Gli scrittori della porta accanto
Distopico
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Recensione: Il ministero della bellezza, di Marco Lazzarotto

Recensione: Il ministero della bellezza, di Marco Lazzarotto

Recensione: Il ministero della bellezza, di Marco Lazzarotto

Libri Recensione di Giulia Mastrantoni. Il ministero della bellezza di Marco Lazzarotto (Las Vegas). La bellezza come condizione necessaria per avere potere: un romanzo che è una denuncia sociale, l’iperbole di ciò che avviene ogni giorno sui social e nelle scuole.

Vorrei inserire una piccola nota di avvertimento: Il ministero della Bellezza è un romanzo estremamente interessante e ben scritto, i cui temi principali potrebbero risultare difficili da digerire per tutti coloro che hanno difficoltà a piacersi. Infatti, il romanzo di Marco Lazzarotto è una distopia che racconta le conseguenze dell’ascesa al potere degli esponenti della Callistocrazia, una forma di governo basata sul presupposto che i più belli devono essere anche i più potenti. In questo senso, i temi del romanzo sono intensi, difficili, ma affrontati con grande maestria.

Il ministero della Bellezza è, a mio parare, un romanzo molto attuale, che mostra le dinamiche sulle quali si basano molti aspetti della nostra società.

Il romanzo inizia con l’ascesa al potere del neoministro Domenico Ardemagni, un parrucchiere particolarmente in voga, un genio indiscusso del capello. L’orientamento politico di Ardemagni è semplice: lungo, riccio e biondo. Il capello, s’intende. I risultati della Callistocrazia instaurata da Ardemagni sono subito visibili: il ministero della Bellezza viene incoraggiato a ispezionare edifici e cittadini in cerca di tutto ciò che ha un aspetto “inadeguato”.
È chiaro che non c’è una vera definizione del concetto di “inadeguatezza”: la pancia rilassata, la casa disordinata, una maglietta macchiata, il pigiama démodé. È tutto “inadeguato”, per un motivo o per un altro. La normalità di una mattinata trascorsa in pigiama a lavorare al PC non ha alcun posto nella Callistrocrazia, perché solo ciò che è bello ha diritto di esistere in questa società “meravigliosa”.

D’altra parte, il primo articolo della costituzione parla chiaro: «L’Italia è una repubblica callistocratica fondata sulla bellezza».

Lo scrittore Matteo Labrozzo, protagonista di Il ministero della Bellezza, è uno dei pochi che osa opporsi alla Callistocrazia. La sua compagna, Lisa, si unisce a Matteo nel manifestare contro Ardemagni, ma fermare la diffusione di una bellezza omologata e pre-approvate è difficile. In fin dei conti, è confortante sapere che sarai ben accolto in società se hai il taglio di capelli giusto: rende tutto più semplice, no?
La vera forza del romanzo di Lazzarotto sta nella denuncia sociale che viene fatta, pagina dopo pagina, capitolo dopo capitolo. Le dinamiche della Callistocrazia che Lazzarotto descrive non sono che un’iperbole di ciò che avviene ogni giorno su Instagram, TikTok, nelle aule delle scuole italiane. Sei bello? Avrai successo, amicizie, like. Sei brutto? Sarai solo, isolato e denigrato. In questo senso, Il ministero della Bellezza non è un lavoro di fantasia, ma un’esortazione all’analisi approfondita e consapevole di quello che abbiamo intorno. Viviamo in una società che, nonostante i progressi fatti, ancora ci chiede di conformarci a un’ideale di bellezza poco realistico, estremista e non salutare. Ma rendersene conto è difficile e opporsi lo è ancora di più.
Consiglio vivamente la lettura di Il ministero della Bellezza, se non altro per esplorare la possibilità, molto reale, che un giorno vivremo in una Callistocrazia legittimata da leggi. È importante che i lettori si avvicinino al romanzo di Marco Lazzarotto con la consapevolezza che suscita reazioni profonde. Buona lettura.


Il ministero della bellezza

di Marco Lazzarotto
Las Vegas
Distopico
ISBN 978-8831260121
Cartaceo 14,25€
Ebook 4,19€

Quarta

La chiamano Callistocrazia, il governo dei più belli. Sembra uno scherzo, all’inizio, ma in poco tempo quella attuata dal neoistituito ministero della Bellezza diventa la più grande riforma della Repubblica italiana: ogni gerarchia – dalla coda al supermercato alle più alte cariche dello Stato – viene stabilita in base a canoni estetici. Per i brutti è l’inizio di un vero e proprio incubo. Matteo Labrozzo, giovane scrittore emergente che non si è mai preoccupato abbastanza delle sue maniglie dell’amore e della propria calvizie incipiente, vede la sua vita stravolta: l’editore che aveva creduto in lui rifiuta il suo nuovo romanzo; il rapporto con la fidanzata Lisa s’incrina; il centro storico della sua città gli è precluso, a meno che non indossi in testa un elegante sacchetto per il pane; ovunque vada, individui in camicia bianca lo perseguitano per il suo abbigliamento poco curato. Matteo però non intende soccombere e, a modo suo, cercherà di resistere alla patinata dittatura della bellezza.




Giulia Mastrantoni
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Recensione: 2084, di Çlirim Muça

Recensione: 2084, di Çlirim Muça

Recensione: 2084, di Çlirim Muça

Libri Recensione di Elena Genero Santoro. 2084 di Çlirim Muça (La Vita Felice). Un futuro distopico di coercizione telematica: «Se ci arriveremo vivi, saremo stati totalmente formattati. E felici».

Il riferimento a 1984 di George Orwell è fin troppo esplicito.
Çlirim Muça, autore di origine albanese che ho già avuto modo di apprezzare in passato, ci propone una versione un po’ più corposa e sviluppata di quello che era il suo racconto Goldman Sang.


E proprio a 1984 si riferisce il compianto Giulietto Chiesa nella prefazione a questo romanzo breve.
Siamo dunque nel 2084, in un mondo post apocalittico e particolarmente evoluto, con un unico governo, un nuovo ordine mondiale, un’unica moneta, un benessere diffuso, ma un debito pubblico da ripianare donando sangue. È proprio al centro trasfusioni che lavora Gentile, il protagonista di questa storia, che si attiene alle regole, convinto di mettersi a servizio di una causa benefica.
Sua moglie Eva, che cinque anni prima ha partorito prematuramente un bambino morto, vive al centro di raccolta del latte materno, il Merril Milk. Dopo la perdita del figlio ha deciso di continuare a donare il suo latte per i bambini bisognosi, quindi vive lì, in clinica. Ma è sempre più emaciata e sofferente. Gentile la può incontrare solo una volta la settimana, dopo aver ottenuto tutte le autorizzazioni dalla severissima Pargol Police.

In questo mondo iper regolamentato, in cui Gentile segue il flusso come tutti gli altri, accadono un paio di episodi che incrinano le sue certezze.

Fino a quel momento non si era posto domande, non si era chiesto se fosse giusto che persino gli incontri con sua moglie venissero decisi da qualcun altro. Si vede che ogni possibile dubbio era morto annegato nell’illusione che quello fosse comunque il migliore dei mondi possibili. Le domande iniziano in seguito, dopo un fatto di sangue che le televisioni descrivono come un attentato, e dopo che Gentile è entrato in contatto con persone meno omologate di lui, che si pongono in maniera critica nei confronti della realtà che hanno intorno e che anzi, cercano di sottrarsi al controllo.
Ma è solo nei capitoli finali che Gentile capisce cosa c’è dietro. Fino a quel momento ha sopportato ogni atto di cinismo e prevaricazione che viene perpetrato nei suoi confronti.

Sono reduce dalla visione del docufilm The social dilemma di Netflix e trovo che sia in linea anche con la prefazione del 2018 di Giulietto Chiesa.



Se in 1984 la coercizione era essenzialmente fisica, brutale, in 2084 di Çlirim Muça i mezzi di correzione fisica sono limitati (non del tutto assenti). Il controllo è quasi essenzialmente telematico: in 2084 ogni abitante è dotato di un chip che traccia ogni suo movimento e forse ogni suo pensiero. Ma non dobbiamo arrivare al 2084 e al chip sotto pelle per essere tracciati. Bastano i social media. Siamo già più che sotto controllo, il 2084, per certi versi, è già qua. Ma, come dicevo poc’anzi, questo controllo non ha il sapore di una coercizione, ma di un contorno rassicurante e piacevole. Il controllo è un'incantevole seduzione. Dai social media siamo tutti più o meno dipendenti, sono creati apposta per far rilasciare dopamina dal nostro cervello: questo viene confermato anche nel docufilm di Netflix.
Il finale di 2084, che non voglio anticipare, dà una spiegazione tragica e disumana (distopica?) alla necessità di tanto controllo. Si spera di non arrivare mai lì, ma forse, come fa notare ancora una volta Giulietto Chiesa, non siamo nemmeno troppo lontani.


2048

2048

di Çlirim Muça
La Vita Felice
Distopico
ISBN 978-8893464345
cartaceo 10,00€

Sinossi

«Çlirim scrive tenendo d'occhio permanentemente il mainstream contemporaneo. Probabilmente nel 2084 sarà di gran lunga peggiore di quello odierno. Se ci arriveremo vivi, saremo stati totalmente formattati. E felici, come Gianroberto Casaleggio profetizzava per la metà del secolo XXI, quando tutti gli abitanti del pianeta sarebbero diventati cittadini di Google e avrebbero realizzato la democrazia universale, schiacciando pulsanti con il "sì" e il "no" già impostati su una nuova tastiera.» (dalla prefazione di Giulietto Chiesa)
Elena Genero Santoro

Elena Genero Santoro
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Recensione: L'isola delle madri di Maria Rosa Cutrufelli

Recensione: L'isola delle madri di Maria Rosa Cutrufelli

Recensione: L'isola delle madri di Maria Rosa Cutrufelli

Libri Recensione di Davide Dotto. L'isola delle madri di Maria Rosa Cutrufelli (Mondadori). Il resoconto di una civiltà allo zenit di qualsiasi progresso, vinta dallo spettro di una inflessibile infertilità.

Questo è solo l'inizio. La terra ha la memoria lunga: noi inquiniamo oggi e lei si vendica domani. Noi la nutriamo col veleno e lei lo infiltra nei geni, lo regala a chi non è ancora nato.
Maria Rosa Cutrufrelli, L'isola delle madri
L’isola delle madri di Maria Rosa Cutrufelli impone qualche riflessione sul genere cui appartiene.
L’universo distopico, dal punto di vista del lettore, spesso indica un mondo alla rovescia, nato però dagli sviluppi, dalle cause e concause di quello a noi vicino.

Il futuro più indesiderato è stato immaginato da importanti scrittori. 

Per gli anni '20 abbiamo Evgenij Ivanovič Zamjatin (Noi); nel decennio successivo incontriamo l'universo visionario e asettico di Aldous Huxley (Il mondo nuovo). È degli anni ’40   il romanzo che ha reso famoso George Orwell (1984).
Le predizioni non sono mai le stesse, eppure molto le accomuna, anche quando si attenua quel minimo scarto temporale che il genere esige: è il caso – volendo – di  Sottomissione, di Michel Houllebecq, pubblicato nel 2015 e ambientato, suppergiù, nel 2022.

L'isola delle madri di Maria Rosa Cutrufelli richiama  I figli degli uomini, un film di Alfonso Cuaròn del 2006.

Quindi città senza figli e senza madri, immerse in un silenzio irreale, scosse dal boato improvviso di attentati terroristici, e dallo spauracchio di un avvenire dissipato, modesto nelle prospettive.
La civiltà, allo zenit di qualunque progresso, è vinta dallo spettro di un’inflessibile infertilità.
L'angoscia si proietta sull'avvenire, il presente si fa epilogo di un passato inascoltato che non ha mancato di avvisare,  invitare a cambiare rotta e, forse, natura. Ma è proprio dal passato che si fanno strada sogni e utopie a oltranza che hanno prodotto e producono i loro danni.
Già Huxley (Il mondo nuovo) ci suggerisce quanto poco piacevole sia un mondo che risolva in maniera egregia qualunque emergenza planetaria, a scapito di ciò che rende umano un essere umano.

Siamo in un'Europa da noi non troppo distante. Il caos climatico, che la devasta, causa povertà, migrazioni, esuli e tendopoli.

Si procede per un doppio binario. Come non si fosse giocato d'azzardo abbastanza, vi  sono rotaie in cui corre un'umanità lungi dallo smentirsi quanto a spirito, motivazioni, atteggiamenti.
In altre direzioni conducono, invece,  le voci femminili, a rappresentare il punto di vista privilegiato del romanzo, da cui storie che si alternano a domande che puntano il dito contro la dimensione patriarcale e riminiscenze della Grecia antica in apparenza insuperabili.
Arduo mettere da parte  le intromissioni a vario titolo sulla maternità, le regole che da sempre  statuiscono – per le dirette interessate – l'impossibilità di far valere la peculiarità del vissuto personale.
[...] dopo la nascita si rischiano continue interferenze che rendono difficile il ruolo genitoriale. Tutte fanno a gara a chi è più mamma e le liti sono all'ordine del giorno. A scapito del bambino. "Che non è un trofeo di caccia!"
 Maria Rosa Cutrufelli, L'isola delle madri
Tuttavia insistono, fra mille espedienti, nel preservare, «ricucire gli strappi» e riguadagnare un presente non privo di radici, retaggi in grado di sostenerlo e tramandarlo: «per esistere, per avere la giusta consapevolezza di  te, devi possedere una storia che ti precede (e che ti continui)»
Grazie a loro, nemmeno in questo frangente l’umanità si arrende. Alla paura del vuoto rispondono strappando attimi di normalità disperata.

L'isola delle madri

di Maria Rosa Cutrufelli
Mondadori
Distopico
ISBN 978-8804722328
Cartaceo 15,30€
Ebook 9,99€

Sinossi 

In un mondo sconvolto dal mutamento climatico e definitivamente avvelenato dagli uomini, in un futuro non troppo lontano, un morbo si è diffuso fino a diventare una vera pandemia: la chiamano "malattia del vuoto" ed è l'incapacità di riprodursi, la sterilità. Per avere un domani, l'umanità è costretta a ricorrere in forme sempre più pesanti alle biotecnologie. La società si divide in due fazioni contrapposte che si combattono furiosamente: da una parte ci sono gli "uomini della scienza", dall'altra gli "uomini della vita". Ma le donne da che parte stanno? In mezzo al Mediterraneo c'è un'isola conosciuta fin dall'antichità come l'Isola delle madri, e su questo lembo di terra sorge la Casa della maternità, un posto speciale che non è solo una clinica come tante altre, ma anche un centro di ricerca dove si tenta di sconfiggere la malattia del vuoto e in cui prende forma un nuovo modo di spartirsi i tradizionali ruoli familiari. Livia, Mariama e Kateryna hanno storie profondamente diverse e sono cresciute in paesi lontani, ma ognuna di loro - chi per lavoro, chi per mettersi al riparo da una guerra, chi spinta dall'onda lunga dell'emigrazione - è destinata ad approdare sull'isola. Una volta sbarcate, le loro vite si intrecciano inevitabilmente, anche grazie all'intervento di Sara, la direttrice della Casa della maternità. Perché tutte e quattro devono fare i conti con lo stesso problema: la possibilità o l'impossibilità di essere madri. E i tanti modi di esserlo e di diventarlo. Romanzo visionario e terribilmente realistico al tempo stesso, L'isola delle madri è una riflessione necessaria sui cambiamenti che il surriscaldamento globale e le biotecnologie riproduttive provocheranno negli uomini e nelle società, ma è anche un luminoso inno alla vita, che ripone ogni speranza nella capacità delle donne di parlarsi, unirsi, lottare e costruire insieme.
Davide-Dotto

Davide Dotto
Sono nato a Terralba (OR) vivo nella provincia di Treviso e lavoro come impiegato presso un ente locale. Ho collaborato con Scrittevolmente, sono tra i redattori di Art-Litteram.com e curo il blog Ilnodoallapenna.com. Ho pubblicato una decina di racconti usciti in diverse antologie.
Il ponte delle Vivene, Ciesse Edizioni.
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Recensione: Il mondo nuovo, di Aldous Huxley

Recensione: Il mondo nuovo, di Aldous Huxley

Recensione: Il mondo nuovo, di Aldous Huxley

Libri Recensione di Davide Dotto. Il mondo nuovo di Aldous Huxley (Mondadori). Racconto della tanto desiderata utopia nella quale è mostruoso vivere.

Le parole possono essere paragonate ai Raggi X; se si usano a dovere, attraversano ogni cosa. Leggi e ti trapassano.
Aldous Huxley, Il mondo nuovo
Il mondo nuovo di Aldous Huxley è un libro che non si può conoscere solo per averne sentito parlare.
Esce nel 1932, prima dell’elezione di Hitler e di Stalin. Già allora premono problemi irrisolti, in particolare l'inarrestabile incremento demografico che, a partire dal XIX secolo, causa un mondo più affollato e stretto.
La Londra di Huxley è retta da una tirannide non violenta, cui manca un tangibile apparato giudiziario. Lo rende superfluo il condizionamento di tipo pavloviano, attuato con metodi ingegnosi, per esempio i «corsi notturni di insegnamento ipnopedico».
La condotta richiesta, introdotta macchinalmente, è universalmente accettata. La tecnica del controllo sociale si realizza in seno alla società civile stessa: perfetta, sterilizzata, «immacolata e disumana», preserva dal fardello delle emozioni, organizzata attraverso una rigorosa e scientifica standardizzazione genetica. Qualcosa di simile si racconta in Equals, film del 2016 di Drake Doremus.

Il mondo nuovo è la tanto desiderata utopia nella quale è mostruoso vivere.

Se il Novecento – precisa Huxley nel saggio Ritorno al mondo nuovo - è stato l’epoca del massimo disordine, il romanzo racconta l’incubo dietro il massimo ordine retto da una tecnologia che risolve (in maniera abominevole) molte delle emergenze planetarie, a scapito però delle libertà dell’essere umano.
Vi sono sale di fecondazione, di imbottigliamento e travasamento, incubatori con provette numerate. Il processo Bakanovski fa nascere decine di esseri umani dove un tempo nasceva un individuo soltanto, produce gemelli identici a dozzine da impiegare in lavori specializzati, ingranaggi collaudati di un sistema standardizzato.
Ciononostante, tra le pagine si muove più di un personaggio anomalo. Curiosi i nomi: si accostano tra gli altri un Bakunin a un Trotsky, un Marx (Bernard) a un Engels, una Rothschild a una Lenina, forse a preannunziare le derive ideologiche del Novecento.

Più di qualcuno lascia affiorare tracce di una singolarità latente incapace di essere portata a compimento.

«Io sono e  vorrei non esserlo» si lamenta Bernard. Mancano però gli strumenti – linguistici ancorché concettuali – perché tali momenti spicchino nel mucchio.
In Bernard, inconsapevole e labilissimo Amleto, si percepisce sofferenza ma non ribellione. Infatti, appena può, coglie al balzo l’inaspettata opportunità di essere ammesso alla cerchia del gruppo al quale comunque  appartiene, abbandonando i margini in cui è relegato.
Lenina, invece, non coglie la chiara introspezione dell’uomo, né avverte i fragili segni di una umanità sepolta: quella dei sentimenti ambivalenti e perciò  difficili da esprimere e recepire.
Entrambi difettano del pensiero critico - non è stato loro insegnato. Pur volendo, le idee eversive non possono attecchire. Ciascuna impresa in tal senso è una battaglia persa.
Senza dubbio è una società produttivistica sui generis. Intralcia occupazioni che scoraggiano i consumi. La cultura – il «rimanere seduti a leggere libri» – è una pratica sgradita; la Storia, nel raccogliere fatti, usi e costumi, inconcepibile con il Mondo Nuovo, «è tutta una sciocchezza». Non godono maggior fortuna la filosofia, le opere d’arte e la letteratura. Non vi sono monumenti, scrittori, né lettori. Danno scandalo il rapporto filiale, le unioni sentimentali stabili, il focolare domestico.


Chi proviene dall'esterno – come John –  non può che essere un selvaggio, anche se declama Shakespeare, ha una famiglia o quel che resta: una madre. 

Se all'inizio è un fenomeno da baraccone, si mostra assai pericoloso nel momento in cui rivendica il diritto di essere libero e infelice:
«Ma io non ne voglio di comodità. Io voglio Dio, voglio la poesia, voglio il pericolo reale, voglio la libertà, voglio la bontà. Voglio il peccato.»
«Insomma» disse Mustafà Mond, «voi reclamate il diritto all’infelicità».
Aldous Huxley, Il mondo nuovo
L’ambiente in cui John (il Selvaggio) si trova è troppo sterile. Lenina, alla quale parla con ardore, non capisce  la maniera di esprimersi e ne è scandalizzata. Gli offre, in risposta, uno sguardo ostinato. Bernard medesimo lo considera pazzo nell'udire strani discorsi:
Non volete dunque essere liberi e uomini, non comprendete neppure cosa sia lo stato d’uomo e la libertà.
Aldous Huxley, Il mondo nuovo

Costruire simmetrie tra il nostro presente e la realtà immaginata da Huxley è forzato.

Per alcuni versi la nostra società, pericolosamente indietro, mette a dura prova la fantasia che corre molto più velocemente della storia degli uomini, preconizzando un futuro di mondi sconosciuti da scoprire o popolato da androidi. L'attuale 2019 è l’epoca di uomini pre-moderni, quella che appronta soluzioni che non sono soluzioni e non chiudono nessun cerchio; lontano anni luce dal 2019 ugualmente spaventoso rappresentato dal Blade Runner di Ridley Scott.


Il mondo nuovo di Aldous Huxley

Il mondo nuovo

di Aldous Huxley
Mondadori
Distopico
ISBN 978-8804670520
Cartaceo 11,90€

Sinossi 

Scritto nel 1932, "Il mondo nuovo" è un romanzo dall'inesausta forza profetica ambientato in un immaginario stato totalitario del futuro, nel quale ogni aspetto della vita viene pianificato in nome del razionalismo produttivistico e tutto è sacrificabile a un malinteso mito del progresso. I cittadini di questa società non sono oppressi da fame, guerra, malattie e possono accedere liberamente a ogni piacere materiale. In cambio del benessere fisico, però, devono rinunciare a ogni emozione, a ogni sentimento, a ogni manifestazione della propria individualità. Al romanzo seguono la prefazione all'edizione 1946 del "Mondo nuovo" e la raccolta di saggi "Ritorno al mondo nuovo" (1958), nelle quali Huxley tornò a esaminare le proprie intuizioni alla luce degli avvenimenti dei decenni centrali del novecento. Con una nota di Alessandro Maurini.
Davide-Dotto

Davide Dotto
Sono nato a Terralba (OR) vivo nella provincia di Treviso e lavoro come impiegato presso un ente locale. Ho collaborato con Scrittevolmente, sono tra i redattori di Art-Litteram.com e curo il blog Ilnodoallapenna.com. Ho pubblicato una decina di racconti usciti in diverse antologie.
Il ponte delle Vivene, Ciesse Edizioni.
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Recensione: Masterdeath, di Gabriele Morandi

Recensione: Masterdeath, di Gabriele Morandi

Recensione: Masterdeath, di Gabriele Morandi

Libri Recensione di Davide Dotto. Masterdeath di Gabriele Morandi (Intrecci edizioni). Dieci concorrenti devono eliminarsi a vicenda rispettando le leggi dell’audience, in una storia non priva di mordente che avrebbe forse bisogno di un numero maggiore di pagine per convincere appieno.

Bene, quest’uomo aveva risolto il dilemma. Masterdeath era la via d’uscita, l’unico modo per far sì che persone perbene come quel poliziotto non dovessero più tormentare la propria anima. Dahmer aveva avuto un’idea davvero straordinaria: gli assassini devono essere uccisi da altri assassini! Ed è esattamente quello che avverrà nello show che andrà in onda la prossima settimana.
Gabriele Morandi, Masterdeath
Ambientato negli Usa, paese «con il triste primato dei delitti seriali», Masterdeath di Gabriele Morandi racconta in che modo la storia di un romanziere, del resto non originale, venga trasposta in un reality show. Nulla di strano se non per i concorrenti che vi partecipano: dieci killer che richiamano i Dieci piccoli indiani di Agatha Christie.
Oltre a loro vi è una nutrita quantità di personaggi a tenere in piedi uno spettacolo per niente facile, tra cui lo scrittore-regista Francis Dahmer – da cui tutto sembra avere inizio – Veronica Manson, la conduttrice che lotta per la propria personale visibilità. Sullo sfondo il pubblico da accontentare e intrattenere.

I dieci dovranno eliminarsi a vicenda, (preferibilmente non in fascia protetta), rispettando le leggi dell’audience, all'inseguimento disperato del colpo di scena a ogni costo. 

Il tutto nella logica di una cinica arena odierna con tanto di pollice verso a comando.
Vi sono gli elementi consueti: alleanze, strategie orientate all'ineludibile epilogo. Come da tradizione non manca il cattivo gusto (trash), amalgamato nel macabro: «Dobbiamo brindare al primo dei nostri ultimi giorni di vita» oppure «Benvenuti al gran finale di Masterdeath. Prego signori, uccidetevi pure!»
Vi è un paradosso da non passare sotto silenzio. Se lo show permette a persone oneste di non sporcarsi le mani e dormire sonni tranquilli, lo stesso è avvelenato da un discutibile compiacimento popolare. Inoltre i concorrenti sono istigati a reiterare un delitto per il quale hanno ricevuto la propria condanna inappellabile.


Masterdeath di Gabriele Morandi si esprime in tutta la sua forza nel momento in cui la situazione sfugge al controllo. 

Difficile mantenerlo in presenza di ingredienti a dir poco esplosivi: le condizioni estreme del gioco scatenano tra i superstiti un comprensibile istinto di conservazione incompatibile con regole, direttive, istruzioni.
Si riscontra più di un limite nella linearità della narrazione.
Numerosi punti di vista degli osservatori esterni producono una moltiplicazione spropositata delle reciproche interrelazioni. Complicano il quadro i nomi fittizi aggiunti a quelli reali dei concorrenti.  Il tempo del racconto, piuttosto spezzettato, genera a tratti disallineamento e disarmonia.
Un peccato, perché il romanzo è un Boeing chiamato a decollare da una pista insufficiente: viene detto troppo in uno spazio ristretto. Un numero doppio di pagine avrebbe  – forse – consentito di distribuire meglio una storia di certo non priva di mordente, valorizzando le sue parti, digressioni e flash back inclusi.


Masterdeath di Gabriele Morandi

Masterdeath

di Gabriele Morandi
Intrecci edizioni
Distopico | Thriller
ISBN 978-8899550875
Cartaceo 13,76€

Sinossi

Un reality show, un gioco perverso e mortale. Dieci serial killer rinchiusi in una casa e costretti a eliminarsi l'uno con l'altro. Il premio la libertà. Tra studi televisivi, registi scontrosi, senatori cinici, soubrette in cerca dell'affermazione definitiva, poliziotti sospettosi e serial killer paranoici, Masterdeath promette di essere una storia che terrà i lettori incatenati fino all'ultima pagina col fiato sospeso.

Davide-Dotto

Davide Dotto
Sono nato a Terralba (OR) vivo nella provincia di Treviso e lavoro come impiegato presso un ente locale. Ho collaborato con Scrittevolmente, sono tra i redattori di Art-Litteram.com e curo il blog Ilnodoallapenna.com. Ho pubblicato una decina di racconti usciti in diverse antologie.
Il ponte delle Vivene, Ciesse Edizioni.
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Recensione: L'uomo in fuga, di Stephen King

Recensione: L'uomo in fuga, di Stephen King

Recensione: L'uomo in fuga, di Stephen King

Libri Recensione di Stefania Bergo. L'uomo in fuga di Stephen King (Sperling&Kupfer). Un romanzo dell'82 talmente profetico e geniale da far venire i brividi. Rimescola le viscere inaspettatamente: semplice distopico o fotografia dei giorni nostri?

Con Stephen King non è stato amore a prima vista. Ho letto un primo libro scritto a quattro mani con Richard Chizmar, La scatola dei bottoni di Gwendy, un racconto psicologico di quello che a tratti pare un esperimento sociale, adatto anche ai giovani lettori. Ho proseguito con Colorado Kid, che ho trovato ripetitivo e deludente. Poi ho scelto L'uomo in fuga. E questa volta ho fatto centro!


L'uomo in fuga narra di un futuro distopico prossimo che si colloca, ora, molto vicino a noi.

I poveri – che vivono in ghetti periferici degradati e pericolosi – sono sempre più poveri, analfabeti e malati, i ricchi – che abitano le città – sempre più ricchi e annoiati.
L'aria è talmente irrespirabile che chi se lo può permettere, indossa filtri nasali e chi non può farlo muore di malattie polmonari in tenera età, perché acquistare farmaci è proibitivo, anche al mercato nero.
Ma in ogni casa, anche la più miserabile, c'è la tri-vu, obbligatoria e gratuita. Spegnerla non è ancora fuori legge, ma lo sarà presto. Perché la tri-vu, o meglio, la Rete che attraverso la tri-vu entra nelle case, più che la religione, è l'oppio dei popoli, che diventano facilmente ammaestrabili. I giornali non esistono più, infatti, sono cimeli da collezione venduti in nero, e i libri sono ad appannaggio dei ricchi – un meccanismo cristallino, impeccabile, collaudato, no? E la censura dell'informazione arriva fino a negare il problema ambientale, nascondendo a chi non ha accesso a un'istruzione superiore le cause delle loro stesse malattie. E per sigillare l'inganno, vengono liberalizzati e incoraggiati alcol, droga e pornografia, le perversioni.
[...] tutti sapevano che il vizio era il deterrente ideale contro qualsiasi reale movimento rivoluzionario.
Stephen King, L'uomo in fuga

Richards è uno di questi poveracci. Sposato con Sheila, ha una bambina di sei anni con la polmonite e non si può permettere nemmeno un'aspirina per curarla. 

La moglie batte le strade per pochi spiccioli mentre lui non è in grado di trovare lavoro, dato che l'unica azienda a fornirlo, la General Atomics, lo ha licenziato per insubordinazione. Un'azienda che non ha alcuna tutela per i suoi dipendenti e li espone alle radiazioni, rendendoli sterili e contro cui Richards, il ribelle, si è scagliato. L'insubordinazione e la sfrontatezza di Richards, quella di un giovane uomo che troppo a lungo ha dovuto accettare un mondo cinico e degradante, scevro d'opportunità per chi è nato dalla parte sbagliata del Canale, saranno il suo combustibile e gli varranno l'odio e la stima di altri personaggi nel corso della storia.


Nel futuro distopico del 2025 l'unico modo per tirare a campare per gli ultimi è partecipare ai Giochi: sadici reality show, alla stregua delle arene del passato, in cui i concorrenti muoiono davvero, si sacrificano, in modo che la famiglia possa intascare del denaro.

La probabilità di sopravvivere è infatti nulla. Perché al pubblico non interessano i sopravvissuti, vuole il sangue, vuole vedere morto l'inutile malato terminale o il violento criminale che merita di essere trucidato o lo straccione che non ha voglia di lavorare e cerca soldi "facili". Scavati la fossa, Pistole allegre, Macinadollari, Al bagno col coccodrillo, Uomo in fuga, sono solo alcuni dei Giochi che intrattengono un pubblico fomentato dai conduttori televisivi. Perché se da un lato si arriva all'assurdo della morte reale, in diretta, per intrattenere il pubblico, dall'altro paradossalmente si arriva a solleticarne l'interesse con la finzione. Uno stato non può legalizzare la morte in questo modo, a meno che il cadavere non se la meriti. Non più vittima, ma colpevole.
La foto era stata ritoccata, si accorse Richards, in maniera che gli occhi gli apparissero più infossati, la fronte più bassa, le guance più scarne. Alla bocca era stata data un'espressione di scherno, grazie a qualche colpo di pennello. Nel complesso, il Richards del monitor era un'immagine terrificante: un angelo della morte, brutale, non molto intelligente ma in possesso di una certa astuzia primitiva, animale. Lo spauracchio del borghese dei quartieri alti.
Stephen King, L'uomo in fuga

Dopo accurata selezione, i concorrenti vengono assegnati ai Giochi. A Richards tocca Uomo in fuga, il reality più seguito, in cui tutti, dai poliziotti alla gente comune, si trasformano in Cacciatori.

I poliziotti hanno il compito di uccidere il concorrente, mentre chiunque ha il dovere di denunciare il suo avvistamento, in cambio di un'allettante somma di denaro. Un modo per responsabilizzare il cittadino, per fargli prendere posizione contro un nemico pericoloso, colpevole di uccidere rabbiosamente bravi padri di famiglia.
«Siete un nemico della Rete», disse, «L'ha detto la tri-vu. Ho visto alcune di quelle cose orribili che avete fatto.»
Stephen King, L'uomo in fuga
Eppure, tra tanta gente ipnotizzata, fortunatamente c'è ancora qualcuno che pensa fuori dalla scatola e vede chiaramente il disegno di chi tesse la tela...

Non è il classico horror di Stephen King, L'uomo in fuga. Fa riflettere molto, rimescola le viscere inaspettatamente, può essere letto come un semplice distopico o come una fotografia dei giorni nostri.

E forse è proprio questo a conferirgli il suo leitmotiv inquietante.
«[...] Volete distruggere il nostro paese. Perché non vi cercate un lavoro decente? Perché siete troppo pigri! Sapete solo sputare in faccia a tutto ciò che è per bene.»
[...] «Se siete così per bene, come mai avete seimila nuovi dollari per comprarvi questa bella macchina, mentre la mia bambina muore d'influenza?»
Stephen King, L'uomo in fuga
È un romanzo psicologico, i personaggi sono superbamente caratterizzati e delineati. La trama è geniale, assolutamente non scontata, si legge avidamente. Il testo è suddiviso in capitoli brevi che rappresentano un conto alla rovescia che non si accorda con i giorni, ma che scandisce il tempo della narrazione stessa e lo anima, rendendo la lettura a tratti claustrofobica. Un conto alla rovescia che accompagna al colpo di scena finale, sottolinea la genesi di un'idea che matura tra le pagine, quasi assieme al lettore.
Leggetelo, ve lo consiglio.
«Lo sapete cos'è veramente orribile? [...] È orribile che uno venga licenziato perché non vuole lavorare per la General Atomics, e diventare sterile. È orribile rimanere a casa a guardare la propria moglie che manda avanti la famiglia battendo il marciapiede. È orribile sapere che la Rete uccide milioni di persone ogni anno con l'inquinamento atmosferico, mentre potrebbero fabbricare filtri nasali a sei dollari l'uno.»
«Non è vero», disse la donna.
[...] Un senso di disperazione lo riempì come un'acqua gelida. Non c'era alcun canale di comunicazione con quella gente privilegiata. Vivevano in un'atmosfera superiore, rarefatta.
Stephen King, L'uomo in fuga

L'uomo in fuga

di Stephen King
Sperling & Kupfer - Pickwick
Distopico | Thriller
ISBN 978-8868361198
Cartaceo 8,41€
Ebook 7,99e

Sinossi

Ben Richards decide di partecipare alle selezioni per "L'Uomo in fuga", un sadico e famosissimo show televisivo in cui il protagonista, braccato dai cacciatori della Rete e da chiunque lo riconosca, guadagna cento dollari per ogni ora di sopravvivenza e, se è fortunato ed è ancora vivo allo scadere dei trenta giorni concessigli, un miliardo di dollari. Ben, che vuole quei soldi per curare la figlia malata, supera le selezioni... Stephen King pubblicò questo romanzo, e altri quattro titoli, con lo pseudonimo di Richard Bachman.


Stefania Bergo
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Recensione: Reset. L'alba dopo il lungo freddo, di Claudio Secci

Recensione: Reset. L'alba dopo il lungo freddo, di Claudio Secci

Recensione: Reset. L'alba dopo il lungo freddo, di Claudio Secci

Libri Recensione di Elena Genero Santoro. Reset. L'alba dopo il lungo freddo di Claudio Secci (Watson Edizioni). Cosa accadrebbe se il mondo che conosciamo fosse destinato a terminare? Se un asteroide stesse per scontrarsi contro il nostro pianeta?

È quello che si chiede Claudio Secci, autore di Reset. L’alba dopo il lungo freddo, scegliendo però un punto di vista molto particolare.
Tim è un canadese in carcere da quasi un decennio per un delitto che non ha mai commesso. È destinato a restarci ancora a lungo e non ha più voglia di vivere. La prima parte della narrazione mette in luce proprio l’abulia del protagonista, le difficoltà che riscontra e soprattutto la sua enorme demotivazione. Ma proprio mentre Tim è in carcere iniziano a girare delle voci, la televisione viene tenuta spenta per un certo periodo, i detenuti vengono mantenuti deliberatamente all’oscuro di tutto, eppure le notizie si diffondono lo stesso: la fine del monto è vicina. Un asteroide sta per schiantarsi contro la superficie terrestre, l’impatto non sarà catastrofico per il pianeta, ma son previste gravi conseguenze climatiche.


Da quel momento l’approccio di Tim si capovolge. Ora che la fine sembra vicina, si risveglia in lui un istinto alla vita che sembrava essere sopito per sempre. 

Liberato dal carcere insieme agli altri detenuti un attimo prima della catastrofe da un secondino pietoso, Tim inizia da solo un viaggio avventuroso alla ricerca di un CDP, centro di produzione, una struttura messa a disposizione dalle autorità per permettere la sopravvivenza del genere umano.
Comincia così un’avventura ricca di colpi di scena continui, una lotta per la sopravvivenza in cui capiterà veramente di tutto. Tim affronterà ogni genere di disavventura, vagherà per mesi solitario imbattendosi in animali feroci affamati, come orsi, e ogni genere di pericolo. Ma le bestie più pericolose rimangono gli uomini, abbrutiti dalla catastrofe, prostrati dalla fame, devastati dall’aria irrespirabile. Sì perché l’asteroide, a cui gli esperti hanno imposto il nome di Pathos, ha fatto sì che la Terra si riempisse di gas irrespirabili. Tim stesso gira con una maschera antigas, ma gli sfortunati che non ne sono provvisti sono destinati a morire presto. Il giorno non si distingue dalla notte, i gas coprono la luce del sole e con essa l’energia e la possibilità di coltivare. Anche chi vive nei CDP, dove ci sono riserve di cibo, sa che, se il sole non tornerà, la vita sarà destinata a scomparire. Ci si deve porre nell’attesa, nella speranza di un raggio di luce.
Eppure Pathos non ha portato solo disastri, morte e distruzione. Anzi, forse la distruzione sarebbe arrivata comunque perché, come Tim scopre, prima della sua caduta sulla Terra si stava arrivando alla Terza Guerra Mondiale. Invece grazie all’asteroide l’umanità ha dovuto riscoprire la solidarietà. Nei CDP i rapporti tra i superstiti sono, o per lo meno sembrano, impregnati di collaborazione e tolleranza.

Reset. L'alba dopo il lungo freddo di Claudio Secci non si ferma dunque al mero aspetto avventuroso della vicenda, ma va oltre, scava, pone domande. 

L’espediente del protagonista fuggito dalla prigione, che ha vissuto gli anni precedenti “fuori dal mondo” e che non è nemmeno stato formato a sopravvivere agli eventi, funziona molto bene ed è congeniale a presentare un personaggio senza preconcetti. Il lettore scopre con lui la realtà passo passo, senza anticipazioni, perché Tim in effetti deve ingegnarsi per resistere anche laddove sembra impossibile e non può basarsi su nozioni tramandate. Un punto forte della scrittura di Claudio Secci è quello di sapersi immedesimare magistralmente nel punto di vista dei suoi protagonisti.
Reset. L'alba dopo il lungo freddo è un romanzo completo, che affianca la suspense, gli intrecci sempre ben congegnati di Claudio Secci, alle riflessioni sul senso della vita e della civiltà.

Reset
L'alba dopo il lungo freddo

di Claudio Secci
Watson Edizioni
Distopico
ISBN 978-8887224207
ebook 3,49€
cartaceo 12,75€

Sinossi
Timothy Scott, canadese di mezza età, finisce in prigione per un errore giudiziario, presunto colpevole dell'omicidio della sua compagna Edith. Durante gli anni di carcere, Tim si distingue per la buona condotta e il carattere mite e sensibile ma il peso dell'inevitabile monotonia si fa sentire a tal punto da spingerlo quasi al suicidio. A salvarlo da questo stato di malessere giunge la notizia di un asteroide, il Pathos 433, che nel giro di 24 mesi dovrebbe intercettare la traiettoria della Terra. Un evento catastrofico che però sembra essere di vitale importanza per la rinascita di Tim. Si prepara all'impatto con estrema attenzione e cercando quante più informazioni scientifiche possibili. L'asteroide non da scampo al pianeta e lo colpisce con tutta la potenza possibile. Ha inizio una lunga notte che porterà distruzione e freddo. Dal momento in cui il protagonista mette piede fuori dal carcere, la Terra non sarà più la stessa e gli riserverà scenari apocalittici e un presente tutto da ricostruire.
Elena Genero Santoro

Elena Genero Santoro
Ama viaggiare e conoscere persone che vivono in altri Paesi. Lettrice feroce e onnivora, scrive da quando aveva quattordici anni.
Perché ne sono innamorata, Montag.
L’occasione di una vita, Lettere Animate.
Un errore di gioventù, 0111 Edizioni.
Gli Angeli del Bar di Fronte, Gli Scrittori della Porta Accanto Edizioni (seconda edizione).
Il tesoro dentro, Gli Scrittori della Porta Accanto Edizioni (seconda edizione).
Immagina di aver sognato, PubGold.
Diventa realtà, PubGold.
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