Gli scrittori della porta accanto
Le interviste di Stefania Bergo
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Manolo Bertuccioli presenta: Carlos Castaneda e i navigatori dell'infinito

Manolo Bertuccioli presenta: Carlos Castaneda e i navigatori dell'infinito

Manolo Bertuccioli presenta: Carlos Castaneda e i navigatori dell'infinito

Presentazione Libri Intervista a cura di Stefania Bergo. Manolo Bertuccioli presenta il suo saggio Carlos Castaneda e i navigatori dell'infinito (Editoriale Jouvence): «Un libro che ripercorrere la vita e le opere di un autore straordinario. Un affresco presentato anche attraverso un serrato confronto con altre tradizioni culturali».

Manolo Bertuccioli è dottore in filosofia, ha successivamente sviluppato i propri interessi in campo antropologico e in psicologia transpersonale. È autore di saggi sui fenomeni della trance e e della possessione nelle realtà sud-americane.


Carlos Castaneda
e i navigatori dell'infinito

di Manolo Bertuccioli
Editoriale Jouvence
Saggio filosofico, psicologico e antropologico
ISBN 9788878018150
Brossura | 360 pagine
cartaceo 16,00€
ebook 13,99€

Quarta

«In Castaneda il vero viaggio inizia dalla morte simbolica e finisce, in un certo senso, con la totalità.
Castaneda che ha fatto del suo discepolato con don Juan un’opera letteraria stimata in tutto il mondo, una strabiliante strada del cuore.»

L’incontro con lo stregonesco e lo sciamanesimo, l’esperienza delle droghe e degli stati alterati di coscienza, lo studio del mondo dei sogni.
Questi sono i temi che hanno affascinato Carlos Castaneda e che ritroviamo in questo libro, volto a ripercorrere la vita e le opere di un autore straordinario.
Un affresco che viene presentato al lettore anche attraverso un serrato confronto con altre tradizioni culturali: la psicologia analitica, lo yoga tibetano, il pensiero metafisico occidentale.


L'autore racconta



Benvenuto sul blog degli Scrittori della Porta Accanto. Per i nostri lettori, chi è Manolo Bertuccioli? Oltre a Carlos Castaneda e i navigatori dell'infinito hai scritto altri libri?

Sono interessato ai processi di realizzazione e sono stato colpito, in particolare, da quello di Carlos Castaneda. Mi sono laureato con una tesi ‘sintetica’ che venne poi pubblicata per la prestigiosa collana “transpersonale” della casa editrice Crisalide. Il saggio uscito per la casa Editoriale Jouvence è un approfondimento del mio primo lavoro lungo vari punti di vista.



Cos’è che ti ha attirato di più della letteratura di Castaneda da indurti a scrivere il tuo saggio Carlos Castaneda e i navigatori dell'infinito?

Un po' quello che ha attirato tutti: la possibilità di vivere in un realismo magico dove, diventati abili psiconauti con grande conoscenza e disciplina, si riesce ad ottenere ciò che si vuole. Come i fenomeni straordinari che Castaneda osservò venendo a contatto con Don Juan e gli altri maestri a lui simili.

Tanti si soffermano sull’aspetto sciamanico e magico dei libri di Castaneda, ma c’è anche una componente psicologica che tu definisci “transpersonale”. Ce ne vuoi parlare?

Oggi si potrebbe rinquadrare il lavoro di Castaneda attraverso la psicologia transpersonale abbandonando la lente obsoleta dello sciamanesimo. Infatti, nelle sue opere sono presenti numerosi e importantissimi tratti transpersonali che lo rendono unico nel suo genere. Uno dei più importanti è l'argomento del “corpo energetico” cioè di quel corpo che, svincolato da fattori personali ed esperienziali, dona all'individuo un'integrità immacolata simile a quella che troviamo al momento della nascita. Altri argomenti fondamentali sono “la cancellazione della storia personale”, “l’oltrepassare i confini dell'affetto” e la “ricapitolazione”.

Tra i libri di Castaneda il più famoso è senza dubbio L’arte di sognare, che tratta del sogno lucido. Perché è così importante per Castaneda e il suo Maestro imparare a controllare i propri sogni? All’atto pratico, quali possono essere gli insegnamenti da portare nel nostro quotidiano?

Per valorizzare ulteriormente le opere di Castaneda, basti dire che in L’Arte di Sognare viene promossa una tecnica che si svincola dal consueto metodo interpretativo dei sogni: quella del sogno lucido.
Il sogno lucido permette di essere lucidi in un ambito nel quale normalmente non lo si può essere. Implica la possibilità di fare ciò che si vuole in ambito onirico: modificare ed esplorare la situazione del sogno a proprio piacimento. Si ha l'opportunità di agire nell'ambito di dominio dell'inconscio tramite le modalità operative che caratterizzano la veglia.
A livello psicodinamico, cioè in relazione alla struttura psichica del soggetto e alle sue parti, indica uno stato evoluto che permette di andare davvero avanti nei confronti di noi stessi e del mondo che ci circonda. Manolo Bertuccioli, Carlos Castaneda e in Navigatori dell'infinito
Si possono acquisire diverse abilità, migliorare la propria creatività e aumentare il proprio benessere imparando cose su di sé che altrimenti non si saprebbero. I sogni lucidi sono un grande strumento conoscitivo nelle mani della persona che vuole integrare le parti di se stesso.

Qual è la tua opinione su Castaneda, Don Juan e lo sciamanesimo?

Per tratteggiare in modo più chiaro il lavoro di Carlos Castaneda, si potrebbe parlare di questo nuovo neologismo che sta andando in voga negli ultimi anni: "sciamanesimo tolteco". Castaneda sarebbe il padre di un peculiare sciamanesimo cioè quello tolteco.
Per essere culturalmente precisi tutto questo è abbastanza errato. Come si può vedere nel quarto capitolo, in Castaneda, ci sono solo alcune tracce di sciamanesimo, quindi non sono propriamente delle opere di quel tipo; inoltre, come si può vedere nell’ottavo capitolo, non possiamo parlare con molta precisione del mondo tolteco proprio perché ne sappiamo poco: qui si inserirebbe la fortuna e il successo dell'autore in questione. Manolo Bertuccioli, Carlos Castaneda e in Navigatori dell'infinito

Tutti i libri di Castaneda trattano di “stati alterati di coscienza”, ci spieghi qual è il loro ruolo nella sua vita e cosa possiamo apprendere da tali esperienze?

Gli stati alterati di coscienza, come descritto nel settimo capitolo, sono di centrale importanza per il miglioramento di sé e per il raggiungimento della totalità. Permettono l'accesso a zone di noi stessi altrimenti precluse dal nostro io ordinario; grazie a loro ci apriamo a nuove possibilità che arricchiscono la nostra vita. Carlos Castaneda è stato uno dei primi a rimarcare l'importanza degli stati alterati di coscienza per la crescita personale… e l'ha fatto in modo davvero dettagliato ed approfondito. Manolo Bertuccioli, Carlos Castaneda e in Navigatori dell'infinito

Oltre ai libri di Castaneda, quali sono state le tue fonti per la scrittura del tuo saggio?

Tutti i tipi di documenti disponibili: libri di critica, libri di riferimento, biografie, riviste, articoli, interviste, VHS, documentari e altro. Senza dubbio il confronto maggiore e più proficuo è avvenuto con i testi di critica.

Prima di concludere questa intervista, c’è qualcosa che non ti ho chiesto e che invece avresti voluto dire ai nostri lettori?

Per concludere in maniera piacevole questa intervista si potrebbero segnalare due curiosità.
La prima riguarda Don Juan, il tanto stimato maestro di Castaneda. Secondo Paul Watzlawick e Jay Haley, due fra i più noti esponenti della scuola americana di Palo Alto, dietro di lui si celerebbe il famoso ipnoterapista Milton Erickson. Per varie similitudini nelle tecniche utilizzate (tecniche di comunicazione indiretta, metafore, suggestioni per indurre cambiamenti nella percezione e nella consapevolezza) solo Erickson poteva fingersi un maestro di tal portata.
La seconda curiosità riguarda l’esistenza di un sito di proprietà di Cleargreen Incorporated (https://www.castaneda.com/) che promette il raggiungimento di una formazione qualificata seguendo le “Esperienze di Tensegrità” tenute dagli ultimi seguaci di Castaneda. Al prezzo di circa 3000 dollari si può raggiungere il 5° e ultimo livello, chiamato “Sogno Sciamanico Avanzato”: si riceve anche un certificato di riconoscimento.

Hai altri libri in cantiere? Che progetti hai per il prossimo futuro?

Da un lato vorrei ancora continuare a trattare alcuni temi specifici del lavoro di Castaneda ma dall'altro sono in procinto di pubblicare qualcosa che non è più incentrato su di lui ma su territori che frequentava spesso: gli stati alterati di coscienza, la psiconautica, la totalità, la libertà, ecc…

Interessante davvero, attendiamo la tua prossima pubblicazione e speriamo di averti ancora nostro ospite.




Stefania Bergo

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Alberto Kofi presenta: La danza di Medea

Alberto Kofi presenta: La danza di Medea

Alberto Kofi presenta: La danza di Medea

Presentazione Libri Intervista a cura di Stefania Bergo. Alberto Kofi presenta la sua nuova raccolta di liriche La danza di Medea (Amazon Edizioni): «La Poesia non è una scelta è un fatto istintuale. È la forma a me più congeniale di trasmettere emozioni profonde».

Alberto Kofi nome d'arte di Alberto La Prova classe 1987. Nato a Milano a pochi anni segue la famiglia in provincia di Frosinone e a venti anni inizia a trasferirsi: Roma, Bologna, Modena, Reggio Emilia, Londra e ora Liverpool. Impegnato da sempre nel sociale tra immigrazione e disagio estremo. Attualmente lavora come addetto al pronto soccorso nella capitale britannica. Questa è la sua seconda raccolta dopo La follia di Aiace (2021, Europa Edizioni).


La danza di Medea

di Luca Favaro
Amazon Edizioni
Poesia
ISBN 9798321235638
cartaceo 6,70€
ebook 3,50€

Quarta

«La Danza di Medea è una selezione di liriche fra più raccolte "segretissime" dell'autore, scritte a mano e conservate in sei diversi diari. La poesia non è un esercizio di stile ed il poeta qui lo chiarisce bene; la raccolta che leggiamo è figlia di un travaglio di vita, di una ricerca del sé, di un peregrinare senza sosta per comprendere fino a dove ci si possa spingere al punto da sentirsi tanto a disagio da voler tornare indietro. Ma casa è ormai lontana, non si può far altro che proseguire.»
A cura di Elisabetta Sabellico


L'autore racconta



Alberto Kofi, bentornato sul blog Gli scrittori della porta accanto. Sei stato nostro ospite in occasione della tua prima silloge poetica, La follia di Aiace. In una tua precedente intervista hai detto che per te scrivere è «un’esigenza personale e dolorosa fine a se stessa». È ancora così? Perché proprio la poesia? Cosa ti dà o ti permette in più rispetto alla narrativa?

Con piacere ritorno ospite. Per tutta la mia esistenza “letteraria” fin quando questa esisterà; il bisogno di dire, di comunicare in un mondo che ha smesso di farlo, nonostante le tante apparecchiature, scrivere sarà sempre doloroso proprio perché nasce da una mancanza personale e sociale. La Poesia non è una scelta è un fatto istintuale. Ho iniziato a scrivere per caso a 13 anni e da allora non ho mai smesso; è diventata la forma a me più congeniale di trasmettere emozioni profonde.



La tua nuova silloge è La danza di Medea. Ancora una volta ti rifai ai miti greci. Cosa ti affascina di quel mondo antico?

Durante la mia infanzia e adolescenza fino alla primissima età adulta ho avuto periodi di isolamento sociale e pochissimi contatti interpersonali. Ho dedicato il tempo leggendo i classici greci e romani, appassionandomi e riflettendo su quanto hanno lasciato al mondo contemporaneo in tutti i campi.

Nella tua biografia si legge: «Impegnato da sempre nel sociale tra immigrazione e disagio estremo». Quanto il contatto con queste realtà ha influito sulla tua sensibilità letteraria?

Ha influito molto ma penso siano parallele e collegate ad una identità definita.

La danza di Medea è una raccolta di liriche. Quanto tempo hai impiegato a scriverle?

La raccolta è una scelta di poesie fra sei diversi diari in un lasso di tempo dal 2002 al 2023.

Cos’è la “danza” di Medea cui ti riferisci? Perché hai scelto questo titolo, cosa rappresenta per te?

La “Danza” si riferisce al moto degli alberi con il vento; il vento è l’imprevedibile, le occasioni, gli incontri, gli alberi siamo noi, ovvero Medea. L’esistenza è una danza, perché non si può camminare dritti nella vita. Sono da sempre interessato ai personaggi “folli”, “atipici” ma così profondamente fragili e umani.

Che tematiche affronti con la tua silloge, ci anticipi qualcosa?

Fragilità, vulnerabilità, senso di impotenza, mistero esistenziale.

A che pubblico sono destinati i tuoi componimenti? Li hai dedicati a qualcuno in particolare?

A tutti coloro che amano il genere. Sono dedicati alle parti più vulnerabili ed isolate della nostra società.

Se esistesse una canzone da abbinare alla tua raccolta, quale sarebbe? La bevanda ideale per accompagnare la lettura di La danza di Medea?

Ho visto Nina Volare di Fabrizio De André, Bevanda ideale? Vino rosso senza dubbio.

Hai mai partecipato o hai intenzione di partecipare a qualche concorso di poesia con le liriche di questa tua ultima raccolta?

L’opera è attualmente in gara al Concorso Premio Internazionale Seneca di Bari.

Tra i progetti per il futuro, nell’intervista precedente hai accennato a Il diario di Abdul. È rimasto un progetto o è stato pubblicato? Di che si tratta? Quali progetti per il futuro hai, oggi?

“Il diario Di Abdul” è ancora in corso di selezione, non so al momento come e se verrà pubblicato. In uscita fra un paio di anni ci sarà una nuova raccolta di poesia dal titolo “Dal Sepolcro di Ofelia” avrà come tema principale l’amore e ancora una volta la follia..

Alberto Kofi, ti ringrazio per essere stato con noi ancora una volta e aver racocntato la tua nuova silloge La danza di Medea ai nostri lettori. Ti faccio un enorme in bocca al lupo per il Concorso e per i tuoi progetti futuri. A presto!



Stefania Bergo

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Piergiorgio Pulixi presenta: La libreria dei gatti neri

Piergiorgio Pulixi presenta: La libreria dei gatti neri

Piergiorgio Pulixi presenta: La libreria dei gatti neri

Presentazione Libri Intervista a cura di Stefania Bergo. Piergiorgio Pulixi presenta La libreria dei gatti neri (Marsilio Editore): «Un cozy mystery pieno di suspense, ironia e leggerezza, che parla di libri e omaggia i classici del giallo, dove i protagonisti sono i lettori appassionati di misteri, indagini, crimini e detective».

Piergiorgio Pulixi è autore della saga poliziesca di Biagio Mazzeo (Una brutta storia, La notte delle pantere, Per sempre, Prima di dirti addio, Edizioni E/O) e della serie "I canti del male" (Il canto degli innocenti. I canti del male Vol.1, La scelta del buio. I canti del male Vol. 2, Edizioni E/O). Tra gli altri romanzi, per Edizioni E/O ha pubblicato L'appuntamento; per Edizioni CentoAutori L'ira di Venere; per Rizzoli Lo stupore della notteL'isola delle anime, Un colpo al cuore, Il mistero dei bambini d'ombra e La settima Luna; per Mondadori Per mia colpa; per Marsilio, in uscita La libreria dei gatti neri.

La libreria dei gatti neri

di Piergiorgio Pulixi
Marsilio Editore
Giallo | Cozy mystery
ISBN 978-8829711642
ebook 7,99€
cartaceo 15,00€

Sinossi 

Grande appassionato di gialli, Marzio Montecristo ha aperto da qualche anno nel centro di Cagliari una piccola libreria specializzata in romanzi polizieschi. Il nome della libreria, Les Chats Noirs, è un omaggio ai due gatti neri che un giorno si sono presentati in negozio e non se ne sono più andati, da lui soprannominati Miss Marple e Poirot. Nonostante il brutto carattere del proprietario, la libreria è molto frequentata, ed è Patricia, la giovane collaboratrice di Montecristo, di origini eritree, a salvare i clienti dalle sfuriate del titolare. La libreria ha anche un gruppo di lettura, “gli investigatori del martedì”, un manipolo di super esperti di gialli che si riuniscono dopo la chiusura per discettare del romanzo della settimana. È una banda mal assembrata ma molto unita, di cui Marzio è diventato l’anima, suo malgrado. Un anno prima il gruppo si è dimostrato capace di aiutare una vecchia amica di Montecristo a risolvere un vero caso da tutti considerato senza speranza. Ora la sovrintendente Angela Dimase torna a chiedere la loro collaborazione per un’indagine che le sta togliendo il sonno: un uomo incappucciato si è presentato a casa di una famiglia, ha immobilizzato due coniugi e il loro figlioletto e ha intimato all’uomo di scegliere chi doveva morire tra la moglie e il figlio; se non avesse deciso entro un minuto, li avrebbe uccisi tutti e due. Il sadico killer viene presto soprannominato «l’assassino delle clessidre», visto che sulla scena del crimine ne lascia sempre una. Riusciranno gli improbabili “investigatori del martedì” a sbrogliare anche questo caso, intricato quanto agghiacciante, permettendo alla polizia di fermare il feroce assassino prima che colpisca di nuovo? Pulixi firma un giallo pieno di suspense e ironia che parla di libri e omaggia i classici del mystery, rendendo i lettori i veri protagonisti di questa storia.


L'autore racconta



La libreria dei gatti neri è il nuovo romanzo di Piergiorgio Pulixi, in uscita il 10 gennaio per Marsilio Editore. Dalla quarta di copertina si sa che racconta le rocambolesche indagini di un gruppo di lettura d’eccezione: gli Investigatori del martedì, appassionati di gialli. Il loro quartier generale è la libreria Les Chats Noirs. Neri sono Miss Marple e Poirot, i gatti che sovrintendono alle loro malefatte. Nero è l’umore del proprietario, Marzio Montecristo. Ma ancora più nero sarà il caso per risolvere il quale dovranno mettere in società le loro preziose «cellule grigie».
Dopo numerosi thriller, come Un colpo al cuore (Rizzoli 2021), intensi noir psicologici, come Per mia colpa (Mondadori 2021), e il noir per ragazzi Il Mistero dei bambini d’ombra (Rizzoli 2022), Piergiorgio Pulixi si cimenta con un cozy mystery, la cui precorritrice ideale è Agatha Christie – non a caso i gatti neri hanno i nomi dei suoi celebri investigatori.

L’ironia e le pause di leggerezza anche nei tuoi romanzi più cupi non sono mai mancate, ma come ti è venuta l’idea di raccontare un’intera storia affidandola alle capacità logiche dei protagonisti più che alla suspense e all’azione?

È un’esigenza che nasce dal mio bisogno di dare ai lettori sempre un qualcosa di nuovo e diverso. Ho una serie letteraria (quella di Strega, Rais e Croce) che porto avanti e a cui molti miei lettori sono affezionati, ma al tempo stesso ho la necessità ogni di tanto di lasciare quel porto sicuro per cimentarmi un po’ con generi letterari o personaggi nuovi. Romanzi come Lo stupore della notte o L’appuntamento, oppure antologie come L’ira di Venere sono opere che si discostano un po’ dai generi che sono solito affrontare con le mie storie, ma sono libri che mi hanno permesso di studiare e sperimentare nuove sfumature della letteratura d’intrattenimento. La libreria dei gatti neri è un cozy mystery, un giallo leggero, lieve, ironico, dove c’è sicuramente l’intrattenimento tipico del giallo deduttivo alla Agatha Christie – per l’appunto – ma c’è anche tanta spensieratezza e voglia di fare sorridere i lettori. È senz’altro un’opera più leggera rispetto alle altre della mia produzione, e mi è servita per prendermi una pausa da Strega e compagnia, omaggiare i classici della letteratura mystery e affilare gli attrezzi per la scrittura di un giallo classico, che soltanto all’apparenza è semplice da scrivere: in realtà necessita di tanta maestria, ingegno e dedizione. Non essendo il mio campo d’elezione in ambito letterario, ho dovuto imparare a mettermi alla prova con questo genere, ed è stato un grande piacere farlo.

In qualche tua intervista hai ammesso che se non fossi stato uno scrittore avresti comunque fatto un mestiere che ha che fare coi libri, come ad esempio il libraio. Non è un caso, quindi, che questo romanzo racconti di questa affascinante libreria nel cuore di Cagliari. La vicenda si svolge tutta lì, tra congetture e intuizioni del gruppo di lettori, o esce dalle mura? Ritroveremo la tua amata Sardegna come co-protagonista?

In realtà ho proprio fatto il libraio, a Cagliari, in una libreria indipendente, per qualche anno. Sono stati anni straordinari, perché amavo tantissimo quel mestiere e il rapporto con la clientela, e avrei continuato a farlo se non avessi deciso di spingere un po’ di più sulla carriera di scrittore. Purtroppo, le due attività erano abbastanza incompatibili dal punto di vista della promozione che richiede la pubblicazione di un romanzo oggi: molto spesso sono fuori casa per mesi, impegnato in tour di presentazioni in tutta Italia, e questo ovviamente sarebbe stato un problema dal punto di vista della libreria dove lavoravo. Quindi ho deciso di concentrare tutte le forze e le energie verso la scrittura. Perciò, in questo nuovo libro sono confluite tante esperienze di quando sono stato libraio: alcune gag divertenti con dei clienti piuttosto difficili, le varie disavventure in cui ogni libraio prima o poi si imbatte, ma soprattutto il sempiterno amore per i libri e per le storie. “Les chats noirs”, la libreria di Marzio, si trova a Cagliari, la mia città, ed è in qualche modo la mia libreria ideale: piccola ma con una forte “personalità”, specializzata in gialli, con una splendida saletta per gli incontri ispirata allo studio di Sherlock Holmes e un piccolo (ma combattivo) gruppo di lettura formato da super-lettori di romanzi polizieschi. Lettori che nel romanzo usciranno dalle quattro mura della libreria per seguire la loro indagine. Quindi ci sarà un bell’omaggio a questa città e alla sua mediterranea bellezza.

A chi ti sei ispirato per il gruppo degli Investigatori del martedì? È un omaggio ai tuoi lettori?

Non saprei. È un gruppo strano: una signora ottantenne all’apparenza gracile e innocua che in realtà adora i thriller più violenti e sanguinari ed è innamorata del Jack Reacher di Lee Child; un frate cappuccino imponente e dall’aria minacciosa dietro cui si nasconde un uomo bonario e sempre sorridente, amante dei racconti di Padre Brown e fan sfegatato de Il nome della rosa; una ragazzina dark-goth (che ha un’aria un po’ alla Mercoledì per citare una serie-tv molto popolare in questo periodo) amante dei romanzi polizieschi ambientati in epoca vittoriana, che segretamente sogna di uccidere qualcuno; un anziano gentiluomo dai modi garbati che sembra uscito da un libro di Georges Simenon, autore che peraltro adora; e per concludere, Marzio Montecristo, il burbero libraio de “Les Chats noirs”, un ragazzo di nemmeno quarant’anni, sfortunato in amore (e anche a livello economico è messo piuttosto male) ma che riesce sempre a sorridere e a fare autoironia sulle sue disavventure. Presi singolarmente sono personaggi bizzarri, pittoreschi e forse anche un po’ naïf, ma non appena si ritrovano e iniziano a ragionare come gruppo, diventando un’unica macchina raziocinante, be’, diventano degli investigatori formidabili, perché è come se attingessero a un pozzo di esperienze investigative sconfinato, pari alle letture di gialli, thriller e noir che hanno alle spalle. E parliamo di migliaia di libri.

Marzio Montecristo è il titolare della libreria – il cognome è per caso un rimando a uno dei tuoi libri preferiti? Al di là dell’umore nero, che tipo è?

Sì, ovviamente il suo cognome è un omaggio al romanzo a cui sono più legato: Il Conte di Montecristo. Marzio di base è un bravo ragazzo. È la classica persona buona che cerca di fare sempre la cosa giusta, anche quando questo potrebbe portarlo a sfortunate e nefaste conseguenze. Non nasce libraio, nel senso che prima faceva un altro mestiere. Aprire la libreria, per lui, è stato un modo per ricominciare, per dare il via a una seconda fase della sua vita. Il problema è che non sa mentire e non è nemmeno tollerante o diplomatico: questo lo porta spesso a litigare con i clienti e quindi inimicarsi potenziali acquirenti. Ha pochi amici, perché “Les chats noirs” è diventato il fulcro della sua esistenza, e raramente abbandona la libreria. In questa storia sarà costretto a farlo per seguire le evoluzioni dell’indagine in cui si troverà suo malgrado coinvolto.

Tu lo sai, io sono affezionata a Lopez, Rais e Croce come a delle amiche d’infanzia, la caratterizzazione che ne hai fatto le rende vere, un indimenticabile mix di luci e ombre. Come sarà questa nuova poliziotta, Angela Dimase?

Angela è una vecchia amica di Marzio. Si sono incontrati quando entrambi avevano tredici anni. Lei arrivava da Torino ed era finita a Cagliari a seguito del padre, che era stato trasferito in Sardegna per via del suo mestiere. Marzio ne è innamorato da sempre, ma non è mai stato in grado di farglielo capire in maniera diretta. Alla fine, Angela si è fatta la sua vita, e lui continua a correrle dietro, con poca fortuna devo ammettere. Dimase ora è una sovrintendente della Polizia di Stato a Cagliari. In passato (quasi per gioco) aveva coinvolto Marzio e il suo gruppo di lettura nella risoluzione di un cold-case. L’esperimento era stato molto fruttuoso, perché i lettori avevano risolto il delitto ormai dato per irrisolvibile. Da quel momento ha iniziato a servirsi di Marzio e degli “investigatori del martedì” ogni volta che si è trovata davanti a un’indagine piuttosto complessa. È consapevole del potere seduttivo che esercita su Marzio, e non si fa scrupolo a utilizzarlo. Marzio, come tutti gli innamorati, non si accorge di essere “usato”; per lui qualsiasi modo per starle vicino va bene, anche se alla lunga dovesse soffrirne. E soffrirà, ahimè.

Nei tuoi corsi di scrittura dici spesso che il mestiere dello scrittore è molto simile a quello dell’attore, perché si deve calare nella parte di tutti i personaggi che crea per guardare il mondo dal loro punto di vista. Con quale personaggio di questo romanzo ti sei trovato più a tuo agio? E con quale hai avuto più difficoltà a immedesimarti?

È proprio così: lo scrittore deve “recitare tutte le parti”. Diventi ogni personaggio di cui scrivi, anche quelli più secondari. In questo caso, credimi, mi sono davvero divertito a “diventare” tutti i personaggi, a partire da Marzio. Ripeto: questo è un romanzo più lieve e ironico rispetto al solito, popolato da personaggi simpatici che inevitabilmente ti strappano un sorriso. Quindi è stato davvero piacevole dirigere questa strana compagnia di attori.

Piergiorgio, perché i gatti? Avranno un ruolo nell’indagine o sono solo a corredo folcloristico?

I gatti neri sono in realtà un omaggio a un altro grandissimo autore che adoro: Edgar Allan Poe. E direi di sì: avranno un ruolo all’interno della storia. Ovviamente non ti posso svelare quale…

Cosa ci dobbiamo aspettare da La libreria dei gatti neri? È una lettura adatta anche ai giovani lettori?

Dovete aspettarvi un romanzo giallo pieno di suspense, ironia e leggerezza, che parla di libri e omaggia i classici del mystery, ma dove soprattutto in qualche modo i protagonisti siete voi, lettori appassionati di misteri, indagini, crimini e detective. Ho cercato di scrivere un romanzo piacevole e godevole da leggere in poche ore, con degli investigatori dilettanti e amatoriali che strappasse qualche sorriso – oltre che qualche brivido – rendendo omaggio a Simenon, Agatha Christie, Michael Connelly, Edgar Allan Poe, Sir Arthur Conan Doyle e tantissimi altri autori di mystery novel. Credo che sia il romanzo ideale per riprendersi dallo stress delle festività natalizie e per affrontare con più leggerezza e spensieratezza questo nuovo anno o da portarsi come compagno di viaggio in una vacanza o in un finesettimana.

È sempre un piacere accogliere Piergiorgio Pulixi nel nostro spazio culturale dove ormai è per così dire "di casa". A nome di tutto lo staff e dei nostri lettori, un grande in bocca al lupo per questo nuovo romanzo, in uscita il 10 gennaio ma già disponibile in preordine e di cui vi parleremo molto presto.




Stefania Bergo
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Maurizio Spano presenta: Nato di domenica

Maurizio Spano presenta: Nato di domenica

Maurizio Spano presenta: Nato di domenica

Presentazione Libri Intervista a cura di Bergo Stefania. Maurizio Spano presenta Nato di domenica (PubMe – Collana Gli Scrittori della Porta Accanto). Il sogno delle olimpiadi, il grande amore, il dolore che toglie il respiro, la corsa come metafora della vita.

Maurizio Spano è nato nel 1960 ad Adria (RO) e viaggia nel tempo e nello spazio con Maria Letizia. Pittore e fotografo, oltre che narratore, ha allestito importanti mostre personali in varie città italiane. Studi ed esperienze, queste, che, congiunte alla sua professione, gli hanno permesso di acquisire ampie conoscenze sulla costruzione delle immagini tramite la parola scritta e rendere concreta una profonda aspirazione: raccontare il sogno dell’uomo.
Nel 2011 pubblica il romanzo Francesca seguito, nel giugno del 2013, dalla seconda opera narrativa, La Signora dei Colori. A dicembre 2015 pubblica il terzo libro, Nato di Domenica, nel 2021 in seconda edizione con PubMe nella Collana Gli Scrittori della Porta Accanto, e nel 2020, nella stessa collana, il romanzo storico La ricamatrice.



Nato di domenica

di Maurizio Spano
PubMe - Gli scrittori della porta accanto
Narrativa
ISBN 979-1254580424
Cartaceo 18,00€
Ebook 2,99€

Sinossi

Anni ’70. Comincia tutto in un pomeriggio di nuvole e polvere: Dario indossa le scarpe nuove e inizia a correre. Una sfida lungo uno stradone di campagna, le braccia alzate al cielo, l’ebbrezza d'essere un grande atleta e conquistare un mondo che ancora non conosce. E il sogno di diventare un vero corridore, forse un campione, gli appare realizzabile.
Linda è il primo palpito, un amore che non arriva mai a essere consumato ma a consumare lei, non abbastanza matura per il sesso, ma già per il tormento. Mentre in Dario cresce la consapevolezza di essere un corridore, di poter andare alle olimpiadi.
Correre diventa una filosofia di vita e inseguendo il suo sogno, sulla terra battuta della pista conosce Gianna, atleta come lui. Tutto gira intorno allo sport, anche l’amore. Si parla di tempi di percorrenza, limiti da superare, strategie di corsa. Perché per correre non basta indossare un paio di scarpe adatte. Correre nasce dal cuore, dalla testa, inizia da lì, è una filosofia di vita. Le gambe sono solo un'estensione che permette al corpo di macinare chilometri, di rincorrere i sogni.
Poi, qualcosa si incrina. Dario si perde. Correre non ha più senso. Ma il destino è come l'ombra che rimane attaccata alle scarpe. E Dario si ritrova a gareggiare contro "il corridore", in una maratona commovente, intensa, intrisa di simbolismi e significato, una corsa contro i fantasmi del passato, contro l'immagine riflessa di ciò che avrebbe potuto essere.
È allora che Dario si rende conto che lui non corre per le olimpiadi, lui corre per vivere. Del resto, è nato di domenica, il giorno prima della creazione del mondo, quando tutto è ancora in potenza, nulla in atto, e possiamo decidere di essere ciò che vogliamo.



L'autore racconta



Diamo il benvenuto a Maurizio Spano sul nostro blog culturale Gli scrittori della porta accanto. Dopo l'intervista di Ornella Nalon, in veste di artista poliedrico, oggi sei qui indossando i panni dello scrittore per presentarci la nuova edizione del tuo romanzo Nato di domenica. Si può ritenere che in qualche modo sia il sequel del tuo romanzo precedente, La ricamatrice?

Sì, è certamente un romanzo che si pone in sequenza con La ricamatrice, sia cronologica (qui siamo nel pieno degli anni ’70) che di crescita umana del narratore (un adolescente che diventa uomo). Il punto di partenza è ancora il Polesine, tuttavia, stavolta, il protagonista del viaggio è lui, il ragazzo di Adria alla ricerca del proprio posto nel mondo.

Non solo Nato di domenica e La ricamatrice sono inseriti prevalentemente nel substrato di Adria e dintorni, anche il tuo primo romanzo, Francesca. Al di là della nota autobiografica, cosa ti spinge a narrare di personaggi che si muovono in Polesine? Non è certo un territorio usuale per ambientare un romanzo...

Il Polesine è la striscia alla foce dei due principali fiumi d'Italia. Dovrebbe quindi essere importante geograficamente e storicamente. Invece, spesso risulta, nell'immaginario collettivo nazionale, un luogo insignificante. Diciamo che può essere considerato come terra di confine, di incontro, di sviluppo, o terra di nessuno, tra la Romagna e il Veneto: dipende da come viene vissuto. Offre entrambe le possibilità. A me piace pensare che sia giusta la prima, perché così io l'ho sempre vissuto.

Il protagonista di Nato di domenica è Dario, un ragazzino in cui cresce lentamente la consapevolezza di voler fare il corridore, anzi, di essere un corridore. Si avvicina alla corsa in punta di piedi, quasi non ci crede, ma si lascia aperta una possibilità. Eppure correre non è così facile come sembra, ci vuole la determinazione di un sognatore…

Effettivamente Dario è coraggioso. Perché fa uno sport che all'epoca pochi praticavano. E certamente serve audacia per inseguire i propri sogni e, anche, una straordinaria forza d'animo per accettare la possibilità che quelle stesse aspirazioni, per il protagonista così meravigliose, per altri possano apparire semplicemente una perdita di tempo. Accettare quindi di non essere capito, ma non rassegnarsi al giudizio negativo. Perciò, in questo caso, affermare, semplicemente correndo, la propria identità di individuo. Di ragazzo libero. Simbolicamente esprimere se stesso, perché noi siamo i nostri sogni.

In più punti del romanzo, Dario viene definito come un corridore malinconico. E infatti la sua malinconia si avverte oltre le pagine, merito ovviamente di una scrittura emozionale. È una malinconia che ha assorbito incoscientemente dalla madre – la ricamatrice – rimasta sola ad allevarlo, dopo essere stata abbandonata dal padre di Dario? Come mai hai voluto introdurre questa emozione che permea gran parte del romanzo?

Certamente Dario vive, o cerca di vivere, ogni avvenimento, con la curiosità di un'età che non ha paragoni, un'esclusiva della giovinezza. Senza pregiudizio e senza rancore, per il padre che l'ha abbandonato, ma assorbendo inevitabilmente parte del male di vivere con cui sua madre osserva il mondo che li circonda. Considerato che lei è stata tradita dal mondo. Dario è un ragazzo che sta imparando a vivere. Un cuore in cerca di sentimenti, di stupore e quindi disponibile alla vita. Ha quattordici anni e si vede come un viaggiatore che cerca il piacere della scoperta. Ma ogni volta che guarda negli occhi la mamma, vede tristezza e questo non può ignorarlo.

Il primo amore per Dario è Linda, una ragazzina praticamente sua coetanea, ha solo un anno meno di lui. Un amore acerbo, che cresce con loro, ma che ha già la connotazione dei tormenti dell’età adulta, almeno per Linda. Dario, invece, è ancora troppo concentrato a inseguire il suo sogno, diventare un corridore, andare alle olimpiadi.

Linda non è soltanto una persona, rappresenta per Dario il primo romanzo d'Amore. Quello con la A maiuscola, non di certo un sentimento sdolcinato o esasperato. Piuttosto Amore come abbandono totale, sacrificio, gioia e dolore. Soltanto che lui, anche se la sta vivendo quest'emozione fortissima, di tutti questi, chiamiamoli, effetti collaterali, ancora non si è reso conto. Sarà la vita a insegnargli quanto sfaccettato sia questo sentimento, quante energie richieda a chi lo vive, quante illusioni e quanti deliri faccia nascere nell'animo degli innamorati o degli amanti.

In tutta la prima parte del romanzo si avverte quanto sia importante per Dario la corsa. Intreccia storie con altri corridori che poi diventano suoi amici e le loro conversazioni vertono sempre sui tempi impiegati a percorrere chilometri, quasi come un’ossessione a voler correre sempre più in fretta, a voler superare i propri limiti. Ma sempre onestamente, con lealtà verso gli avversari e lo sport stesso, senza ricorrere a espedienti per ridurre la fatica o accelerare i risultati. Un campione retto, così come lo sono i suoi compagni. Merito dei tempi, gli anni ’70, in cui è ambientato il romanzo, o hai voluto mantenere l’idea di uno sport pulito?

Dario cerca la gloria, è innegabile. Questa parola ha una definizione precisa nel vocabolario: il desiderio "di unanime e incondizionata ammirazione". Che poi è un sentimento molto più profondo di quanto talvolta si possa pensare. Tutto sommato, la gloria altro non è se non il tentativo, bisogna essere onesti: spesso non riuscito, di conquistare nel breve tempo della nostra vita, l'eternità. Ma nella coscienza del nostro corridore abita una particolare caratteristica: ogni sentimento passa sempre attraverso un altro valore, che per lui è ancora più importante, ed è l'onestà, intesa, in questo caso, come rispetto delle regole. Vincere con i trucchi non gli interessa. Il più forte deve essere sempre e comunque anche il più leale. In realtà, in quegli anni, la presenza dei "trucchi" era già pesantissima, ricordate le famose nuotatrici della Germania dell'Est o le auto emotrasfusioni? No a me piace il concetto di sport pulito, anche se mi rendo conto che spesso è un'utopia, la valanga di soldi di cui è circondato è una tentazione spesso irresistibile.

Dario conosce anche un altro amore, che segna per lui sia la nascita vera e propria del campione olimpionico sia la fase successiva. Anche Gianna è una sportiva, pratica salto in lungo, ma la differenza più sostanziale con Linda è il fatto che ora Dario abbia a che fare con una donna, non più con un’adolescente. Il modo in cui vivono l’amore è, infatti, diverso. Leggendo, sembra incredibile che non tanto certi sentimenti, quanto certi comportamenti e pensieri, possano appartenere ai protagonisti che hanno comunque un’età intorno ai 20 anni.

Erano tempi diversi e i 20 anni di allora avevano un altro significato. È un'esperienza personale ma anche generazionale: eri costretto a diventare grande, subito. Il confronto era intenso, spesso o si stava da una parte o dall'altra, non c'era la via di mezzo. Al lavoro, in politica e anche in amore.
Dario, tra l'altro, non è un superman. È un ragazzo normale che per vincere nella corsa come nella vita si deve allenare, tanto. Il suo talento sta nell'aver capito che il metodo e la pazienza possono portare a risultati straordinari, bisogna insistere, allenarsi sempre. Questo però, non sempre si può fare da soli. Gli stimoli di chi circonda l'uomo/atleta sono fondamentali. È un continuo cadere e rialzarsi, cadere e rialzarsi, e ci vuole qualcuno che gli voglia bene e che gli porga la mano, anche soltanto per ricordargli chi è, quando lui lo dimentica.
Qualcuno che sia la sua memoria, perché soltanto chi ha memoria di sé può ritrovarsi!

A un certo punto correre non sembra più il sogno di Dario. Non voglio svelare ai nostri lettori le vicende che seguono, ci sono momenti davvero intensi e commoventi. Anche la narrazione segue questi eventi, in modo sapiente: non si parla più di limiti da superare e risultati da ottenere, riaffiora la malinconia. Ma poi le cose cambiano di nuovo, in un sinuoso e tortuoso percorso che fa pensare alle montagne russe. Cosa puoi dire ai nostri lettori di questa parte della storia, senza svelare troppo?

Accade che... ci si può perdere. Chi non segue una strada tracciata, chi fa della propria vita un'avventura, ad uno dei tanti incroci che lo costringono a scegliere una nuova direzione, può scegliere la strada più difficile. Il fatto è che non sempre nella vita le scelte sono tra una cosa bella e una brutta, quindi tra una via giusta e una sbagliata. Dario cerca l'amore, ma anche la gloria, ma anche... lui cerca tante cose, ma farle stare assieme è difficile, quasi impossibile. Quasi. Nasce il rimpianto. Il rammarico per quello che poteva essere e non è stato, per ciò che si amava (e non è detto che si tratti di una persona) e si è perso.
Nasce il "rimpianto di sé". Sì, perché, almeno per un tratto della sua vita, il protagonista ha perso proprio sé stesso, la sua più intima natura. Appunto, i suoi sogni.

Veniamo al titolo, Nato di domenica. Mi piace molto la spiegazione che ne viene data nel romanzo. La domenica, vista come l’inizio della settimana, o meglio, il giorno prima della creazione del mondo e dell’uomo. Chi è nato di domenica ha quindi il vantaggio di poter decidere chi essere e che fare prima dell’inizio dei giochi. È giusto?

Dario altri non è che un ragazzo che per diventare uomo e dare un senso alla propria esistenza deve fare delle scelte, lo deve fare, come succede nella vita di quasi tutti. È partendo da questo fatto, quasi scontato, che nasce il titolo. La domenica non è soltanto il giorno in cui ci si riposa (simbolicamente almeno. Ovviamente il simbolismo più alto è Dio che termina la creazione). Ma è anche il giorno prima dell'inizio della settimana. È il giorno in cui si devono recuperare le energie e ripartire e decidere come farlo. Portando al limite questa considerazione, è il giorno in cui noi ci riposiamo dopo aver vissuto parte del nostro tempo, ma anche quello in cui decidiamo se iniziare o no, un altro frammento della nostra vita. È pur vero che non sempre abbiamo la possibilità di una scelta. In altre occasioni evitiamo di farne, magari per pigrizia, ma a volte ci tocca scegliere, e questo succede molto più frequente di quanto pensiamo. Perché anche se decidiamo quasi meccanicamente, per consuetudine, quasi non dando valore alle nostre scelte, noi facciamo delle scelte. E allora, nel momento esatto in cui stabiliamo cosa fare il giorno dopo, e se fare qualcosa, se andare avanti o fermarci, in quel momento noi siamo nati di domenica, che non è più semplicemente il giorno prima del lunedì, ma è il giorno prima dell'inizio del mondo. Per lo meno, il nostro mondo.

Lo stile di Maurizio Spano è cresciuto nel tempo, la tua scrittura è mutata al variare delle trame che hai raccontato e con la tua consapevolezza di artista. Anche Dario, nell’evoluzione della narrazione, cresce e matura, diventa un vero campione, al di là dello sport. La corsa come metafora della vita, quindi?

Diciamo che quella di Dario è una vita che dona molto alle persone che la incrociano ma, al tempo stesso, chiede tanto. Una salita verso la maturità che spesso ha un prezzo alto da pagare. Anche se il viaggio che sta compiendo il protagonista si svolge su una strada piena di incroci, per lui la meta è già stabilita, almeno idealmente. Dario sa cosa vuole, o crede di saperlo. Quindi sì, la vita è una corsa dove nulla è scontato. Un viaggio che spesso si condivide con gente che, pur percorrendo la stessa via... cerca mete diverse. Il bello è, ma questo inevitabilmente lo si scopre da adulti, che a volte ci si trova ad uno dei tanti traguardi di è fatta la nostra esistenza, con qualcuno che cercava lo stesso "tesoro", ma ha fatto una strada completamente diversa.

Quanto c’è di autobiografico in questo romanzo?

Beh, in questo libro, come negli altri che ho scritto, nei quadri che ho dipinto, in tutto quello che ho fatto e faccio c'è un sogno, un intreccio tra realtà e fantasia. Il tentativo, molto umile mi rendo conto, di raccontare qualcosa che sta oltre i nostri sensi. Un'emozione che soltanto l'arte può regalare.
In questo libro forse c'è più storia che fantasia, ma rimane comunque un romanzo. E la bellezza del romanzo è che, una volta scritto e pubblicato, non ti appartiene più. E io credo sia questa la cosa più affascinante dello scrivere. Da quel momento, se hai fatto un buon lavoro, diventa un viaggio, un'avventura da condividere con chi la leggerà.
Ecco, io spero di aver fatto un buon lavoro e che sia davvero una bella avventura.

Ringrazio Maurizio Spano per essere stato con noi ancora una volta. A nome degli scrittori della porta accanto e dei nostri numerosi lettori, ti faccio un in bocca al lupo per i tuoi progetti futuri, so che sono tanti!

Grazie a te, è stato, ancora una volta, un piacere.


Stefania Bergo
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70 anni fa, l'alluvione che sconvolse il Polesine: le voci degli sfollati di allora

70 anni fa, l'alluvione che sconvolse il Polesine: le voci degli sfollati di allora

70 anni fa, l'alluvione che sconvolse il Polesine: le voci degli sfollati di allora

Storia Di Stefania Bergo. Il 14 novembre del 1951 il Po esondò a Occhiobello e Canaro, dando inizio all'alluvione del Polesine. I miei genitori, furono sfollati insieme ad altre duecentomila persone. Queste le loro voci.

Abito ad Adria, uno dei paesi che il 14 novembre del 1951 fu allagato dalla piena del fiume Po che ruppe nei pressi di Occhiobello e Canaro e travolse una vasta area del Polesine, provocando 100 morti, la distruzione di 700 case e duecentomila sfollati. I miei genitori erano due di loro.
Mio padre aveva nove anni, mia madre cinque. Entrambi furono portati altrove, separati dalle famiglie per poter assicurare loro un luogo asciutto dove dormire e dei pasti caldi da mettere nello stomaco.

L'alluvione del Polesine fu il primo grande evento drammatico che si abbatté su queste terre nel dopoguerra, in un territorio che già conosceva la fame e la povertà e che stava piano piano risollevandosi dalla devastazione.

Terra di contadini e allevatori, gente che conosceva il duro lavoro della campagna, che sapeva contare solo su quello che coltivava o allevava. Persero tutto in una notte.
Ma l'alluvione non fu solo il primo evento catastrofico che questa parte d'Italia conobbe. Ci fu anche il primo grande moto di solidarietà. I soccorsi e gli aiuti furono tempestivi. In un'Italia ancora sconvolta dalla guerra, in cui il benessere era ancora solo ad appannaggio dei più facoltosi, ci si strinse attorno agli sfollati, facendo arrivare viveri, coperte, mezzi di trasporto. Chi aveva una casa grande risparmiata dalla furia dell'acqua la mise a disposizione dei bambini. In tutta Italia furono allestite colonie per i minori, in modo da accoglierli e far loro vivere una frammentaria normalità mentre gli adulti cercavano di recuperare quanto più possibile per ricostruire, ancora una volta, dalle macerie.

I miei genitori erano bambini e vissero l'alluvione sulla loro pelle, sfollati in altre parti d'Italia in attesa di far ritorno ad Adria.

Ricordano molto bene quella notte e i giorni a venire. Difficile dimenticare. E proprio a loro ho voluto chiedere come vissero l'alluvione, anche per comprendere maggiormente le emozioni, l'angoscia e la speranza dei bambini che anche oggi – in ogni tempo – vivono devastazioni analoghe, siano esse portate dalla furia dell'acqua, della terra, dell'aria o dell'uomo.

Gli alluvionati del Polesine

Mamma, tu avevi cinque anni nel 1951. Che cosa ricordi di quella notte? Dove ti trovavi?

Ho ricordi molto chiari di quel momento. Ricordo che alla radio davano le notizie sulla situazione del Po, dicevano dove si trovava la piena, i danni che stava provocando, quanto facesse paura. Il pomeriggio del 14 novembre avevano avvisato della rottura dell'argine a Occhiobello e avevano iniziato a sfollare la gente di Adria per portarla in salvo prima che arrivasse l'acqua. Io sono stata caricata, con mia mamma e i miei nonni, sull'ultimo camion.

Dove vi hanno portati?

Ci hanno portati a Vigodarzere... o Codevigo, non ricordo il nome del paese, ma ricordo che ci hanno messi nell'aula magna di una scuola. Per terra c'era la paglia e avevano distribuito delle coperte. Ma si sentiva l'umidità dei muri. Il sindaco del paese aveva una figlia della mia stessa età e si è offerto di ospitarmi a casa sua per quella notte. Mia mamma ha acconsentito, ovviamente: piuttosto che dormire al freddo sul pavimento preferiva sapermi in un letto caldo e del sindaco ovviamente si fidava. Mi piacerebbe sapere se quella bambina è ancora al mondo, sarebbe bello incontrala di nuovo. Ricordo che ci siamo trovate bene a giocare insieme. Aveva un berrettino azzurro con i fiocchetti e nel momento in cui ci siamo salutate il papà voleva che me lo regalasse. Lei disse di no, ma ho sempre avuto la sensazione che quel rifiuto fosse per il dispiacere di vedermi andar via...

Sarebbe bello davvero se fosse ancora viva e poteste rivedervi, anche solo scambiarvi dei messaggi. Chissà, al tempo dei social magari è possibile rintracciarla... Quanto tempo siete rimaste in quel paese? Dopo di lì dove siete andati?

Siamo rimasti lì una sola notte. Il giorno dopo è arrivato mio zio Giovanni e ci ha portati con sé a Milano, dove si era trasferito, in attesa che si ritirasse l'acqua. Nel frattempo, a livello nazionale stavano allestendo delle colonie per i bambini, per far passare loro momenti spensierati e far respirare aria più salubre, non quella melmosa del Polesine allagato. Mia mamma acconsentì a farmi andare a Savona, mentre lei, insieme a sua sorella e a mio nonno, iniziò ad andare ad Adria a ripulire casa dal fango.

Cosa ricordi di quel periodo? Quando siete riusciti a tornare a casa vostra?

Siamo tornati a primavera, nel '52. Tanto ci è voluto a sistemare casa e ricostruire. E noi siamo stati fortunati che non sia stata abbattuta dal fiume...
Non ho vissuto male quel momento, ero una bambina, sono stata bene sia dagli zii a Milano sia in colonia. 
Credo si vedesse dai vestiti che eravamo "gli sfollati del Polesine", oltre che riconoscere l'accento. Mio nonno rientrava a casa dopo essere stato in giro per Milano e raccontava che la gente lo fermava per strada per dargli dei soldi, «Preferiamo darli direttamente agli sfollati piuttosto che al comune, che poi non si sa che fine facciano» dicevano. 
E, restando in tema di indumenti, ricordo una montagna di vestiti usati portati in colonia per noi. Ci facevano vestire bene e poi ci scattavano delle foto da mandare ai nostri genitori...

Che bella la solidarietà, la trovo commovente. A volte basta davvero poco per aiutare, ma per chi riceve fa un'enorme differenza. Grazie mamma, per questa tua bella testimonianza. Ora vorrei fare qualche domanda anche a te, papà. Quando sei riuscito a metterti in salvo? Anche tu poco prima che arrivasse l'acqua?

No, ricordo che ci hanno portati via da casa con un mezzo anfibio, l'acqua aveva già allagato tutto il piano terra e stava salendo. Mio nonno aveva campagna, non è riuscito a salvare nemmeno una delle bestie, sono tutte morte annegate, anche il maiale a cui era molto affezionato. Ci hanno portato sull'argine asciutto del Po e poi da lì in colonia a Calambrone – in Toscana, ndr.

Tu quindi l'hai vissuta molto di più l'alluvione... Ricordi l'acqua? Che cosa hai provato?

L'acqua era nera, rumorosa, faceva paura, si alzava lentamente.
Ricordo che i miei genitori hanno legato a un palo il loro chiosco dei gelati, così stretto che la piena non l'ha portato via. Ma lo ha distrutto lo stesso. Quando tutto è finito e siamo tornati era lì, ma l'unica cosa che ci si poteva fare era una casa per le galline. Fortunatamente il comune aveva stanziato dei soldi per aiutare chi aveva perso la propria attività a ricominciare.

Hai anche tu dei bei ricordi della colonia? Quanto tempo ci sei rimasto?

Lì siamo rimasti qualche giorno. Eravamo soli, io e mia sorella di sette anni. In colonia ci hanno divisi in maschi e femmine e lei piangeva. Ma io andavo sempre a trovarla e le portavo i dolcetti. Ricordo il freddo. Dormivo con le scarpe e il cappotto. Dopo qualche giorno è venuto mio papà a riprenderci con un motorino rosso, un Ducati 65, e ci ha portati a Forte dei Marmi, io dietro e mia sorella davanti. Lì c'erano mia mamma e l'altra sorella piccolina.

Gli sfollati del Polesine

Queste le voci di chi l'alluvione l'ha vissuta.

Non avevo previsto di scrivere questo articolo, ecco perché lo pubblico solo ora. Ma il pranzo domenicale mi ha regalato queste memorie che meritano di essere condivise. Parlano di vita dura, di acqua che travolge e spazza via tutto quello che si è costruito in una vita. Ma parlano anche di grande solidarietà, di "italiani per gli italiani", come dice un vecchio cinegiornale.





Stefania Bergo
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Tamara Marcelli presenta: Il sogno dell'isola

Tamara Marcelli presenta: Il sogno dell'isola

Tamara Marcelli presenta: Il sogno dell'isola

Presentazione libri Intervista a cura di Stefania Bergo. In tutti gli store online Il sogno dell'isola di Tamara Marcelli (PubMe – Collana Gli Scrittori della Porta Accanto). Un romanzo introspettivo sulla maternità, la fragilità e la forza di una donna.

Artista poliedrica, decisamente eccentrica, amante dell’arte in tutte le sue forme, Tamara Marcelli è nata a Roma dove è cresciuta e ha studiato. Dopo la maturità conseguita al Liceo Classico, ha studiato Lettere e Tecniche dello Spettacolo presso l’Università La Sapienza di Roma e ha conseguito la Laurea in Psicologia Giuridica all’Università de L‘Aquila.
Scrive poesie, romanzi, testi teatrali, editoriali e saggi. Il Teatro e la Musica sono parte integrante della sua vita e si riflettono in tutto quello che scrive, soprattutto nel ritmo e nei tempi.
Ha pubblicato a maggio 2014 la raccolta atipica di poesie e pensieri Il Blu che non è un colore, in seconda edizione per Gli Scrittori della Porta Accanto su StreetLib, e la prima edizione de Il sogno dell’isola a gennaio 2015 con Montag, oggi in seconda edizione con PubMe.
Ha partecipato al progetto Io scrivo per voi. Parole per ricostruire, per vivere, ebook solidale per le vittime del Terremoto del Centro Italia 2016, con alcune poesie e con la prefazione alla silloge poetica ChiaroScuro ad ottobre 2017 per l’evento internazionale “100mila poeti per il cambiamento” e alla silloge Caro papà… le parole non dette a gennaio 2017, edizioni Gli Scrittori della Porta Accanto. Il suo racconto “Un sogno per Natale” è stato inserito nell'antologia gratuita Ed è subito Natale edita in versione cartacea per PubMe.

Il sogno dell'isola

di Tamara Marcelli
PubMe – Collana Gli Scrittori della Porta Accanto
Narrativa
ISBN 978-8833667584
cartaceo 13,00€
ebook 2,99€

Sinossi

«Cercarsi, trovarsi, riconoscersi. Accettarsi o combattersi. Da dentro. Perché non hai scelta, devi prendere una strada e seguirla.»
Questo romanzo non è semplicemente il racconto di una storia d'amore, in tutte le sue accezioni, ma piuttosto quello di una vita che si interseca con molte altre. Un viaggio nel tempo che rappresenta un viaggio dentro se stessa. Fino alla consapevolezza dei propri incubi più segreti. Fino alla liberazione.Per questo, lo stile fluido e i continui flashback, trasportano il lettore in dimensioni diverse, costringendolo anche a immedesimarsi, attraverso l’uso del tempo presente, alla situazione che in quel momento vive la protagonista. Come in Teatro.
È la storia di Tara, instabile e romantica, perennemente inquieta, innamorata della Vita, dell'Amore e dell'Arte. La maternità difficile, i disturbi del comportamento alimentare, il Sogno, sono alcuni dei temi presenti. Il suo incontro con un Poeta, con un Musicista e con Laurence, l'uomo che diventerà il suo alter ego e la salverà dall'autodistruzione.Una vita vissuta sempre intensamente, tra luce e ombra. È la storia di un sogno che, una volta raggiunto, chiude il cerchio e rivive, trasfigurandosi, in nuovi occhi verdi. Nei sogni e nella vita, in un continuo scambio di dimensione e di senso, i segni diventano indizi, vanno colti e compresi.Ciò che sembra squilibrio e irrazionalità, è emozione e istinto; le sue maschere, quelle che spesso si è costretti a indossare nel mondo esterno per apparire "in linea" e sopravvivere. Ma l’anima va altrove.
«La mia vita è tutta qua. La mia follia sempre accanto per non soccombere al tempo, per non ingrigire, risucchiata dalla desolazione del mondo. Spesso serve bloccarsi, respirare e guardare indietro, per poter guardare avanti. Per guardare ad un sogno. E stare tra le stelle.»


L'autrice racconta



Ben venuta Tamara Marcelli, caporedattrice di questo web magazine, nonché una delle fondatrici. Oggi, però, sei qui in veste di scrittrice.
Ho letto il tuo primo libro, Il blu che non è un colore, qualche anno fa. Avevi molto da dire in quel libro, attraverso la passionale poesia e le labbra tormentate di Tara, la protagonista del tuo monologo. Una donna sempre sull’orlo: tra due personalità, tra realtà e immaginazione, tra paura e coraggio, tra vita e morte. E ho ritrovato Tara anche in questo romanzo. Ci parli di lei?

Intanto, grazie per l’ospitalità, è un piacere ed un onore essere intervistata per la prima volta in assoluto da una donna sensibile come te. Il primo libro Il blu che non è un colore è stata una sfida, un dovere affettivo, un bisogno di liberare parole che chiedevano di volare fuori dalle piccole pagine ingiallite di un quaderno. Poesie, un Monologo pensato per il Teatro e Pensieri, un libro decisamente atipico, un’opera chiaramente fuori dal comune presto in seconda edizione con Gli Scrittori della Porta Accanto. I temi affrontati sono diversi, tutti corrispondenti a stati d’animo improvvisi, piccoli momenti di riflessione e di abbandono artistico.
Il monologo “Il buio che scoppia” è per me una perla, un piccolo gioiello che illumina un percorso difficile verso la consapevolezza di sé. La protagonista Tara è un simbolo, una sorta di principessa moderna che deve convivere con la parte buia e scomoda di se stessa, che deve porsi domande e darsi anche le risposte in un dialogo intimo continuo. Tara è l’emblema dell’insicurezza delle donne e, contemporaneamente, della forza che spesso non sanno di avere dentro. Ma anche della disperazione, della rabbia e del dolore. Quel dolore che, se inespresso, causa malessere e disagio. Tara cercherà, all’apice del suo incontro con la se stessa nascosta, di far emergere quel sentimento, quel bisogno di libertà, dalla parte peggiore di sé.

Quando hai pubblicato il tuo primo libro, già sapevi che avrebbe dato i natali a Tara e su di lei avresti scritto ancora? Oppure Il sogno dell’isola è nato dall’esigenza di concludere un discorso appena accennato che anelava essere completamente sviscerato?

Tara è un personaggio nato quasi in sogno ed in sogno ha deciso di volermi regalare un nuovo percorso, un Romanzo che racchiudesse altre cento, mille Tara. Così è nato Il sogno dell’Isola. Tara rappresenta nella sua unicità di personaggio protagonista, tante donne in una. È in realtà un Io fittizio che vive in prima persona le storie/vite di una pluralità di donne alle quali mi sono ispirata. Mi piaceva l’idea di trasporre una molteplicità di esperienze come fosse una sola, in una sorta di diario. Volevo dare l’idea di una storia vera in cui altre donne potessero rispecchiarsi, identificandosi con Tara. Spero di esserci riuscita.

Tara è una donna che si definisce spesso e con orgoglio “pazza”. Un’attrice teatrale che ama, oltre l’odore e lo scricchiolio delle assi del palcoscenico, il potersi trasformare, immedesimare, diventare altro da sé e paradossalmente sentirsi se stessa. La notte è il suo riparo, ma anche il suo tormento, il momento in cui è obbligata a guardarsi dentro, rischiando di farsi male, in cui si materializzano le paure più profonde, i conflitti irrisolti della sua vita, come quello col suo corpo. Quanto c’è di Tamara Marcelli in questa donna? Quanto ti è costato scrivere di lei, denudarla davanti al lettore… e a te stessa?

Devo ammettere che è stato quasi naturale scrivere di Tara. Non ho avuto difficoltà a inventarla, assemblarla, a darle vita fondendo insieme mille emozioni, paure, sentimenti che mi erano in qualche modo familiari.
Ma Tara ha una sua personalità, scomoda e difficile, al contempo lineare. Nella sua sana follia è coerente con se stessa e la sua forza sta proprio in questo. Volendo coinvolgere più storie nella stesura della vita di Tara ho dovuto immaginare di viverle tutte, per poterle descriverle al meglio. In questo il Teatro mi ha aiutato molto.
Tara è fondamentalmente un’attrice, lo è fin nel suo intimo e, seppur la vita la trasporti in esperienze molto diverse, lei non potrà mai liberarsi della sua Arte. Diventerà il suo rifugio, la sua culla, la sua forza nascosta. Sarà un luogo-non luogo in cui scappare quando la vita le presenterà difficoltà e dolori.
In questo romanzo affronto molte tematiche, alcune spigolose come i disturbi del comportamento alimentare, la procreazione medicalmente assistita, il desiderio di un figlio a tutti i costi, altre più comuni come l’Amore. Un amore totalizzante, vissuto sempre in ogni sua piega, seppur dolorosa. Attraverso la voce di una donna questo romanzo si dispiega liberando poco a poco il suo vero focus: la figura maschile. Tara diventa quindi solo una piccola stella che illumina le esistenze dei veri protagonisti di questo romanzo, gli uomini che il Destino ha posto sulla sua strada. Si incontrano così vari personaggi: i nonni, il padre, i fratelli, i suoi tre amori, un amico, un dottore, il figlio. È l'elogio della figura maschile. Con pregi e difetti. Quella a cui Tara si ispira e tende per tutta la vita.
Per questo credo sia un romanzo diretto soprattutto agli uomini, per avvicinarli al mondo, spesso incomprensibile, dell'universo femminile, dei suoi strani comportamenti. È allo stesso tempo un romanzo diretto alle donne, per fornire, forse, una chiave di lettura dei propri disagi più intimi. Per risolvere catarticamente i propri conflitti interiori.

Il Poeta e il Musicista, personaggi maschili di Il sogno dell'isola. Intenzionalmente anonimi, mi fanno pensare a degli artisti bohèmien. La sensazione è che, al di là della relazione affettiva, impersonino l’incontro di Tara con l’Arte. Il Poeta, in particolare, accende la sua passione per la Letteratura, quell’amore totalizzante per i libri e ancor più per la scrittura. Quando la loro storia finisce, Tara conosce l’inquietudine, quel desiderio ipnotico di morire, l’Uomo nero che visita i suoi sogni trasformandoli in incubi che le tolgono il respiro. E che non la lascerà mai più. Come se, dopo aver fatto un giro di valzer con i suoi abiti, più che col suo corpo, il Poeta le avesse lasciato in dono l’ispirazione. Il tutto è perfettamente reso da uno stile lirico della narrazione: frasi brevi, incisive come lame fredde, una per riga, perché ad ogni lettura ci si deve fermare e respirare per non soffocare. È corretto quanto ho percepito?

Direi che hai chiaramente colto nel segno e ne sono felice.
Volevo inserire l’Arte, per me dimensione imprescindibile per la mia stessa esistenza, in questo Romanzo, ma volevo vivificarla, renderla reale almeno nell’immaginazione del lettore. Così ho creato i miei due camei: il Poeta e il Musicista. Attraverso loro quella dimensione di grazia che è l’Arte prende vita tra le pagine, rendendo palpabili le emozioni che spesso percepiamo ma che non sappiamo decifrare. Tara si scontra con l’Arte come se ritrovasse il suo Io originario, perso chissà dove e chissà quando. Sarà lei a subire la magia e il profondo sconvolgimento di sensi che l’Arte comporta. Sarà lei a soffrire e a pensare alla Morte quando rischia di perderla per sempre. Ma c’è una frase che ricorda un semplice concetto: non puoi liberarti facilmente di me. 
Se rimani appesa, sei fottuta. Dentro. Sei ancora lì. In un angolo piccolo, buio e sconsiderato. Maledetto te. Maledetta me.
Tara non si libererà mai dell’Arte. I suoi incubi sono solo l’espressione del suo allontanamento dalla parte vera di sé. È la difesa dalla sua aggressione verso se stessa. Perché non ci si può snaturare. Ognuno di noi ha dentro un senso, un perché, una dimensione nella quale può vivere serenamente. Quella di Tara è l’Arte, il suo Teatro, la Poesia, la Musica. La scelta delle frasi brevi è chiaramente voluta. Volevo dare il senso delle stilettate. Tutto il Romanzo è scandito da frequenti cambi di tempo che, oltre a riflettersi nella scelta dei verbi, ora al passato, ora al presente, quasi psicoticamente, regalano immagini tipo flashback. Il ritmo risulta altalenante, con accelerazioni improvvise su un andamento lento e pacato, da racconto fiabesco. È come un pezzo di musica classica, ondeggiante tra l'adagio e l'allegro.

Laurence, è il vero amore, quella forza travolgente inarrestabile che nemmeno la volontà può fermare, perché il destino è più forte e li vuole unire, oltre le paure di Tara. Lui la ama a dispetto di tutto. A tal punto da creare con lei delle aspettative per il futuro. Con lui percorre una strada di sassi e spine, la drammatica ricerca di un figlio che nei sogni di Tara è presente da tempo, come un messaggio dalle stelle. Parlaci un po' di lui...

Laurence è il solo personaggio maschile in questo romanzo ad avere un nome dichiarato. E non è un caso. Il nome, tradotto dal latino come Laurens indicava un cognomen diffuso in una zona del Lazio, mia regione di nascita. Il suo significato era "colui che è cinto d'alloro", in riferimento alla corona di alloro che nell’Antica Roma veniva posta sul capo dei poeti e dei generali vittoriosi. Un connubio tra Arte e realtà, tra sensibilità e coraggio. Tra passione e strategia. Tara non può fare a meno di Laurence perché in lui trova l’altra parte di sé, quell’equilibrio che può salvarla dall’autodistruzione. Che può tirarla per i capelli e sottrarla ai suoi incubi. Al suo Uomo Nero.



Tamara Marcelli, chi è il vero protagonista di questo romanzo? È l’isola, come dice il titolo? È la storia d’amore tra Tara e Laurence? È la storia di una donna in cui ognuna di noi, a tratti, si può identificare? Il suo percorso doloroso alla ricerca di un figlio che il destino pare non volerle donare?

L’Isola è Tara. E Tara è ogni donna che, leggendo questo romanzo, si identifichi in lei anche solo per un istante. Tara esiste nella nostra fantasia, ma è figlia dei nostri tempi.

Nella narrazione ricorrono spesso elementi della natura. Il mare, che lambisce l’Isola, le stelle che brillano nel cielo e nei sogni, i cani che umettano il dolore e l’attesa, la neve. La neve che ricopre, che nasconde le asperità della terra sotto una morbida coperta ovattata, uniforme, che attutisce le grida, i boati, e purifica. La montagna e il mare. Ancora una volta Tara è in bilico tra due estremi?

Tara è giorno e notte, è neve e sole, sogno e incubo, pace e dolore. Vive di equilibri precari, fatti di istanti di grazia e momenti di profonda prostrazione fisica e psichica. Come se bastasse un ricordo, un alito di vento per farla precipitare o decollare. Imprevedibile. È il simbolo dei nostri pensieri spesso contrastanti, delle nostre emozioni altalenanti, del continuo conflitto, vivo in ogni essere umano come nel mondo, tra Bene e Male.

Concludo questa mia intervista a Tamara Marcelli, ringraziandola per avermi raccontato, oltre le mie percezioni, questo romanzo introspettivo che riflette la sua profonda sensibilità e l’abilità nel descrivere, oltre alle emozioni, i pensieri, facendo percepire chiaramente il ritmo delle sinapsi e dei respiri, sottolineati da uno stile lirico impeccabile.

Ed io voglio ringraziare te per la passione che trasmetti, per la grande professionalità dimostrata nell’analizzare le mie opere e, soprattutto, per i tuoi occhi che ispirano gioia ed amore per l’Arte. Perché senza l’Arte il mondo sarebbe già perso.

Stefania Bergo
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Sara Rattaro presenta: Splendi più che puoi

Sara Rattaro presenta: Splendi più che puoi

Sara Rattaro presenta: Splendi più che puoi

Presentazione Libri Intervista a cura di Stefania Bergo. Sara Rattaro torna in libreria con Splendi più che puoi (Garzanti), un pugno allo stomaco, una storia di violenza e riscatto.

Abbiamo oggi il piacere di ospitare sul nostro sito Sara Rattaro, una delle nuove scrittrici del panorama italiano, autrice, tra l’altro, di Un uso qualunque di te, Non volare via, Niente è come te (Premio Bancarella 2015) e Splendi più che puoi, edito da Garzanti, il suo ultimo, incredibile, romanzo, un pugno allo stomaco che narra di violenza domestica, un titolo evocativo della rinascita, con un guizzo di orgoglio, come se splendere fosse la miglior risposta da dare al mondo, almeno a quello che vorrebbe spegnerci.

Splendi più che puoi

di Sara Rattaro
Garzanti
Narrativa | Non-fiction
ISBN 978-8811689270
ebook 8,99€
cartaceo 13,94€

Sinossi
L’amore non chiede il permesso. Arriva all’improvviso. Travolge ogni cosa al suo passaggio e trascina in un sogno. Così è stato per Emma, quando per la prima volta ha incontrato Marco che da subito ha capito come prendersi cura di lei. Tutto con lui è perfetto. Ma arriva sempre il momento del risveglio. Perché Marco la ricopre di attenzioni sempre più insistenti. Marco ha continui sbalzi d’umore. Troppi. Marco non riesce a trattenere la sua gelosia. Che diventa ossessione. Emma all’inizio asseconda le sue richieste credendo siano solo gesti amorevoli. Eppure non è mai abbastanza. Ogni occasione è buona per allontanare da lei i suoi amici, i suoi genitori, tutto il suo mondo. Emma scopre che quello che si chiama amore a volte non lo è. Può vestire maschere diverse. Può far male, ferire, umiliare. Può far sentire l’altra persona debole e indifesa. Emma non riconosce più l’uomo accanto a lei. Non sa più chi sia. E non sa come riprendere in mano la propria vita. Come nascondere a sé stessa e agli altri quei segni blu sulla sua pelle che nessuna carezza può più risanare. Fino a quando nasce sua figlia, e il sorriso della piccola Martina che cresce le dà il coraggio di cambiare il suo destino. Di dire basta. Di affrontare la verità. Una verità difficile da accettare, da cui si può solo fuggire. Ma il cuore, anche se è spezzato, ferito, tormentato, sa sempre come tornare a volare. Come tornare a risplendere. Più forte che può.
Una storia profonda in cui dal dolore fiorisce la speranza. In cui l’amore fa male, ma la voglia di tornare a essere felici è più potente di tutto. Perché non c’è ferita che non possa essere rimarginata.


L'autrice racconta



Diamo il benvenuto a Sara Rattaro sul nostro sito Gli Scrittori della Porta Accanto. Tanto per rompere il ghiaccio, posso offrirti un caffè? Come lo preferisci? E, giusto per accompagnarlo con qualche chiacchiera, chi è Sara Rattaro nella vita di tutti i giorni quando non scrive?

Un caffè nero e senza zucchero, grazie.
Quando non scrivo faccio soprattutto la mamma di Samuele che ha 14 mesi.

C’è stato un momento in cui hai avvertito chiaro il bisogno di scrivere per esprimerti? Quanto è importante, prima di diventare un bravo scrittore, essere anche un buon lettore?

È una sensazione che ho da moltissimo tempo, fin da ragazzina. Scrivere mi metteva in uno stato di tranquillità e serenità come non accadeva con nient’altro. Leggere è fondamentale per scrivere e per migliorarsi.


Una domanda che forse interesserà più gli scrittori, colleghi emergenti, che aspirano a un pubblico importante. Hai iniziato con una piccola Casa editrice fino ad arrivare, l’anno scorso, al Premio Bancarella, i tuoi libri vengono tradotti in nove lingue. Cosa ti sentiresti di dire a noi emergenti, quanto conta la determinazione e quanto la fortuna? Il talento da solo è sufficiente? Come riesci a conciliare la tua passione per la scrittura, il tuo lavoro e l’essere mamma?

Il mix ideale è talento, occhi aperti per saper cogliere le bune occasioni, determinazione e tanta umiltà. A un esordiente consiglio di perseverare nella ricerca di un buon editore non a pagamento e di non farsi abbattere dalle porte chiuse.
Concilio il lavoro di mamma e di scrittrice come sa fare ogni donna ma ho imparato a farmi aiutare.

Nei tuoi libri tocchi temi importanti e delicati, come la disabilità, la sottrazione internazionale di minori e la violenza di genere. Le storie che racconti, i personaggi che descrivi, sono frutto solo della tua creatività o ti ispiri a persone reali ed eventi accaduti? In base a cosa li scegli?

Mi guida l’emozione. Alcune storie sono frutto della fantasia, altre ispirate alla realtà. Non c’è una regola o una premeditazione. Quando arriva la storia giusta non smetto di pensarci. Devo scriverla.

E ora veniamo al tuo ultimo romanzo, Splendi più che puoi, edito da Garzanti, che ho divorato con estremo trasporto. Ti ho conosciuto durante una presentazione ed è stato davvero piacevole sentirti dire del tuo incontro con Emma, la protagonista. Vuoi raccontare anche ai nostri lettori com’è nata l’idea del libro? Chi è Emma?

Emma è una mia lettrice che mi ha fermata dopo una presentazione per raccontarmi la sua storia. Una storia difficile, dura ma che sapeva di speranza, di vita, di tornare a splendere. Ho incontrato una donna come tante, intelligente, capace e indipendente che mi ha insegnato a non giudicare mai. Da fuori non si può capire perché spesso una donna si trovi a dover sopportare una situazione violenta. Per quanto per noi sia incomprensibile, un motivo c’è perché nessuna donna si cerca la violenza, nessuna donna ama vivere nel terrore e nessuna donna se la va a cercare. Dobbiamo smettere di fare il processo alla vittima.

Sono assolutamente d'accordo! Condivido la tua rabbia di fronte alla frase "se l'è andata a cercare" e il fatto che bisogni sempre indossare le scarpe degli altri prima di giudicare la loro andatura. Eppure, ci sono stati momenti in cui ho avvertito rabbia, quando Emma subiva incapace di rispondere, oltre a una infinita empatia per questa donna apparentemente fragile, in realtà forte come un giunco che si piega al vento ma non si spezza mai.



La tua scrittura è delicata, emozionale ma mai sguaiata, come se le sensazioni fossero ovattate, eleganti. Dà l’impressione che tu abilmente non abbia voluto mettere troppo di tuo, di Sara Rattaro, per lasciar rispettosamente spazio a Emma. Ma quali emozioni hai provato scrivendo di lei? Ti sei mai sentita combattuta tra il dover narrare la verità e il desiderio di dare un risvolto migliore agli eventi, intervenendo come un deus ex machina a cambiare il suo destino?

Sono stata arrabbiata per tutta la stesura ma il mio compito non è dire quello che penso, pilotare la storia o esprimere un giudizio. Io sono un mezzo, il giudizio spetta sempre al lettore. Non scrivo per dire chi sono e cosa penso, scrivo per dar vita a storie e personaggi che devono rimanere quelli che sono, solo così funzionano.


E proprio in questo sta il tuo talento, a mio avviso.
La storia di Emma è, ahimè, molto comune, o meglio, ora che la legge pare tutelare un po’ di più le vittime, stanno uscendo allo scoperto tante altre sconvolgenti vite di donne violate, ripetutamente abusate nell’indifferenza di amici e parenti che sanno ma nulla fanno per aiutarle. Ti è capitato di ricevere messaggi di altre donne vittime della stessa sorte che si siano identificate in Emma? È importante raccontare storie come questa, pensi che possa servire in qualche modo a infondere quel quid di coraggio necessario a evadere, semplice grazie alla consapevolezza di non essere sola? Uscire dalla violenza davvero si può?

Sì, ricevo tantissimi messaggi da donne che si riconoscono in Emma anche solo in una parte di quello che racconto. La verità è che nessuna donna è immune dalla violenza, anche quelle che non hanno mai riportato un livido sanno di cosa parlo. La violenza è anche la discriminazione, l’impossibilità di fare, dire quello che si vuole, di andare dove vogliamo o di vestirci come preferiamo. Siamo addestrate a non andarcela a cercare perché se ci capita qualcosa di brutto dobbiamo considerarci responsabili e vivere con il senso di colpa. Ogni donna sa di cosa parlo.
Sì uscire dalla violenza si deve uscire ma per farlo dobbiamo capire che nono ci si salva da sole e che non possiamo essere noi ad aiutare il nostro carnefice.

Quanto tempo hai impiegato a scrivere questo romanzo? Hai dovuto svolgere delle ricerche?

Non è stata una stesura lunga, circa un mese perché ho iniziato a scrivere solo dopo che la storia era tutta chiara nella mia testa. La ricerca è stata anch’essa veloce perché ahimè le leggi che tutelano i diritti della donne in Italia sono proprio poche.


Siamo giunti al termine di questa piacevole chiacchierata con Sara Rattaro. Sei una scrittrice molto prolifica, dal 2010 a oggi hai scritto cinque romanzi, praticamente uno ogni anno. Bolle già qualcosa in pentola per il 2017? In ogni caso, ti auguro di realizzare i tuoi progetti futuri e di tornare a deliziarci con il tuo stile raffinato, delicato ma intenso, emozionale.

Sì, nel 2017 arriverà un’altra storia. Parlerò di famiglia, amicizia, amore e di tutti i non detti che riempiono gli spazi bianchi delle relazioni famigliari.



Stefania Bergo
Non ho mai avuto i piedi per terra e non sono mai stata cauta. Sono istintiva, impulsiva, passionale, testarda, sensibile. Scrivo libri, insegno, progetto ospedali e creo siti web. Mia figlia è tutto il mio mondo. Adoro viaggiare, ne ho bisogno. Potrei definirmi una zingara felice. Il mio secondo amore è l'Africa, quella che ho avuto la fortuna di conoscere e di cui racconto nel mio libro.
Con la mia valigia gialla, StreetLib collana Gli scrittori della porta accanto (seconda edizione).
Mwende. Ricordi di due anni in Africa, Gli scrittori della porta accanto Edizioni.
La stanza numero cinque, Gli scrittori della porta accanto Edizioni.
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