Troppe sollecitazioni uditive, olfattive, emotive possono portarli a un’overdose, che li conduce dritti a una fase di meltdown, una crisi in cui tutte queste emozioni e sensazioni causano una reazione fisica e psicologica scomposta. Quindi, sarebbe bello se nelle città fossero previste delle aree di "decompressione sensoriale" per le persone più sensibili, autistiche o meno. È uno è uno spunto che ha portato la mia mente di – un tempo aspirante urbanista – a sognare dei padiglioni delle costruzioni insonorizzate, a cui poter accedere per tirare il fiato. Non è detto che non gioverebbero persino ai neurotipici. E così, ciò che studiavo un quarto di secolo fa alla facoltà di Ingegneria Edile, troverebbe la sua estensione proprio con una città che tenga conto anche della salute mentale e non solo dei vincoli fisici. Sarebbe una meravigliosa evoluzione dell’attenzione verso la difficoltà che in fase progettuale si è iniziata a sentire qualche decennio addietro per chi stava in carrozzina.

Alberto Vanolo spiega che esistono anche dei locali pubblici in cui in certe fasce orarie vengono appositamente ridotti tutti gli stimoli sensoriali, rumori e luci, affinché, anche chi è più sensibile possa sentirsi a proprio agio.

La libertà di essere se stessi, quindi.
Come celiaca madre di due celiaci, sono pratica di locali inclusivi quando si parla di glutine. Luoghi in cui anche chi è diverso (nel nostro caso in senso alimentare) possa godersi un pasto, della compagnia, un’atmosfera piacevole, alla stessa stregua degli altri. Quindi capisco il bisogno di avere isole felici e ben vengano, anche se, da celiaca madre di celiaci, l’auspicio sarebbe una cultura inclusiva generalmente più diffusa. In un luogo in cui si tende al comfort per tutti quanti, i risvolti negativi di disabilità, diversità, modi di essere queer, vengono tutti attenuati.

A volte vedo la faccenda con pessimismo.

Viviamo in una società in cui i bambini, anche quelli “normali“, vengono percepiti con molto fastidio. Mi è capitato numerosissime volte di leggere interi dibattiti sui social con contro i bambini al supermercato, contro i bambini che piangono sugli aerei, contro i bambini al ristorante. E se da un canto esistono i locali child-free, proprio per quegli adulti che per una sera non vogliono essere disturbati dal pianto di un moccioso capriccioso, ci sono situazioni, come i voli intercontinentali, o come la spesa del sabato pomeriggio, in cui un bambino che frigna non si può semplicemente cancellare dalla faccia della Terra. C’è un’intolleranza diffusa verso l’infanzia, una condanna verso i genitori che non educano. E se da un canto è vero che vedere un bambino in età scolare, scorrazzare per il ristorante, scontrandosi coi camerieri, non depone a favore delle capacità educative moderne, è anche vero che il pianto di un bambino molto piccolo non si può stoppare a comando, e che un bambino anche in età più grande, può avere degli atteggiamenti molesti se è autistico. Peraltro, per onestà intellettuale, va detto che molti degli adulti "intolleranti" verso un infante che urla potrebbero a loro volta essere neurodivergenti e infastiditi da pianti e urla.

Alberto Vanolo si pone il problema, soprattutto quando il figlio Teo mostra una propensione per l’approccio fisico e desidererebbe toccare tutte le donne che vede.

Su questo punto Vanolo spiega che ha dovuto contenere suo figlio, perché se lui è autistico ciò non significa che ogni ragazza sia disponibile a essere molestata da lui. Ma per tutte le altre circostanze, stranezze, modi di parlare esprimersi, stimming (movimenti ripetuti che fungono da sfogo per un autistico), crisi, Manolo non intende mettere un freno a suo figlio. Intanto non sarebbe giusto, e poi sarebbe persino controproducente. Certo, se a fronte di un comportamento socialmente disturbante, quando il genitore si giustifica (“chiedo scusa, mio figlio è autistico“), il disgustato spettatore non potrà più prendersela con la mancanza di educazione e scuoterà le spalle con un’espressione compassionevole. Ma è proprio questo il punto.

La vera inclusione si avrà quando le "stranezze" di un autistico saranno normalizzate, saranno accettate come un diverso e rispettabile modo di esistere e di sentire.

Non è questione di voler romanticizzare la neurodivergenza, è la necessità di doverci interfacciare civilmente tutti noi su questo pianeta.
Alberto Vanolo, nel suo breve saggio La città autistica, lancia alcuni ami. Propone alcune sfide. Non impone soluzioni definitive. Starà ai progettisti di oggi e di domani ripensare a spazi e ambienti accoglienti e confortevoli e stimolanti anche per chi non ha le parole giuste né le capacità pratiche per chiederlo.


La città autistica

di Alberto Vanolo
Einaudi
Saggio breve
EAN 9788806261108
Cartaceo 12,35€
Usato 7,15€
Ebook 4,99€

Quarta

Alberto Vanolo offre una serie di proposte provocatorie per la città autistica, una sorta di manifesto con principî generali per immaginare realtà urbane più semplici e sostenibili, non solo per chi vive una condizione di neurodivergenza.
Che cos'è una città «autistica»? È uno spazio per immaginare e sperimentare modi diversi di intendere le diversità, incluse quelle neurologiche, anche al di là del linguaggio delle categorie, delle diagnosi e delle disabilità. Il mondo ha bisogno di città del genere: «autistico» non va inteso in senso peggiorativo e la condizione di neurodiversità può offrire molto per progettare città più vivibili e aperte. Costruire realtà urbane migliori significa anche sovvertire le categorie morali e i linguaggi comunemente associati all'autismo.



Elena Genero Santoro
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Il passato alle spalle, un noir di Stefano Caselli

Il passato alle spalle, un noir di Stefano Caselli

Il passato alle spalle, un noir di Stefano Caselli

Libri Comunicato stampa. Il passato alle spalle (PubMe – Collana Gli Scrittori della Porta Accanto), un noir psicologico di Stefano Caselli. Marco Fossati torna in un romanzo intenso, tra misteri irrisolti, segreti familiari e ombre del passato. Sempre in equilibrio precario tra giustizia e vendetta.

Marco Fossati contempla confuso una fila di agendine nere e raccoglitori ordinati per data. Erano celati dietro i volumi di una vecchia enciclopedia, di quelle che si usavano negli anni Settanta, destinate a fare arredo più che a essere consultate.
«Luigi una sera è venuto qui, era agitato. Mi ha detto che voleva lasciare alcuni documenti, che nessuno doveva leggerli tranne lei.»
Anita, la sorella minore di Luigi Fusco, ha lo stesso taglio degli occhi. Impossibile non rivedere in lei i tratti del suo ex collega.
L’ispettore si volta verso l’esile figura al suo fianco che gli tende un foglietto sgualcito.
Passano diversi secondi, un tempo che alla donna deve sembrare troppo lungo. Quando Fossati si decide a prenderlo, lei china la testa, quasi a volersi scusare.

Sono sicuro che saprai cosa farne.
Ma non esagerare, ragazzo.
Luigi


Riconosce l’appellativo con il quale il suo mentore era solito rivolgersi a lui durante i primi tempi della loro collaborazione. Gli pare di udire la voce graffiante di Luigi Fusco echeggiare nella stanza. Se lo immagina nascosto da qualche parte a osservarlo con il suo sorriso sbilenco e lo sguardo malizioso.
«Li porti via da qui, ispettore. Sono i suoi, adesso. Io non li voglio più vedere. Può usare quelle borse.» Indica un paio di sacche sportive appoggiate sul letto. «Quando glieli ha consegnati?» domanda, lo sguardo vacuo.
«Un paio di giorni prima che lo aggredissero.»
«Non le ha detto altro?»
Anita alza gli occhi e li punta su Fossati: «No, solo di farli avere a lei se gli fosse capitato qualcosa, ma non subito, di lasciare passare qualche mese».
Fossati annuisce in modo impercettibile, attende invano che Anita aggiunga qualcosa, ma lei appoggia una mano sul suo avambraccio e si allontana. L’ispettore afferra un taccuino, simile a quelli che usa anche lui, medesimo formato. Quello che regge in mano ha la copertina rovinata agli angoli. Si abbandona su una poltrona, lo apre liberando la calligrafia obliqua del suo mentore. Appunti di indagini, riflessioni su vecchi casi. Ma anche dettagli su personaggi più o meno noti della città e provincia: nomi, date, nature degli incontri, informazioni che Luigi ha tenuto per sé. E poi una sorta di guida per orientarsi tra tutti quei faldoni.
Pochi minuti e richiude l’agendina con un gesto lento, come se avesse paura di rovinare il contenuto. È intimorito dalla potenza del materiale che ha fra le mani. Non osa immaginare cos’altro possa esserci nascosto nel resto delle agende e dei raccoglitori. Stefano Caselli, Il passato alle spalle


Il passato alle spalle

di Stefano Caselli
PubMe – Collana Gli Scrittori della Porta Accanto
Noir | Thriller
Copertina flessibile | 238 pag
ISBN 979-1257260101
ebook 2,99€ – IN USCITA

Quarta

Il passato ha sempre un prezzo, ma quasi mai lo pagano i colpevoli.
L’ispettore Marco Fossati non è più lo stesso. Ogni nuova indagine riapre ferite che non si rimarginano. Ma quando un giovane viene colpito alle spalle in un parcheggio deserto, qualcosa lo trascina in un gioco più grande di lui.
Una pallottola. Una sacca piena di vecchi taccuini. Una verità da cui è impossibile fuggire.
Mentre la pioggia batte incessante sulle strade di una città del Nord che ha smarrito la sua innocenza, Fossati si muove tra stanze d’ospedale, famiglie borghesi in frantumi, vecchie complicità e giovani vittime. Una rete sottile collega ogni cosa: gli errori di ieri, le apparenze di oggi, le ombre che si allungano sulla vita privata e professionale.
Un noir psicologico di rara intensità, dove intuizioni, silenzi e false piste si intrecciano. Una trama in cui nulla è come sembra e ogni indizio racconta qualcosa in più – su chi siamo, su cosa temiamo, su quanto siamo disposti a perdere per la verità.

Dopo Cuori nella nebbia e Fino a bruciarsi l’anima, tra fantasmi presenti e passati, Marco Fossati dovrà prendere ancora una volta una decisione che rischia di portarlo a superare il confine tra giustizia e vendetta.

«Sulla scia dei grandi maestri del thriller come Connelly, Rankin e Nesbø, Caselli dipinge un investigatore tormentato e tenace, che sembra un tutt’uno con la nebbia in cui si trova a indagare. I lettori di noir avranno un nuovo personaggio a cui affezionarsi.» Piergiorgio Pulixi



ESTRATTI E RECENSIONI




Stefano Caselli

Stefano Caselli è nato ad Alessandria e vive ad Arona. Ama leggere e passeggiare sulle rive del suo lago.
Chimico industriale con la passione per i romanzi noir e polizieschi ha frequentato alcuni corsi di scrittura ed è allievo dello scrittore Piergiorgio Pulixi. Il suo primo racconto noir è stato inserito nell'antologia Intrecci di trama nata proprio da uno di questi corsi (Corso Tecniche di narrazione applicate al romanzo e al racconto breve con Piergiorgio Pulixi).
Nel 2022 ha esordito con Cuori nella nebbia (Cento Autori Ed.), un noir con sfumature di thriller, in cui dà vita all’ispettore capo della polizia Marco Fossati. Nel 2024 ha pubblicato Fino a bruciarsi l’anima.
Piergiorgio Pulixi ha scritto di lui e del suo personaggio: “Quello di Stefano Caselli è un esordio importante, che rimarrà. Sulla scia dei grandi maestri del thriller come Connelly, Rankin e Nesbø, Caselli dipinge un investigatore tormentato e tenace, che sembra un tutt’uno con la nebbia in cui si trova a indagare. I lettori di noir avranno un nuovo personaggio a cui affezionarsi”.


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100 anni di Paul Newman: 6 film cult da (ri)vedere in streaming

100 anni di Paul Newman: 6 film cult da (ri)vedere in streaming

100 anni di Paul Newman: 6 film cult da (ri)vedere in streaming

Cinema Di Stefania Bergo. Un secolo dalla nascita di un'icona del cinema americano, Paul Newman, l'attore, regista e filantropo dagli occhi di ghiaccio diventati leggenda, che ha saputo unire carisma naturale e intensità interpretativa, creando personaggi indimenticabili: sei film cult che l'hanno consacrato a Hollywood da (ri)vedere in streaming.

Il 26 gennaio 2025 è stato il centenario dalla nascita di Paul Newman, attore, regista e filantropo tra i più amati e rispettati nella storia del cinema. Con i suoi occhi azzurro ghiaccio – freddi solo nel colore – diventati leggenda, Newman ha saputo unire carisma naturale e intensità interpretativa, creando personaggi complessi e indimenticabili.
A renderlo una figura unica non è stata solo la sua carriera artistica, ma anche l’impegno civile, la passione per le corse automobilistiche e le straordinarie iniziative benefiche legate alla sua azienda alimentare Newman’s Own, fondata da insieme a A.E. Hotchner nel 1982, i cui profitti vengono interamente destinati alla Newman's Own Foundation, che a sua volta utilizza i fondi per sostenere diverse iniziative benefiche, con un'attenzione particolare ai bambini – tra cui diverse organizzazioni in Italia, come Dynamo Camp.

A cent'anni dalla nascita, restano i suoi personaggi più iconici, i film cult che l'hanno consacrato a Hollywood.

Film che attraversano diversi generi e fasi della sua carriera, mostrando la versatilità e la profondità del suo talento – a dispetto dell'Academy che fu alquanto parca di riconoscimenti nei suoi confronti – il carisma che incolla allo schermo, così come il suo sguardo profondo, ribelle, sempre velato di malinconia. Resta il simbolo di una mascolinità che non seguiva le mode dell'industria cinematografica del suo tempo, di una bellezza raffinata che non aveva bisogno di sovrastrutture.
Molti sono i film – 56, realizzati tra il 1954 (Il calice d'argento, di Victor Saville) e il 2002 (Era mio padre, di Sam Mendes) – e i personaggi indimenticabili. Ne ho scelti sei, quelli che secondo me sono imprescindibili per ripercorrere la sua carriera, per chi lo vuole ricordare e per chi ancora non lo conosce.
Voi quale aggiungereste a questa lista?


La gatta sul tetto che scotta

La gatta sul tetto che scotta

Drammatico – USA 1958
Regia di Richard Brooks
Con Elizabeth Taylor, Paul Newman, Burl Ives, Jack Carson, Judith Anderson, Madeleine Sherwood, Larry Gates, Vaughn Taylor
Disponibile per l'acquisto o il noleggio su Tim Vision
Tratto dall’omonima pièce di Tennessee Williams, che nel 1955 vinse il premio Pulitzer, questo dramma familiare, ambientato in una calda notte nel Mississippi degli anni '50, è uno dei primi grandi successi di Newman.
Il film segue la crisi personale e familiare di Brick Pollitt, che si ritrova confinato nella villa dei genitori con la moglie Maggie, soprannominata "la gatta", per celebrare il 65º compleanno del padre, Harvey "Big Daddy", malato terminale di cancro.

Senza dubbio, uno dei suoi film più famosi, un'interpretazione che gli è valsa la sua prima candidatura all'Oscar. Il suo ruolo di Brick Pollitt, ex campione sportivo tormentato e anaffettivo, lo consacra come uno degli attori più promettenti della nuova generazione hollywoodiana. Un personaggio intenso, in lotta coi suoi demoni, incoscientemente alla ricerca di una mano tesa per tenerlo a galla oltre il collo della bottiglia cui si attacca spesso e volentieri per evadere dalla realtà. Uno scontro col padre, cui più che rimproverare qualcosa teme di assomigliare, un muro costruito con la moglie, una splendida e appassionata Liz Taylor che malgrado il tetto rovente, perfetta allegoria di un matrimonio in crisi, resta arpionata a un amore cui non vuole rinunciare – la tensione emotiva tra Newman e Taylor è palpabile e indimenticabile.


Detective's Story

Detective's Story

Drammatico – USA 1966
Regia di Jack Smight
Con Paul Newman, Lauren Bacall, Julie Harris, Arthur Hill, Janet Leigh, Pamela Tiffin, Robert Wagner, Robert Webber, Shelley Winters
Disponibile per l'acquisto o il noleggio su Chili
Tratto dal romanzo Bersaglio mobile (1949) di Ross Macdonald, uno dei più importanti autori del genere letterario hard boiled.
Elaine Sampson, ricca signora della buona società, incarica il detective Harper di ritrovare il marito scomparso, del quale sospetta il rapimento. Compare anche una richiesta di riscatto, però Harper capisce che è solo una messa in scena. Dopo molte e infruttuose ricerche che lo vedono coinvolto in strani incidenti, sempre salvato dall'avvocato di famiglia, scopre il cadavere di Sampson e smaschera il colpevole.

In questo noir moderno, Newman interpreta il detective privato Lew Harper, cinico, brillante e affascinante. Il personaggio, che richiama l’archetipo dell’investigatore hard-boiled alla Raymond Chandler, diventa uno dei suoi ruoli più amati negli anni ’60. Il successo fu tale da portare a un seguito nel 1975, Detective privato .


Nick mano fredda

Nick mano fredda

Drammatico – USA 1967
Regia di Stuart Rosenberg
Con Paul Newman, George Kennedy, J. D. Cannon, Lou Antonio, Robert Drivas, Strother Martin, Jo Van Fleet
Disponibile per l'acquisto o il noleggio su Prime Video
Condannato a due anni di reclusione, e annessi lavori forzati, per aver distrutto da ubriaco una serie di parchimetri, il brillante Nick diviene un simbolo di ribellione e di antiautoritarismo, amato dai compagni e odiato dai guardiani. Sconfitto dalla vita – la donna che amava l'ha lasciato per un uomo ricco –, devastato dai lutti familiari – durante la prigionia la madre muore di cancro – e con niente da perdere, Nick tenta più volte la fuga.
Il secondo tentativo, in particolare, sembra andare a buon fine, tanto che Nick manda una sua foto, in compagnia di due avvenenti ragazze, agli ex amici detenuti – in realtà, solo un fotomontaggio per rallegrare i compagni. Nuovamente catturato, tenta la fuga una terza volta: questa volta, però, il tentativo si rivela fatale. Rimarrà comunque vivo nel ricordo ammirato dei compagni di pena.

Forse la performance più emblematica di Newman, che gli valse una candidatura all’Oscar. Luke Jackson, detenuto ribelle in un carcere del Sud degli Stati Uniti, è un simbolo di resistenza individuale contro l’autorità oppressiva. Il film è diventato un cult e Luke una figura iconica della cultura americana.


La stangata

La stangata

Drammatico – USA 1973
Regia di George Roy Hill
Con Paul Newman, Robert Redford, Robert Shaw, Charles Durning, Ray Walston, Eileen Brennan, Harold Gould
Disponibile per l'acquisto o il noleggio su YouTube
Nel 1936, a Joliet (Illinois), il giovane truffatore Johnny Hooker assiste all’omicidio del suo amico e mentore Luther, ucciso per aver truffato il corriere del potente boss mafioso Doyle Lonnegan. In cerca di vendetta, Hooker si reca a Chicago e si allea con il leggendario imbroglione Henry Gondorff per organizzare una truffa colossale ai danni del boss.
I due mettono in piedi una finta bisca di scommesse su corse di cavalli, coinvolgendo un’intera squadra di complici. Dopo aver guadagnato la fiducia di Lonnegan con una partita di poker truccata, lo convincono a puntare 500.000 dollari sulla base di “soffiate” truccate sui risultati delle corse. Il colpo si conclude con un finto scontro a fuoco davanti agli occhi del boss, che fugge.

Dopo il successo di Butch Cassidy, la coppia Newman-Redford torna in questo capolavoro del cinema truffaldino ambientato negli anni '30. Newman è Henry Gondorff, un maestro della truffa che orchestra un inganno spettacolare. Il film, impeccabile per ritmo, ironia e costruzione narrativa, vinse 7 Oscar, tra cui miglior film, ed è considerato uno dei più raffinati esempi del genere.


Il verdetto

Il verdetto

Drammatico – USA 1982
Regia di Sidney Lumet
Con Paul Newman, Charlotte Rampling, Jack Warden, James Mason, Milo O'Shea
Disponibile per l'acquisto o il noleggio su YouTube
Dramma giudiziario tratto dall'omonimo romanzo di Barry Reed, ottenne cinque candidature agli Oscar.
Frank Galvin, ex avvocato di successo ora alcolizzato, si ritrova tra le mani una causa complessa e assai importante in cui viene citato un famoso ospedale. Logica vorrebbe che Frank accettasse i 210.000 dollari di risarcimento che l'ospedale offre per patteggiare e non procedere in giudizio, ma la drammatica visione dello stato in cui versa la propria cliente, in coma a causa della gravissima negligenza dei medici, e il suo rinnovato spirito di rinascita umana e professionale, lo spingono ad affrontare la causa, anche contro la volontà dei familiari della stessa assistita. Dovrà resistere contro i colpi del celeberrimo avvocato dell'istituto sanitario, che lo priverà del principale consulente alla difesa e che corromperà una affascinante donna per spiarne le mosse.

In questa intensa pellicola giudiziaria, Newman interpreta Frank Galvin, un avvocato caduto in disgrazia che tenta il riscatto attraverso un caso impossibile. È una delle sue performance più mature e struggenti, che gli valse una delle sue nove candidature all’Oscar come attore protagonista – non vinse, ma in compenso gli fu consegnato il David di Donatello come miglior attore straniero.

Il colore dei soldi

Il colore dei soldi

Drammatico – USA 1986
Regia di Martin Scorsese
Con Paul Newman, Tom Cruise
Disponibile per l'acquisto o il noleggio su YouTube
«Qui non si tratta di biliardo, non si tratta di sesso, né si tratta di amore, ma solo di soldi: insomma, il più bravo è solo quello che ha più soldi.»

Edward Felson, detto Eddy lo svelto, è ormai un ricco procacciatore di alcolici. Sono passati 20 anni dal suo burrascoso e tragico passato e non ha più interesse al tavolo da biliardo, si dedica alla vendita di whisky e alla sua relazione con Janelle.
Casualmente assiste a una partita del talentuoso Vincent Lauria contro Julian, il miglior giocatore della zona, e si riaccende in Eddie una fiamma mai spenta. Rivede nell'acerbo ragazzo se stesso da giovane: enorme potenzialità e stessa spocchia di essere in assoluto il più furbo, con le sue stesse sotterranee lacune psicologiche.
Eddie riesce a convincere il giovane e la sua ragazza Carmen a seguirlo in un giro del paese alla ricerca di polli da spennare. Così, anni dopo la sofferta separazione dal biliardo, i tre riprendono il giro di saloni nelle vicinanze.
Molte cose sono però cambiate nel tempo, anche il gioco, e molti dei trucchi di Eddie sono oramai conosciuti dalla maggior parte di quelli che intende truffare. In questo agrodolce tour attraverso alcuni stati americani, Eddie capisce ancora una volta e a proprie spese di non potersi mai fidare di nessuno.

Se Lo spaccone (1961) mostrava il giovane Eddie Felson alle prese con il biliardo e l’ambizione, Il colore dei soldi ci restituisce un Newman più disilluso ma ancora magnetico, nel ruolo dello stesso personaggio in età matura. Questa volta l’Oscar arriva davvero, come miglior attore protagonista, a coronare una carriera già leggendaria.




Stefania Bergo
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