Gli scrittori della porta accanto
Recensione: Macbeth, di Jo Nesbø

Recensione: Macbeth, di Jo Nesbø

Recensione: Macbeth, di Jo Nesbø

Libri Recensione di Davide Dotto. Macbeth di Jo Nesbø, Rizzoli 2018. Il celebre autore norvegese riscrive in chiave crime la tragedia di Shakespeare.

«Allora, Strega» disse Ecate. «Credi che il seme che abbiamo piantato in Macbeth crescerà?»
Il vicecommissario Malcolm fissò la scena a bocca aperta. Perché sapeva che qualunque cosa fosse accaduta, in vita sua non avrebbe mai più visto qualcosa del genere. Una locomotiva che mangiava le pietre e tracciava un suo binario lungo Workers' Square. 

Calare il Macbeth di Shakespeare nella struttura di un thriller in piena regola, con tanto di inseguimenti, sparatorie, può sembrare azzardato. Alla base dell'esperimento c'è l'inaugurazione, da parte della Hogarth Press, di una collana di opere shakespeariane riscritte da alcuni dei più importanti autori dei nostri giorni.
I personaggi della tragedia originale vengono utilizzati come attori che si muovono in una scena particolare, recitando però il ruolo consueto e conservando, a parte trascurabili varianti, il nome.
Il termine usato - attori - è impreciso. I personaggi shakespeariani per loro natura sono delle maschere, dei tipi che incarnano totalmente un carattere. In quanto tali mancano sfumature, evoluzioni: Macbeth è Macbeth dall'inizio alla fine, come Re Lear è Re Lear e Otello è Otello. In una parola: sono teatro, riconoscibili una volta per tutte. Ciò può apparire incompatibile con la dinamicità propria del thriller. Il teatro nella sua staticità esige un apprezzabile sforzo di adattamento a riguardo.
C'è una figura, in particolare, che fa da perno al tutto: è l'ispettore Duff (il Macduff shakespeariano). Non è uguale a se stesso, si avverte nel corso del non breve romanzo un'evoluzione, una crescita. Per adempiere a fondo il suo compito deve per forza di cose muoversi agilmente sull'intera scacchiera delle possibilità.
Se vi è, insomma, una notevole aderenza da parte di Jo Nesbø al testo teatrale, questo non è tale da sconvolgere la struttura del romanzo uscito dalla sua penna. Cosa assai ardua perché i colpi di scena cui siamo abituati seguono altre strade - ci sono e non ci sono.

Il Macbeth di Shakespeare dà ritmo alla narrazione, siamo consci a grandi linee di quello che dovrà succedere (condizione indispensabile è aver letto/riletto la tragedia), ma ignoriamo come. 

Probabilmente è questo che ha colto alla sprovvista più di un lettore: l'ineludibilità di un mondo parallelo senza Shakespeare, dove i nomi dei personaggi evocano non quello che è accaduto (nell'Inghilterra del '600 per intenderci) ma quello che accadrà.
È inevitabile che, nel momento in cui se ne appropria riscrivendola, Jo Nesbø offra al lettore una sua interpretazione della tragedia shakespeariana. Lo si può vedere dalle libertà che si prende dove gli è consentito, accentuando per esempio il legame tra Duff e Macbeth.
Cruciale la domanda posta tra le righe: quale disegno c'è dietro? Ovvero: perché Macbeth e non un altro ha ricevuto la rivelazione del proprio destino? È una domanda da thriller che chiude la porta (a doppia e a tripla mandata) alla tragedia. Alla ineluttabilità del destino subentra il puro calcolo, la prevedibilità di un certo scenario, la logica di un caso da risolvere. Questa la forza, ma anche la debolezza del romanzo.
Viene meno infatti la drammaticità di alcune battute che non sono state espunte (si pensi a quella di Lady Macbeth «Ciò che è fatto è fatto»). Allontanate dal loro contesto diventano modi di dire, come se venissero pronunciati da altri (del resto è quello che avviene). È un paradossale corto circuito cui non si poteva ovviare, assai simile a una locomotiva che traccia da sé i suoi binari.
Concludo con una curiosità. Entro certi limiti il commissario capo Macbeth richiama il commissario Harry Hole, interpretato al cinema di recente da Michael Fassbender nella trasposizione de L'uomo di neve.


Ebbene, è una coincidenza non da poco che l'attore irlandese abbia interpretato Macbeth nella versione di Justin Kurzel del 2015.

Macbeth

di Jo Nesbø
Rizzoli
ISBN 978-8817099516
Cartaceo 17,00€
Ebook 9,99€

Sinossi
Anni '70, una città industriale sull'orlo del collasso fatta di fabbriche chiuse, disperazione, piazze di spaccio. Sotto l'eterna pioggia nera che la flagella, il poliziotto migliore che si muove per le sue strade è Macbeth. Un ex tossico, un uomo fragile dal passato turbolento, abbandonato da bambino, uno sbirro incline alla violenza. Ma è lui, con la sua squadra, a gestire con intelligenza una retata nell'area del porto, un'azione in grande stile che, finalmente, gli fa intravedere la possibilità di ottenere una promozione. E quindi guadagnarsi il rispetto degli altri, avere una vita migliore, e molto più potere, che è ciò che conta. Tutto questo è lì, a portata di mano: ma, pensa Macbeth, davvero mi lasceranno arrivare tanto in alto? Tormentato dalle allucinazioni, vittima di paranoie sempre più acute, Macbeth comincia, lentamente, a soccombere a se stesso e al tarlo dell'ambizione.

Davide-Dotto

Davide Dotto
Sono nato a Terralba (OR) vivo nella provincia di Treviso e lavoro come impiegato presso un ente locale. Ho collaborato con Scrittevolmente, sono tra i redattori di Art-Litteram.com e curo il blog Ilnodoallapenna.com. Ho pubblicato una decina di racconti usciti in diverse antologie.
Il ponte delle Vivene, Ciesse Edizioni.
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 Recensioni:  Clandestino e Torpedone trapiantati

Recensioni: Clandestino e Torpedone trapiantati

 Recensioni:  Clandestino e Torpedone trapiantati

Libri Mini recensioni di Beatrice Rurini. Clandestino. La caccia è aperta, di Furio Colombo, La nave di Teseo, e Torpedone trapiantati, di Francesco Abate, Einaudi.


Da dove arrivano, e cosa cercano, i migranti che tentano la via del Mediterraneo? Cosa sono, e come si diffondono, le fake news sui flussi migratori?

«Tutto quello che vi hanno raccontato sul traffico in mare di soldi, barche, navi, soccorso, vita e malavita dei migranti, non è vero: in nessun tempo, in nessun luogo, in nessun punto. Conservare questa nota e verificate quando qualcuno presenterà le prove.»
Dissertazioni a carattere breve tra Furio Colombo e i suoi lettori, domande lecite e interessanti per cui la risposta non esiste. Esistono però le incongruenze e i paradossi del nostro tempo, è giusto porre domande ed esigere risposte, rimanendo nel politically correct senza farsi illusioni di riuscire a salvare il mondo.
Col piglio che da sempre denota la sua penna, in Clandestino. La caccia è aperta stabilisce un contatto tra il politichese e i lettori in maniera non banale ma senza essere promosso o pedestre.
Spiccio ma preciso, un libro che sarebbe sempre da sfogliare per non perdere la bussola.

Clandestino. La caccia è aperta

di Furio Colombo
La nave di Teseo
Inchiesta
ISBN 978-8893446006
Ebook 4,99€
Cartaceo 11,90€

Sinossi
Di immigrazione si parla molto, nelle cronache dei giornali e in tv, nei dibattiti pubblici e nelle discussioni private. Eppure molte domande sull'argomento restano ancora senza risposta. Quali sono i limiti e le responsabilità delle politiche italiane ed europee sull'accoglienza? Che cosa possiamo davvero fare? Con l'intensità e il rigore del grande giornalista, Furio Colombo racconta uno dei temi più caldi del nostro tempo, ne evidenzia le incongruenze e i paradossi, e suggerisce una lettura che sfida il politically correct con la forza delle idee e della ragione. Attuale, scomodo, necessario, questo libro parla in modo diretto, soprattutto a chi non è d'accordo, di ius soli e dei "nostri valori", di frontiere chiuse e di terrorismo, di guerre lontane e della violenza quotidiana, razzista e xenofoba, che infiamma le nostre città.


Abate ha la capacità di raccontare con leggerezza e in maniera non scontata una gita sociale in giro per la Sardegna, un gruppo di trapiantati accompagnati dai parenti, tra i quali la mitica mamma, già protagonista del precedente Mia madre ed altre catastrofi.

Metti che l'autore, Francesco Abate, sia un giornalista piuttosto competente e che il libro, Torpedone trapiantati, sia scritto con una certa cura. Metti che l'autore abbia voglia di sdrammatizzare e presenti una storia con una certa verve. Metti che l'argomento sia un po' delicato e che un po' (ma solo un po') di retorica non guasti... tutto questo pero' è un po' semplicistico per presentare questo breve romanzo.
Nel momento in cui vuoi sensibilizzare il pubblico su quelle che sono le problematiche di chi è riuscito ad andare avanti con un trapianto di organi, o fai un saggio didascalico, ma devi essere un medico e non tutti apprezzano, o crei una vicenda che abbia un sottofondo comico-grottesco. Qui Abate ne fa una sorta di cartellone e presenta una galleria di personaggi molto particolari e l'autore ne fa parte bellamente: pur essendo descritti in un modo che può sembrare surreale, appaiono come eroi di un mondo parallelo. Nel definire le loro strampalate caratteristiche, l'autore si mostra complice e non giudice: non li vuole deridere, ma li vuole accompagnare. È sicuramente incoraggiante vedere queste persone che continuano a vivere: la loro vita, però, è stata pagata con il prezzo della morte di qualcun altro.
Assolutamente da leggere.

Torpedone trapiantati

di Francesco Abate
Einaudi
Narrativa
ISBN 978-8893446006
Ebook 7,99€
Cartaceo 12,75€

Sinossi
Una «comitiva di sopravvissuti»: a dieci anni esatti dal suo trapianto di fegato, Francesco viene invitato a una rimpatriata cui interverranno cento trapiantati assieme alle rispettive famiglie. È titubante, non sa se partecipare, ma alla fine, trascinato per un orecchio dalla Mamma, sale con lei sul torpedone. Acciacchi, fobie, farmaci indispensabili e piccole miserie: i protagonisti di questa gita somigliano ciascuno a una maschera della commedia, dal timido al giullare, dallo sbruffone al pauroso. In comune hanno il fatto di essere nati due volte, che è un dono immenso, ma anche una responsabilità. Quella di dover essere felici. Con la sua voce carognesca e a tratti malinconica, Abate ci racconta la storia della nostra fragilità e, al contempo, della nostra cocciuta voglia di vivere.

Beatrice-rurini

Beatrice Rurini
Sono appassionata di lettura e musica sin da piccola. Ho conseguito la maturità magistrale (senza insegnare), studiato pianoforte e violoncello. Lavoro come restauratrice d'arte. Sono sposata con prole e, soffrendo d'insonnia, mi appoggio alla lettura per evitare di stare con le mani in mano.
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Recensione: Delitto di capodanno, di Arianna Raimondi

Recensione: Delitto di capodanno, di Arianna Raimondi

Recensione: Delitto di capodanno, di Arianna Raimondi

Libri Recensione di Nicolò Maniscalco. Delitto di capodanno di Arianna Raimondi, Lettere Animate 2018. Un giallo, una storia di contrasti in cui niente è come sembra.

Nella vita di Ferdinando ci sono solo rapporti difficili e conflittuali con i familiari, con le donne amate, con i parenti e con gli amici. Stanco di tutto questo, ha un ripensamento e decide di scusarsi con tutti per rigenerare questi rapporti tesi e logori. 
Così, la notte di San Silvestro, riunisce nella propria villa chi ha avuto dissapori con lui, invitandoli alla tradizionale cena del 31 dicembre. Ferdinando invita anche Aldo, il fratello, con il quale era molto legato da bambino. I due erano inseparabili di fronte a tutto e a tutti, ma crescendo anche con lui il rapporto s'è incrinato, inizialmente per il tradimento di una ragazza poi per le solite e banali questioni famigliari.


Durante la cena nessuno, tranne Aldo, crede realmente alla buona fede di Ferdinando che si prodiga per convincere tutti della sua sincerità, ma un delitto consumato proprio quella notte, scombinerà i suoi piani. Aldo si troverà a indagare fino alla risoluzione del caso.
La lettura di Delitto di capodanno è piacevole e scorrevole, soprattutto, perché l’autrice, Arianna Raimondi, scrive molto bene e ne ho avuta testimonianza leggendo i cenni degli altri romanzi, inseriti come primi capitoli a chiusura del libro.
I personaggi sono sufficientemente caratterizzati per lo svolgimento della trama che, a cercare il pelo nell’uovo, è un po’ scarsa di pathos per essere un thriller, ma, essendo io un amante del genere, sono un po’ pretenzioso su questi aspetti. Insomma se ci si aspetta un thriller pieno di colpi di scena, si rimane un po’ delusi. Rimane una buona lettura, soprattutto, per lo stile.


Delitto di capodanno

di Arianna Raimondi
Lettere Animate
Giallo
ISBN 978-8871122762
Cartaceo 8,50€
Ebook 2,99€

Sinossi
Mancavano tre giorni alla notte di San Silvestro quando Aldo ricevette un invito a cena da parte di suo fratello Ferdinando. Un invito inaspettato da quel fratello che credeva non avrebbe più rivisto.
Determinato a far cessare tutti i dissidi con lui, accetta l’invito, ignorando però, che in quella notte si consumerà un delitto apparentemente irrisolvibile, e che si rivelerà il più complicato di tutta la sua vita. Un delitto che non solo sarà avvolto nel mistero, ma che richiederà al giovane poliziotto un duro sforzo emotivo.
Delitto di Capodanno è una storia di contrasti in cui niente è come sembra.
Nicolò Maniscalco Gli scrittori della porta accanto

Nicolò Maniscalco
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Cornovaglia coi bambini, da Penzance a Newquay

Cornovaglia coi bambini, da Penzance a Newquay

Cornovaglia coi bambini, da Penzance a Newquay

Mamme in viaggio Di Silvia Pattarini. La Cornovaglia on the road da sud a nord: cosa vedere e cosa fare quando si viaggia coi bambini.

La Cornovaglia è la contea più a sud del Regno Unito, l’ultimo lembo di terra a sud ovest dell’Inghilterra, un triangolo di mondo lambito da due mari: il mare Celtico o Oceano, a nord ovest, e il canale della Manica nella parte sud. Le isole Scilly a 45 km dalla costa fanno parte della contea.
Zona particolarmente ambita non solo dai turisti, ma anche dagli inglesi per le sue spiagge e per il suo microclima mite, fu la regina Vittoria a farne meta di villeggiatura estiva lanciando la moda tra le famiglie borghesi britanniche. È la nazione celtica per eccellenza, gli abitanti amano le tradizioni e la musica celtica è ancora oggi molto popolare; una terra selvaggia, ricca di castelli, il più famoso quello di Re Artù a Tintagel; seguono le grotte di Mago Merlino, sparse un po’ ovunque — quanti nascondigli aveva questo mago!
Terra di corsari e sirene, terra di brughiere e scogliere a picco sferzate dal vento punteggiate da fari, terra di gnomi e folletti, di miti e leggende. La Cornovaglia ha dato i natali alla famosa scrittrice Rosamunde Pilcher: dai suoi romanzi ambientati proprio nella contea, furono tratte serie televisive note anche in Italia. Ricordate L'amante di Lady Chattery? L'autore David Herbert Lawrence  ha vissuto a Zennor con la moglie, anche se in seguito, accusati di spionaggio, furono espulsi dalla contea.

Come si raggiunge la Cornovaglia?

Si può raggiungere la Cornovaglia volando direttamente dall’Italia all’aeroporto di Newquay, sito in posizione strategica perché nel cuore della contea, ma i prezzi sono piuttosto onerosi; una seconda alternativa è raggiungere Londra con voli low cost e proseguire per Newquay con voli interni ancora low cost; oppure sempre da Londra con auto a noleggio o coi mezzi pubblici: treni e pullman fanno la spola in sei /sette ore  a prezzi contenuti.
Ho preferito l’auto a noleggio che permette maggiore libertà e senza vincoli di orari, anche se la guida al contrario è una bella sfida. Ma se sono riuscita io, che ho già una certa età, confido che anche temerari ragazzi possano farcela. Una raccomandazione: ponete attenzione ai parchimetri. Nella maggioranza dei casi funzionano a monetine o carta di credito, ma quelli di ultima generazione funzionano esclusivamente tramite apposita app da cellulare: se non avete l'app, cercate un parcheggio altrove, o rischiate di vedervi recapitare a casa, a distanza di un mese, salate multe per sosta non pagata, anche se vi fermate solo 10 minuti!

La stagione migliore per visitare la Cornovaglia è indubbiamente l'estate, quando le precipitazioni si fanno meno frequenti e il clima è più mite; in primavera è però possibile ammirare le meravigliose infiorescenze lungo le scogliere.

Penzance è un buon punto di partenza per esplorare il sud della Cornovaglia. 

Caratteristica cittadina britannica, Penzance  si snoda su un lieve pendio: tra le casette in tinta pastello spicca una cattedrale gotica con una torre a quattro punte. Affacciate sulla Manica sonnecchiano le vivaci barchette dei pescatori nel piccolo porticciolo sottostante; i locali che s’affacciano lungo la via principale vantano il nome di famigerati pirati, arditi ammiragli o valorosi comandanti. Sembra sia stata luogo d’ispirazione di un’operetta, I pirati di Penzance, per Gilbert e Sullivan. Una lunga spiaggia dalla sabbia color ocra lambita dal mare azzurro la collega al piccolo paesino di Marazion. Da Penzance la vista spazia fino a St Michael's Mount.

Penzance è un buon punto di partenza per esplorare il sud della Cornovaglia.

Marazion e l’isola di St Michael’s Mount.

A soli cinque minuti d’auto da Penzance, seguendo la strada litoranea si arriva dritti a Marazion, o meglio, direttamente nel parcheggio di fronte alla stupenda isoletta di St Michael’s Mount. Con sole(sterline) è possibile sostare per l’intera giornata.
St Michael’s Mount è la sorella gemella della più famosa Mont Saint Michel in Normandia: entrambe isole tidali, ovvero collegate alla terra e raggiungibili a piedi durante la bassa marea, ma separate dalla terraferma quando la marea si alza. Sia l’isola in questione, sia la gemella francese, ospitano un santuario dedicato all’arcangelo Michele. 
Durante l’alta marea l’isola è collegata da un traghetto al paesino di Marazion, cittadina molto pittoresca che consiglio di visitare. Se giungete a Marazion all’ora di pranzo o giù di lì, è imperdibile una sosta al The Kings arms, un pub dai cui tavoli esterni, si apre una vista spettacolare sull’isola. Potete scegliere di optare per una passeggiata tra le viuzze del paese, perdervi tra i negozietti o visitare il museo, oppure spingervi fino sull’isola, magari camminando a pelo d’acqua con la bassa marea, mettendo in conto di tornare in barca se nel frattempo le acque si alzano. Anche a Marazion, come in un tutto il Regno Unito, i fiori vi accompagneranno ovunque coi loro splendidi colori e rallegreranno la vostra giornata e le vostre fotografie. Per i bimbi più piccoli, parco giochi attrezzato nella passeggiata sul lungomare. 
Spiaggia selvaggia e color ocra con sabbia fine. Qualche impavido tedesco s’azzarda a fare il bagno, anche se l’acqua non è particolarmente invitante, ma loro girano mezzi nudi e scalzi a soli 17 gradi centigradi. Italiani davvero pochissimi, attorno a me percepisco molti idiomi, solo un paio di persone parlano la mia lingua e come me sono piuttosto vestiti.

Penisola di Lizard e Lizard point, per passeggiate naturalistiche.

A circa 40 minuti di auto da Marazion, la penisola di Lizard vi sorprenderà. Raggiungiamo il Lizard point o capo Lizard, ovvero la punta estrema di tutta la penisola: è proprio lì che finisce la terra di Cornovaglia, poi solo mare. La zona fa parte del National Trust, è meta molto ambita dai turisti, e ovviamente attrezzata su misura di turisti, con opportuni punti di ristoro e negozi di souvenir.
Dal parcheggio principale si diramano le indicazioni per varie tipologie di camminate: seguiamo un percorso per una bella passeggiata nella natura. Casette bianche dai tetti grigi e spioventi, sparse lungo la scogliera sferzata dal vento e dalla pioggia che comincia a scendere insistente, ma in una manciata di minuti ecco di nuovo il sole aprirsi un varco tra le nuvole. Il cielo qui, cambia repentinamente in breve tempo: ricordate di portare con voi l’attrezzatura per la pioggia, ombrelli o k-way o quant’altro. Un gregge di pecore pascola tranquillo oltre la recinzione di filo spinato, che scende lungo il sentiero fino al faro. Il panorama sulla Manica è fantastico con le scogliere a strapiombo: immagino lo scoglio delle sirene e la grotta in cui si nascondono, ma il tempo di qualche foto e ricomincia a piovere.
Prima di tornare alla macchina una breve sosta presso una fattoria a conduzione familiare: Tregullasfarm. Ci servono un buon tè in porcellane raffinate sulla panca di legno nell’aia all’aperto (è già tornato il sole e scotta), accompagnato da una burrosa fetta di torta, sembra quasi fatta in casa. E anche gli scones con clotted cream e marmellata che hanno appena servito ai nostri vicini di tavolo, hanno un’aria decisamente invitante. Una piccola trasgressione ogni tanto, posso pure concedermela.

Mên-an-Tol.

A solo una mezz’oretta d’auto a nord di Marazion, gli appassionati di storia, archeologia e mistero, troveranno da soddisfare le loro curiosità nel sito megalitico di Men-an-Tol. In origine erano quattro megaliti piantati nel terreno, ma uno di essi è caduto, ed oggi da una certa angolazione le rocce assumono le sembianze di un numero: il 101. I due monoliti laterali stanno in piedi, e quello al centro ha la perfetta forma di anello, o ciambella, o zero che dire si voglia. Per le leggende e i misteri che circondano questo sito, vi rimando a Wikipedia.

Newquay, il nord della Cornovaglia, paradiso dei surfisti.

Minack Theatre.

Meraviglioso anfiteatro su un promontorio vista mare, a sola mezz’oretta da Penzance, nella cittadina di Porthcurno. Il Minack Theatre fu costruito sui modelli degli anfiteatri romani e greci tra gli anni ‘30 e gli anni ‘80, è un teatro all’aperto, palcoscenico di opere teatrali di grande rilevanza. Capolavori di Shakespeare e di musicisti italiani, come Giuseppe Verdi, sono messi in scena con giochi di luci durante le serate estive, in un contesto decisamente suggestivo.

Newquay, il nord della Cornovaglia, paradiso dei surfisti.

Lasciamo il sud della Cornovaglia, e puntiamo verso la parte settentrionale della contea. Siamo a Newquay. A prima vista credevo fosse costruita su un fiordo, perché dalla posizione in cui mi trovo, un lembo di mare divide in due parti la città. Da qui la vista è mozzafiato, le casette che spuntano sulla scogliera oltre il mare sembrano un bel quadro. Poi mi hanno spiegato che da queste parti i fiordi non esistono, sono prerogativa di terre emerse ben più a nord, a partire come minimo dalla Scozia, quindi ci troviamo ancora troppo a sud per ipotizzare un fiordo. Qui l’oceano, o mare Celtico, lambisce una sabbia fine color ocra con spiagge immense, adagiate su scogliere a picco sul mare con strapiombi di almeno cinquanta metri. Le stradine in sali-scendi costeggiate di palazzi tutti simili l’uno all’altro, mi ricordano vagamente la californiana San Francisco.
Paradiso dei surfisti, cosa fare a Newquay? Godersi un meraviglioso tramonto sul mare Celtico, magari seduti su una panchina, o perdersi in una passeggiata romantica col partner lungo il belvedere. Se vi viene un po’ di fame, perché l’ora della cena incombe, vi consiglio una pizza da Pizza Express. Anche se, da italiani, la pizza non vi soddisferà appieno (vi garantisco che è la migliore pizza che abbia mai mangiato nel sud dell’Inghilterra), la vista mozzafiato sulla scogliera che offre il ristorante è impagabile. Fantastico.
Cos’altro fare a Newquay? C’è solo l’imbarazzo della scelta. Se avete bambini, potete portarli all’aquario Bluereef affacciato sul mare, oppure allo zoo, che resta più nell’entroterra. Per uno svago alternativo immergetevi nell’atmosfera piratesca al Pirate’s Quest, insomma, la città può soddisfare sia grandi che piccini.
I palazzi che s’affacciano sulla scogliera hanno un fascino davvero irresistibile, a Newquay ho lasciato un pezzetto del mio cuore, credo che un giorno ritornerò, con maggior tempo a disposizione, per godermi appieno questo angolo di mondo.

Silvia Pattarini

Silvia Pattarini
Madre di tre figli, ama scrivere racconti e componimenti poetici, alcuni dei quali compaiono in diverse antologie. Partecipa a concorsi letterari di poesia, prosa e premi letterari per narrativa edita.
Biglietto di terza classe,  Gli Scrittori della Porta Accanto Edizioni.
La mitica 500 blu,  Lettere Animate.
Il tempo di un caffè, Gli Scrittori della Porta Accanto Edizioni.
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Il Medio Oriente contemporaneo

Il Medio Oriente contemporaneo

Il Medio Oriente contemporaneo

Storia Di Davide Dotto. Dal saggio Storia del Medio Oriente contemporaneo di Massimo Campanini, Il Mulino, la storia di un paradigma di origine europeo e dei conflitti derivanti da un irreversibile processo di occidentalizzazione.

In genere abbiamo un’idea precisa di quello che viene indicato come Occidente e Oriente. I dubbi sorgono nel momento in cui ci domandiamo se vi sia un centro a discrimine dell’uno e dell’altro.
Non esiste – e non possiamo immaginarlo – un meridiano zero tipo quello di Greenwich. Non si saprebbe dove inserirlo. Oriente e Occidente alla fine hanno poco a che fare con i punti cardinali.
Paradossalmente, dice Massimo Campanini, autore del saggio Storia del Medio Oriente contemporaneo, in un incontro a presentazione del volume (disponibile su Youtube e in calce a questo articolo), per un abitante del Marocco l'Italiano è già un orientale. Il Marocco non è Occidente, ma parte di un disegno geografico più complesso, il c.d. Middle East and North Africa  (M.E.N.A.).

Storia del Medio Oriente contemporaneo

Storia del Medio Oriente contemporaneo

di Massimo Campanini
Il Mulino
Saggio
ISBN 978-8815267436
cartaceo 19,55€

Il volume è un affresco completo e chiarificatore delle dinamiche interne del Medio Oriente (e volendo dello stesso Occidente cui è indissolubilmente legato). Concepito come manuale universitario, può risultare ostico per chi è a digiuno di un bel po’ di vicende. È un testo di prima informazione e di consultazione, cui ricorrere per chiarire i singoli filoni. Nell'insieme è quello che deve essere: un’analisi veloce e sintesi di un gran numero di fatti e di articolazioni che meritano (e meriteranno) opportuni approfondimenti.

L’Europa stessa, definendosi Occidente, ha creato per contrapposizione quello che chiamiamo (Medio) Oriente («un paradigma inventato da noi»). 

Se volessimo individuare un centro, non possono che essere il Mediterraneo o la città di Gerusalemme, luoghi di incontro, di scontro e da cui  ha tratto origine un indubbio patrimonio comune di carattere linguistico, scientifico e filosofico.


Il mondo arabo è sempre stato privo di un’autorità centrale politica (a parte i regni di Norandino e Saladino) o religiosa (assimilabile a quella della cristianità). La secolarità è un dato di fatto nell'esercizio del potere politico. Si pensi all'assenza di una concezione condivisa del califfato:
La legge religiosa non ha in alcun modo prescritto il califfato che anzi essendo un’istituzione perversa e tirannica, è stato un’autentica iattura per l’Islam. 
Così si pronunciò nel 1925 un diplomatico, Abd Al Raziq.
Queste le premesse che condussero, nella Turchia del 1924, alla sua abolizione, sancendo la fine dell’Impero Ottomano il cui esercito era giunto alle porte di Vienna.
Il Medio Oriente, le cui basi sono gettate durante il periodo coloniale, è un prodotto europeo. Finché resse il modello imperialista, l’Occidente gestì i propri interessi con la forza, contribuendo a instillare nei territori - occupati - istanze nazionalistiche fino ad allora sconosciute e impensabili.

Furono i confini disegnati a tavolino, ignorando la geografia e le specificità dei luoghi, a creare la ridda di tensioni esplose negli anni e nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale. 

Se il Marocco, la Tunisia e l'Egitto possedevano comunque una loro identità, altri stati (emblematici i casi del Libano e della Siria per i conflitti che ne interessarono e ne interessano i confini) nacquero soltanto allora, all'improvviso.

Africa del Nord

Venuto meno il colonialismo, lentamente gli stati del Middle East North Africa raggiunsero la loro indipendenza e si scontrarono con le contraddizioni di fondo che ne rendevano difficile la governabilità. Se il mondo arabo per tradizione era chiuso alla cultura europea che aveva contribuito ad alimentare nei secoli, si era in qualche modo occidentalizzato nel raccogliere categorie, idee e istituzioni fino ad ora ignote. Dovevano fare i conti con una costituzione, il governo di un territorio, dotarsi di un diritto pubblico, con modelli piovuti dall'alto e del tutto estranei alle tradizioni più consolidate. Si pose prepotente il problema dell'ammodernamento che se da una parte consentiva (o poteva consentire) di far funzionare le cose, dall'altra rappresentava una chiara ipoteca alla propria identità culturale.

La storia del Medio Oriente contemporaneo (e le recenti Primavere Arabe) può considerarsi  l’epilogo di un processo  irreversibile di occidentalizzazione.

I capi di stato (dei governi dittatoriali) che si succedettero un po’ ovunque, provenivano dai ranghi militari. Non era in alcun modo possibile – mancandone le premesse – gestire istituzioni di tipo democratico. I regimi in carica applicarono la legge marziale, opprimendo in maniera brutale l’intera società civile, sensibilità religiosa (islamica) compresa. Ciò nutrì il malcontento e l’emersione di sacche di ribellione che portarono alla guerra civile, ad attentati terroristici e a ulteriore recrudescenze repressive. Il fondamentalismo e il terrorismo islamico si fanno strada in tale contesto, intento a riappropriarsi dell’identità perduta. I paesi paradossalmente più stabili erano quelli in cui l’Islam partecipava alla guida del paese (gli esempi sono Marocco, Giordania, Arabia). L’unico stato Islamico che si era venuto a creare nel Medio Oriente a seguito di una rivoluzione era uno soltanto: l’Iran di Khomeini, praticamente impossibile da replicare e rimasto una realtà sui generis.
Sono molte le variabili che entrano nel discorso, giocando un ruolo che rende assai variegato il quadro complessivo. Non ultimo l’imposizione di un modello di capitalismo sfrenato che se sulle prime alimentò (negli anni Sessanta- Settanta) un relativo benessere, questo si esaurì in fretta, portando alla luce conflitti sociali latenti, culminati nelle Primavere arabe del 2010-2011.




Davide-Dotto

Davide Dotto
Sono nato a Terralba (OR) vivo nella provincia di Treviso e lavoro come impiegato presso un ente locale. Ho collaborato con Scrittevolmente, sono tra i redattori di Art-Litteram.com e curo il blog Ilnodoallapenna.com. Ho pubblicato una decina di racconti usciti in diverse antologie.
Il ponte delle Vivene, Ciesse Edizioni.
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 Recensione: Altri libertini, di Pier Vittorio Tondelli

Recensione: Altri libertini, di Pier Vittorio Tondelli

 Recensione: Altri libertini, di Pier Vittorio Tondelli

Libri Recensione di Beatrice Rurini. Altri libertini di Pier Vittorio Tondelli, Feltrinelli 2013. Sei racconti, situazioni estreme di un periodo di decadenza generale, nel lontano 1979.

Pier Vittorio Tondelli è un ottimo scrittore. Il noi collettivo che spesso usa serve ad annullare il punto di vista e a immergere il lettore nel suo caos linguistico. Lo stile è impetuoso, aggredisce la sintassi e la grammatica, affastella pensieri e descrizioni nell’urgenza del narrare, una narrazione pulita e sincera che nulla lascia al compiacimento di sé e a quello molto più facile e redditizio del lettore.
È un puro cantore dei sogni e dei bisogni d’amore di una generazione allo sbando, di chi stava perdendo gli ideali del ’68 e aveva davanti la prospettiva sordida di una Milano da bere e dello yuppismo che già sgomitava sui canali della tv.
Altri libertini, di Pier Vittorio Tondelli, rappresenta gli estremismi di una generazione e pertanto nel linguaggio, negli episodi raccontati, emerge la crudezza e la volgarità, l’ignoranza dei più miseri alternata alla controcultura dei giovani studenti senza soldi, drogati, bisessuali, esponenti di una condizione sociale ai margini, abitatori delle stazioni, delle piazze notturne, delle periferie, delle balere, alla ricerca non tanto della felicità quanto della comprensione di quel disagio interiore che sale dentro l’anima e non trova sfogo vero.
Le parole di Pier Vittorio Tondelli sono incredibilmente fluide e non ripulite, un maestoso torrente in piena. E non è solo l'avvio di un nuovo modo di scrivere ma anche la capacità di rappresentare una generazione, senza filtri né interpretazioni. Tutto pur di correre lontano, anche lontano da se stessi.
Un insieme intricato di linguaggio, immagini, esperienze. O prendi tutto o niente.
L'ho riletto con più consapevolezza.


Altri libertini

di Pier Vittorio Tondelli
Feltrinelli
ISBN 978-8807883811
Cartaceo 7,65€
Ebook 6,99€

Sinossi
Altri libertini ha avuto fin dagli inizi una vita avventurosa: pubblicato nel 1980, sequestrato per oscenità e poi assolto dal tribunale ("con formula ampia"), è stato contemporaneamente giudicato dalla critica una delle opere migliori degli ultimi anni e ha imposto Tondelli tra i nuovi autori italiani più letti anche all'estero. I sei episodi, storie di gruppi più che di individui, legittimano l'adozione di una vera e propria soggettività plurale, di un Noi narrativo che fa del romanzo un ritratto generazionale.

Beatrice-rurini

Beatrice Rurini
Sono appassionata di lettura e musica sin da piccola. Ho conseguito la maturità magistrale (senza insegnare), studiato pianoforte e violoncello. Lavoro come restauratrice d'arte. Sono sposata con prole e, soffrendo d'insonnia, mi appoggio alla lettura per evitare di stare con le mani in mano.
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Il bene ostinato, di Paolo Rumiz: pagina 69

Il bene ostinato, di Paolo Rumiz: pagina 69

Il bene ostinato, di Paolo Rumiz: pagina 69

Pagina 69 #144 Il bene ostinato, di Paolo Rumiz, La Feltrinelli 2015. L'Italia migliore, quella che resiste e che pochi raccontano, i punti emergenti di un volontariato italiano di cui non si scrive ma che alberga negli stessi territori dell'egoismo antistranieri.

Sopra le nubi c'è come un trasloco. Rimbombi, brontolii, trascinamenti. Lontano, tendaggi di pioggia. Si è levato il vento, e intanto da oriente arriva la notte col galoppo silenzioso di una iena.
Una collina bassa, solitaria. Ai suoi piedi il tavolato centrafricano si fa rosso cupo - ora parte il campo da tennis di Dio -, ma se pioverà diverrà peluria verde smeraldo e poi grigioazzurra con la rugiada. Qui tutti aspettano la pioggia. La vita stessa è attesa della pioggia.
Sotto, a cinquecento metri, c'è un villaggio di capanne rotonde protetto da un cerchio - o forse una corona - di spine. Lo sorvoliamo con lo sguardo: dentro, uomini e animali che si rinserrano; fuori, ritardatari che si affrettano da ogni direzione con legna, otri d'acqua e mucche gibbose dalle ampie corna. Arriva il buio, il tempo dei morti, del malocchio e degli agguati, e presto il varco d'ingresso sarà chiuso con altre spine. I primi fuochi sono già accesi. Fili di fumo azzurro, odore di polenta, grida di mamme e di bambini.
Giovanni indica i coni di piccoli vulcani estinti che punteggiano l'altopiano come termitai, foruncoli di un mare archeozoico. Belvedere naturali come questo, dove ascoltiamo le voci della sera seduti su prismi esagonali di basalto, faccia al tramonto, tra acacie e frangipani. "Ecco," dice, "sono queste le cose che in Africa ti ripagano della lontananza da casa."
Karamoja, Nordest dell'Uganda, trecento miglia sopra l'equatore. Non è un posto da turisti. Nemmeno gli ugandesi ci vanno volentieri. È una terra selvaggia di pastori-maratoneti. Capaci di percorrere settanta chilometri in una notte. Gente povera e fiera, che non abbassa mai gli occhi: mandriani e predoni leggendari, venuti secoli fa dall'altopiano etiope.



Quarta di copertina
Il bene ostinato, di Paolo Rumiz

I "Medici con l'Africa" del Cuamm (Collegio universitario aspiranti e medici missionari) si spendono dal 1950 per il diritto fondamentale alla salute e l'accesso ai servizi sanitari. Il Cuamm oggi è presente in sette paesi: Angola, Etiopia, Kenya, Mozambico, Sudan, Tanzania e Uganda. L'incontro tra il Cuamm e Paolo Rumiz è la scintilla da cui nasce questo libro. C'è uno scrittore-viaggiatore che si innamora del progetto, parte per l'Africa e osserva un'altra Italia in azione. Si sofferma sulle donne e sugli uomini - non solo medici - che con le famiglie decidono di vivere e lavorare nei villaggi e nelle città dove opera il Cuamm. Quali sono le loro storie? Come è cambiata la loro vita? Qual è la radice del loro impegno? È l'occasione per indagare e raccontare un mondo poco conosciuto, composto da singolari emigranti, professionisti che si sradicano dall'Italia con le proprie famiglie per trapiantarsi in contesti disagiati, spesso pericolosi, sempre impegnativi. Sono storie particolari, a volte uniche, che connettono il Nord e il Sud del mondo. E forse aprono una strada al futuro.


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Recensione: Il rumore del mondo, di Benedetta Cibrario

Recensione: Il rumore del mondo, di Benedetta Cibrario

Recensione: Il rumore del mondo, di Benedetta Cibrario

Libri Recensione di Beatrice Rurini. Il rumore del mondo di Benedetta Cibrario, Mondadori 2018. Idee, emozioni, gesti, figure che portano con sé i modi comportamentali della società di inizio '800.

Un romanzo italiano ambientato tra la Londra di fine '700 e l'Italia della prima metà dell'800, scritto con la consapevolezza di avere tra le mani un piccolo tesoro di narrativa. Scrupoloso fino all'inverosimile, Benedetta Cibrario intreccia una storia consolidata (cambiano solo i nomi) con il periodo preparatorio alla prima guerra d'indipendenza, il tutto con una scorrevolezza impressionante.
Un giovane rampollo di nobili origini, Prospero Vignon, viene mandato d'istanza a Londra e qui conosce e sposa una giovane fanciulla, Anne Bacon, figlia di un commerciante di sete e tessuti piuttosto ricco. Ma quando è il momento di seguire il consorte nel nuovo Paese, Anne si ammala di vaiolo e ne rimane deturpata.
Quando i giovani sposi si rincontrano, lui trova una persona diversa sia nel fisico che nei comportamenti. Questa situazione sarà il nodo di Il rumore del mondo di Benedetta Cibrario, infatti Anne verrà isolata e relegata in una tenuta di famiglia al di fuori dei giri e delle feste della Torino di inizio secolo. Solo la tenacia e la forza di volontà della ragazza la metteranno in evidenza agli occhi del suocero, che farà di tutto per riavvicinare gli sposi. Ovvio che la Storia faccia il suo corso e quelle che erano solo voci di rivolta diventano una vera e propria guerra: Prospero parte e ovviamente muore in battaglia.
Oltre che una trama semplice e comune per l'epoca, Il rumore del mondo presenta anche una serie perfetta di insegnamenti biologici, per la passione del marchese padre che investe tempo e denaro in favore di una tenuta di famiglia ove verrà poi isolata Anne, e di tecnologia ed innovazione industriale, poiché costei avrà il suo momento di riscatto nel portare le sue conoscenze a favore della famiglia Vignon. Non viene tralasciata la parte scientifica: il vaccino del vaiolo viene scoperto ed utilizzato proprio in quegli anni e le malattie iniziano a essere curate con metodo scientifico.
Benedetta Cibrario ottiene un ottimo risultato scrutando e studiando le lettere dell'epoca, facendo una scrupolosa ricerca sia a livello culturale che ponendosi direttamente nei panni dei personaggi: le descrizioni particolareggiate offrono uno spaccato di ciò che era l'estetica, l'abbigliamento, le tribolazioni, i dubbi e i sentimenti. Nulla sfugge al suo occhio e il romanzo offre a 360 gradi una vita familiare che rimarrà salda nella nostra biblioteca.

Il rumore del mondo, di Benedetta Cibrario

Il rumore del mondo

di Benedetta Cibrario
Mondadori
ISBN 978-8804705000
Cartaceo 18,70€
Ebook 10,99€

Sinossi
Prima metà dell'Ottocento. L'ufficiale piemontese Prospero Carlo Carando di Vignon, di stanza a Londra, sposa Anne Bacon, figlia di un mercante di seta, ma, richiamato dal suo reggimento, torna a Torino. Anne decide di raggiungere lo sposo più tardi, ma è costretta a fermarsi ulteriormente, colpita da un attacco di febbre vaiolosa. La malattia passa, ma i segni delle cicatrici restano. Quella che infine arriva a Torino è un'Anne molto diversa dalla giovane vivace e un po' frivola di pochi mesi prima. Prospero l'accoglie con la fredda correttezza dell'uomo che mantiene fede ai patti, ma la vita coniugale si annuncia come un piccolo inferno domestico. Il suocero Casimiro invita Anne a occuparsi della proprietà del Mandrone, del cui futuro soltanto lui - conservatore di ferro - sembra preoccuparsi. Tra i due si stabilisce un'imprevedibile complicità e Anne matura un profondo amore per quella campagna, per la vita appartata e operosa che vi conduce, per le prospettive legate a un accorto sfruttamento delle risorse. Enrico Verra, giovane vigoroso e sempre più ricco produttore di seta, condivide la febbrile immaginazione di Anne. Il racconto delle vicende di Anne Bacon e della famiglia Vignon si intreccia ai fili (che non sono solo quelli della seta) dello spirito del tempo, degli eventi in cui non si insinua - anche quando le coordinate sono ideologicamente regressive - lo spasmo del futuro. Siamo di fronte a un romanzo della nazione - a una nazione di potenzialità che guardano al di là dei confini, che non hanno confini. Viene da chiedersi se Anne, Prospero, Enrico, Casimiro (e i numerosi incisivi comprimari) appartengano davvero a un'era felice. Viene da rispondere che Cibrario, narrativamente parlando, ci racconta idee, emozioni, gesti, figure che non sono "in costume", ma portano con sé i modi comportamentali della società, quando si muove, quando produce movimento.

Beatrice-rurini

Beatrice Rurini
Sono appassionata di lettura e musica sin da piccola. Ho conseguito la maturità magistrale (senza insegnare), studiato pianoforte e violoncello. Lavoro come restauratrice d'arte. Sono sposata con prole e, soffrendo d'insonnia, mi appoggio alla lettura per evitare di stare con le mani in mano.
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Adua, di Igiaba Scego: incipit

Adua, di Igiaba Scego: incipit

Adua, di Igiaba Scego: incipit

Incipit #172 Sono Adua, figlia di Zoppe.


Adua

di Igiaba Scego
Narrativa
Giunti
cartaceo 11,05€
ebook 4,99€


Oggi ho ritrovato l’atto di proprietà di Laabo dhegah, la nostra casa a Magalo, nella Somalia meridionale. Era nascosto in una vecchia valigia di peltro che tenevo in magazzino, era in quel posto da secoli e io non me ne ero mai accorta.
Ora sono in regola. Ora se voglio posso tornare anch’io in Somalia.
Ho una casa e soprattutto un documento ufficiale dove c’è scritto che è appartenuta a mio padre Mohamed Ali Zoppe, quindi è mia.
Finalmente potrò sgomberare gli abusivi che l’hanno occupata in questi tristi anni di guerra.
Laabo dhegah, significa due pietre in italiano. Uno strano nome per una casa, forse non tanto di buon auspicio. Ma non me la sentirei di cambiarlo ora. Non avrebbe proprio senso cambiarlo. Con quel nome è nata e con quel nome è destinata a esistere.
La leggenda vuole che mio padre, Mohamed Ali Zoppe, abbia detto: «Queste sono le due pietre, i laabo dhegah, su cui costruirò il mio avvenire».
Chissà se l’ha detta veramente quella frase. Suona un po’ biblica.
Sta di fatto che ormai la leggenda si è impiantata nei nostri cuori e, anche se a scapito della verità, devo dire che le siamo affezionati in famiglia ormai.
Ogni notte prima di addormentarmi mi chiedo se potrò pure io, come mio padre, costruire nella nostra terra il poco di avvenire che mi è rimasto.
Ho detto a Lul se ci buttava un occhio a Laabo dhegah visto che sarebbe partita subito da Roma.
Le ho detto: «Ti prego. Conto su di te, abaayo, per conoscere ogni minimo dettaglio della mia casa che fu».
Era una giornata ventosa, i nostri foulard ballavano sull’architettura di Roma Capitale.
Io l’ho abbracciata e le ho detto: «Non ti scordare di Laabo dhegah, non ti scordare di me, sorella».
Non ha fatto promesse solenni.
Lul è stata la prima delle mie amiche a tornare. Mi ha chiamato dopo una settimana che stava a Mogadiscio, e mi ha detto «l’aria odora di cipolla». Non mi ha detto molto altro. Io le ho fatto domande su domande. Volevo sapere se era davvero cambiato tanto il nostro paese e se noi che da più di trent’anni viviamo fuori avremmo potuto legarci di nuovo alla nuova, nuovissima Somalia della pace.
«Ci crollerà il sogno?» le chiedevo. «Ce la faremo a viverci?» la incalzavo.
Lul però non ha risposto. Al telefono ripeteva «business», «money». Continuava a dirmi che il tempo di fare affari era ora, non domani. Ora il tempo dei denari. Ora il tempo dei guadagni.
«È la pace, bellezza,» ha sogghignato «se ci tieni alle tue due pietre, vieni.»
La pace. Prima di agosto credevo che la parola “pace” fosse una parola bella.
Nessuno mi aveva detto che “pace” è, di fatto, una parola ambigua.
Nel 1991 è scoppiata la guerra civile nel mio paese. Nel 2013 sta scoppiando la pace.
Hip hip hurrà!
Business è diventata l’idea fissa di tutti i somali.
Di Lul…

Ma io sono ancora a Roma e da qui mi sembra tutto così strano.

Mi piace Roma d’estate, soprattutto la sua luce di sera, sul far del tramonto, è calda, e anche i gabbiani diventano più buoni e viene voglia di abbracciarli. Sono i padroni delle piazze, ma qui ci sei tu, elefantino mio, e loro non si azzardano. Via, state lontano da piazza Santa Maria sopra Minerva! Mi sento protetta vicino a te. Qui sono a Magalo, a casa. Anche mio padre aveva le orecchie grandi, ma lui non mi ha mai saputo ascoltare, né io sono mai riuscita a parlarci. Con te è diverso. Per questo ringrazio Bernini di averti creato. Un piccolo elefante di marmo che sostiene l’obelisco più piccolo del mondo. Uno stuzzicadenti. Non offenderti se ti dico questo. Lo sai, io ho bisogno di te.
Lul è partita e non so ancora se la ritroverò. Ma tu me la ricordi. Sai ascoltare. Ho bisogno di essere ascoltata, altrimenti le parole si sciolgono e si perdono.
«Guarda la negra, parla da sola» dicono i passanti e ci indicano. Ma noi non badiamo a loro. Ci intendiamo a meraviglia io e te, dopotutto veniamo dall’Oceano Indiano. Il nostro oceano di magia e profumi. Oceano di separazioni e ricongiungimenti. Sei un errabondo, come me.
Ora è Lul a respirare il tanfo di tonno del nostro oceano.
A bere shai addes. A dare ordini trattando in malo modo le persone pensando che tutti siano i suoi adon.
La conosco Lul, è una brava ragazza e proprio per questo è la più perfida delle streghe.
Lul è in cima ai miei pensieri. Che starà facendo ora la mia amica in Somalia? In quale business si è ficcata alla fine?
E se la raggiungessi davvero? La valigia è pronta, non l’ho mai disfatta.
È pronta dal 1976. Dovrei prenderla e poi caricare il mio stanco corpo su un aereo per Ankara e da lì volare dritta dritta verso Mogadiscio.
Ma sto sognando a occhi aperti.
Ieri ho incontrato sul tram una ragazza. Era nera, rasata e con le cosce grosse. Eravamo sul 14, allo svincolo per Porta Maggiore. Mi fissava fin dalla stazione Termini. Ero infastidita dal suo sguardo puntuto. Avrei voluto voltarmi e dirle «Basta». Mischiare la lingua madre all’italiano di Dante e fare una di quelle belle scenate che vivacizzano il viaggiare sui mezzi pubblici a Roma. Avrei voluto essere volgare e debordante. Mi andava una bella scenata, così non avrei più pensato a Lul, a Laabo dhegah, alla strana pace somala. Ma poi la ragazza è stata furba. Mi si è avvicinata lentamente e senza quasi preavviso mi ha sparato la sua domanda: «Sei Adua, vero? L’attrice? Io l’ho visto il tuo film». E poi dopo una pausa di quelle studiate ha aggiunto: «Lo sai che fai impressione?».
Ero sgomenta.
Il mio film? C’era davvero qualcuno che si ricordava ancora di quel film?

Stai composta, Adua.

Togli quei gomiti dal tavolo. E asciugati quella bocca sudicia. La schiena dritta, per Dio. Perché te ne stai tutta floscia? Hai le mani zozze, lavatele subito, se no ti bastono. È questo il modo di guardare tuo padre, Zoppe, screanzata? Sei come tua madre, Asha la Temeraria, quella poco di buono. Tua madre, quella troia, che è morta lasciandomi qui solo con il mio amore. Come si è permessa di morire? Eh? Come si è permessa? Maledetta femmina! E tu? Morirai pure tu? Hai gli stessi occhi suoi, non li sopporto! Ma vedi come ti aggiusto io. Con me non si scherza, si riga dritto, ragazza. Ora la musica è cambiata, non è come nella boscaglia, dove ti viziavano. E, se non ubbidisci, lo sai cosa ti succede, sì? Ecco, allora stai dritta con quella schiena e per carità non piagnucolare. Mi urti i timpani. Zitta. Ecco, stai zitta!

Quarta di copertina
Adua, di Igiaba Scego, Giunti, 2018.

Igiaba Scego nel suo romanzo ci racconta la storia di una donna matura, Adua, che vive a Roma da quando ha diciassette anni. Adua è una Vecchia Lira, così i nuovi immigrati chiamano le donne giunte nel nostro paese durante la diaspora somala degli anni Settanta. Ha da poco sposato un giovane immigrato sbarcato a Lampedusa e ha con lui un rapporto ambiguo, fatto di tenerezze e rabbie improvvise. Adua è a un bivio della sua vita: medita di tornare in Somalia, paese che non ha più visto dallo scoppio della guerra civile. Ormai è sola Roma (la sua amica Lul è già rientrata in patria), per questo confida i suoi tormenti alla statua dell’elefantino del Bernini che regge l’obelisco in piazza Santa Maria sopra Minerva. Piano piano racconta a questo amico di marmo la sua storia: suo padre Zoppe, ultimo discendente di una famiglia di indovini, lavorava come interprete durante il regime fascista e negli anni Trenta baratta involontariamente la sua libertà con la libertà del suo popolo. Adua, fuggita dai rigori paterni e dalla dittatura comunista, approda a Roma inseguendo il miraggio del cinema.
Romanzo a due voci, quella di un padre e di una figlia, Adua indaga il loro rapporto impossibile e ci racconta il sogno di libertà che ha consumato in modi e tempi diversi le vite di entrambi.

★★★★★

Il buon giorno si vede dal mattino, dicono, e un buon incipit e una copertina accattivante possono essere il perfetto bigliettino da visita di un libro.
Secondo voi, quante stelline si merita il biglietto da visita di questo libro?

Tutti i nostri incipit:


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Recensione: Branchie, di Niccolò Ammaniti

Recensione: Branchie, di Niccolò Ammaniti

Recensione: Branchie, di Niccolò Ammaniti

Libri Recensione di Ornella Nalon. Branchie di Niccolò Ammaniti, Einaudi, edizione 2010. Uno spassoso romanzo breve che ha il sapore di una goliardata. 

Di Niccolò Ammaniti ho letto da poco Io non ho paura e sono rimasta affascinata sia dalla storia che dal suo stile di scrittura. Quando, su una bancarella, ho trovato il suo libro Branchie l'ho subito fatto mio e ho cominciato a leggerlo il prima possibile. Assoluta sorpresa! I due libri sono all'antitesi. È come voler comparare il caldo al freddo, il dolce al salato, il giorno alla notte.
In Branchie ho scoperto uno spassoso Niccolò Ammaniti autore di una storia umoristica con alcuni picchi di pura demenzialità che trasmette la sensazione di assistere a quei cartoni animati in cui tutto è possibile e nessuno si fa mai male.
Marco Donati è un giovane con la passione dei pesci e che grazie a questi si sarebbe costruito anche una produttiva e soddisfacente attività. Il condizionale è d'obbligo poiché da quando viene a sapere di essere ammalato di cancro ai polmoni, il suo interesse per il lavoro e per tutto il resto scema sino a farlo diventare una persona apatica che affoga le sue paure nell'alcool.
Con questa premessa si potrebbe pensare a una storia dagli sviluppi drammatici e infatti, per una quindicina di pagine è quello che ho creduto anch'io, ma la svolta si realizza quando a Marco arriva per posta la commessa di una facoltosa signora indiana per costruire nella sua villa il più grande e fornito acquario dell'India. Il compenso è decisamente lauto, ma più che altro il giovane pensa che questo potrebbe essere lo stimolo per concludere la sua vita in bellezza.

È da quando mette piede in India, che al protagonista di Branchie di Niccolò Ammaniti accade di tutto. 

 Scopre che la sua potenziale cliente non esiste all'indirizzo che gli ha dato, a più riprese viene inseguito da un gruppo di persone vestite d'arancione che lo vogliono rapire, ma dopo rocambolesche fughe riesce sempre a seminarli. Avrà a che fare con la più sordida delle persone, un certo Subotnik, che non solo si arricchisce con il commercio di organi e di parti anatomiche di persone che rapisce, ma prova anche piacere nel praticare le sevizie. Scopre che la madre è complice del malefico uomo perché in cambio si è completamente rifatta il corpo e il viso, coronando il suo sogno di tornare giovane e sexy.
Unica nota positiva: conosce un gruppo di musicisti, la Banda dell'Ascolto Profondo (BAP), tra cui una ragazza che gli ruberà il cuore, che ama esibirsi nei tombini per produrre un nuovo tipo di musica con effetto rimbombante. Si unirà a loro suonando un didgeridoo ricavato da una grondaia. A questo punto, il genere letterario non può che risultare chiarissimo.
Resta solo da dire che Niccolò Ammaniti sa coinvolgere con il suo tono scanzonato e un po' ruffiano, poiché fa raccontare la storia in prima persona a Marco Donati che spesso si rivolge direttamente al lettore, a volte in via confidenziale.

Spassosi gli stacchi in cui Niccolò Ammaniti passa dalla più assurda delle avventure, alla descrizione classica e poetica del paesaggio, come fosse il più formale dei romanzi.

È chiaro che egli si sia divertito a scrivere la storia quanto noi a leggerla, e sono convinta che questo libro costituisca una sua goliardata, tant'è che si tratta della sua prima opera letteraria (anche se revisionata) scritta nel 1993 quando stava ancora frequentando l'università. Ecco perché mi sentirò un po' ridicola a riportare i messaggi che vi ho scorto come: l'importanza dell'amicizia e dell'avere uno scopo per dare un senso alla vita, e non per ultimo, il trionfo del bene sul male. Non credo sia stato nei suoi propositi trasmettere tutto questo, anche se poi, in fondo, l'importante è ciò che ogni lettore sa trarre da quanto legge e se anche fosse soltanto qualche ora di svago, il libro avrebbe già un suo senso.



Branchie

di Niccolò Ammaniti
Einaudi
Narrativa
ISBN 880622171X
cartaceo 11,00€
ebook 6,99€

Sinossi
Protagonista di Branchie è Marco Donati, un ragazzo che studia il comportamento dei pesci, malato terminale, con madre ossessiva e fidanzatina. Dall'abulico trascinarsi da una festa all'altra nella Roma dei quartieri alti, Marco precipita in una avventura senza limiti, come un cavaliere senza paura, in un'India che sembra il capolavoro di un falsario pazzo. Road movies, videogames, quiz col domandone nei momenti piú critici, demenziali sport estremi, manie generazionali e molto altro, tutto Ammaniti frulla come in un «tramezzino ripieno di baccalà, broccoli, maionese e cipolle al curry».

Ornella Nalon
Ornella Nalon
I miei hobby sono: il giardinaggio, la buona cucina, il cinema e, naturalmente, la scrittura, che pratico con frequenza quotidiana. Scrivo con passione e trasporto e riesco a emozionarmi mentre lo faccio. La mia speranza è di trasmettere almeno un po’ di quella emozione a coloro che leggeranno le mie storie.
Quattro sentieri variopinti”, Arduino Sacco Editore
Oltre i Confini del Mondo”, 0111 Edizioni
Ad ali spiegate”, Edizioni Montag
Non tutto è come sembra”, 0111 Edizioni.
Una luce sul futuro, StreetLib collana Gli scrittori della porta accanto.
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Oltre i confini del mondo, un romanzo di Ornella Nalon

Oltre i confini del mondo, un romanzo di Ornella Nalon

Oltre i confini del mondo, un romanzo di Ornella Nalon

Libri Comunicato stampa. Oltre i confini del mondo (PubMe – Collana Gli Scrittori della Porta Accanto), un romanzo di Ornella Nalon. In una terra infuocata dal sole africano, Assireni ed Eleonora, due donne che il destino non è riuscito a piegare.

Dopo avere indossato un leggerissima camicia da notte in lino, sbocconcellato qualche biscotto e bevuto un bicchiere di latte, era pronta a effettuare il lavoro che si era ripromessa poco prima. Si sedette al tavolino affiancato alla parete, sotto alla finestra aperta da cui penzolava la zanzariera nuova che si era appena fatta installare, e in breve tempo batté a macchina tutto ciò che aveva scritto a penna, correggendo alcuni errori e rendendo il testo più discorsivo, ma cercando di non modificare i contenuti della conversazione. Rilesse le due paginette appena composte, le ripose all’interno di una cartellina e finalmente si stese a letto.
Il sonno, che solitamente sarebbe arrivato nel giro di un paio di minuti, quella notte sembrava tardare; non poteva fare a meno di paragonare l’infanzia di Assireni alla sua, e tutta una serie di ricordi che da tempo non riaffioravano nella sua mente apparvero di colpo, impedendole di dormire.
Pensò a sua madre, sempre impeccabilmente elegante e mai con un capello fuori posto, che aveva riposto nel cassetto la sua laurea in legge per dedicarsi alla famiglia, ed era così finita col diventare l’ombra del famoso e affermato chirurgo che aveva sposato. Forse fu proprio l’esigenza di crearsi un proprio ruolo, la causa per la quale delegò ad altre persone la mansione di accudire quella stessa famiglia che le aveva fatto rinunciare a tanto e il motivo per cui dedicò tutta se stessa a opere di carità.
[...] Pensò a suo padre, bello, distinto, ricco e famoso ma, per lei, figura quasi sconosciuta. Solitamente usciva da casa prima del suo risveglio e rientrava quando già era a letto. [...] Allora, come faceva sua madre, si convinceva che probabilmente quello fosse necessariamente il prezzo da pagare per godere dell’agiatezza in cui viveva, e barattava la necessità di un abbraccio o di un conforto con la futilità di un regalo o di un capriccio. Ornella Nalon, Oltre i confini del mondo


Oltre i confini del mondo

di Ornella Nalon
PubMe – Collana Gli Scrittori della Porta Accanto
Narrativa di viaggio
ISBN 978-8863076547

Quarta

In una terra infuocata dal sole della Tanzania, una Masai consuma la propria essitenza tra obblighi e impegni dettati da ataviche tradizioni che riconoscono, nella donna, i soli ruoli di moglie obbediente e madre devota. Assireni deve accettare tutto in silenzio, ma il suo equilibrio interiore ne risente.
Riuscirà a compiere un’unica scelta: quella di mettere al mondo una sola figlia, alla quale dedicherà tutto il proprio impegno per garantirle una totale emancipazione e, con essa, la possibilità di essere fautrice del proprio destino.
In parallelo, all’altro capo del mondo, una serie di vicissitudini, sconvolgeranno l’agiata e ovattata esistenza di Eleonora che la porterà a mettere in discussione tutto il proprio vissuto. La sua decisione di partire per una missione in Tanzania, sarà una fuga dalla propria effimera ricchezza, alla ricerca di un ideale che vada a colmare il proprio vuoto interiore.
Assireni ed Eleonora; due donne che il destino non è riuscito a piegare. Quello stesso destino che le ha fatte avvicinare e le ha messe a confronto; tanto diverse per i loro trascorsi eppure, emotivamente, del tutto simili.




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Ornella Nalon





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Recensione: Questione di virgole, di Leonardo G. Luccone

Recensione: Questione di virgole, di Leonardo G. Luccone

Recensione: Questione di virgole, di Leonardo G. Luccone

Libri Recensione di Davide Dotto. Questione di virgole. Punteggiare rapido e accorto, di Leonardo G. Luccone, Laterza 2018. Fin dove può spingersi la creatività di un autore nell'uso della punteggiatura? 

Qualcuno è convinto che le virgole siano usate quando è bene fare una pausa.
Non è del tutto vero. La funzione della punteggiatura è molto più articolata e complessa. Quando pensiamo a una pausa abbiamo in mente di solito la lettura di un brano o un discorso verbale, dimentichi delle dinamiche del testo scritto.
Fate una prova: prendete un testo ben scritto, leggetelo ad alta voce e vi accorgerete subito che le pause per la respirazione o per riprendere fiato non corrispondono sempre ai segni di punteggiatura, e nemmeno la durata delle nostre pause o il ritmo che abbiamo impresso alla lettura è proporzionale al peso dei segni.
Se trascriviamo un parlato è facile cadere in trappola e collocare virgole dove non vanno. Questo il vero nervo scoperto. La punteggiatura indirizza la lettura e, lungi dal governarla, contribuisce a darne il ritmo.
A cosa serve la punteggiatura, esattamente? Essa mette in luce i rapporti gerarchici tra le parti del discorso, rivelandosi opportuno baluardo contro pericolosi equivoci: «Grazia impossibile, giustiziarlo!», «Grazia, impossibile giustiziarlo!».
Per il resto c'è spazio - e non poco - per lo stile autoriale. La punteggiatura è in grado di impreziosire o pregiudicare un testo, a dimostrazione che essa è legata tanto al contenuto, quanto alla struttura e al ritmo.
Poteva succedere qualsiasi cosa, in quell’istante.
- Alessandro Baricco, Oceano Mare
Gente andava e veniva, e facevano baccano.
- Cesare Pavese, Il compagno
Le virgole di questi esempi non sono grammaticalmente necessarie, ma nemmeno superflue: sono una firma.

Fin dove può spingersi la creatività di un autore?

È una regola assodata che la virgola non possa separare il soggetto dal verbo. Tuttavia si considerino i seguenti esempi:
Il profluvio di parole con cui la bionda mi aveva strappata al sofà, non m’impedì di sentirmi anche qui un’intrusa, eppure sapevo da un pezzo che in questi casi c’è sempre chi sta peggio.
- Cesare Pavese, Tra donne sole
L’idea che per tutta l’estate avevan corso le autostrade stretti insieme sulla moto, mi fece una rabbia.
- Cesare Pavese, Il compagno
Che cosa ci sia dietro la mano, è questione controversa.
- Italo Calvino, «La penna in prima persona», da Le più belle pagine scelte da Calvino
Le virgole segnate in rosso non dovrebbero esserci dato che si intromettono tra un soggetto (anche se espanso) e il verbo. La cosa tuttavia non è così scontata come sembra. La seguente riflessione è chiarificatrice e spiazzante al medesimo tempo.
Come regolarsi di fronte alla tendenza a separare con una virgola il soggetto dal verbo, oppure il verbo dall’oggetto diretto o indiretto, quando gli elementi in questione sono contigui? Questa domanda ammette risposte differenziate, secondo che l’uso della virgola debba essere regolato unicamente dai rapporti sintattici tra i costituenti del nucleo della frase (il che avviene in situazioni non marcate pragmaticamente) o, al contrario, dalle relazioni che compongono la struttura informativa della frase stessa (il che avviene in condizioni di marcatezza semantico-pragmatica).
- Bice Mortara Garavelli, Prontuario di punteggiatura

Difficile stabilire una volta per tutte quando ci troviamo di fronte ad errori o a licenze meritevoli di attenzione.

Si aggiunga che non è ininfluente il tipo di componimento che abbiamo davanti: un testo scientifico o giuridico è più rigido di un saggio divulgativo (quale una recensione); un'opera letteraria ci mette a confronto con deroghe alquanto più spinte e al limite dell'eresia:
Lui, non raccontava mai nulla - Carlo Cassola
Si considerino le varianti: «Lui non raccontava mai nulla.», «Non raccontava mai nulla, lui.»
Il prete, non poteva dirle nulla - Pier Paolo Pasolini
Si considerino le varianti: «Il prete non poteva dirle nulla.», «Non poteva dirle nulla, il prete.»
Però, di tante belle parole Renzo, non ne credette una - Alessandro Manzoni
I precedenti rappresentano casi in cui il soggetto, messo in evidenza, motiva la difformità a una convenzione più che consolidata. Nel caso di Manzoni, Renzo è messo in evidenza nel momento in cui è assorbito nell'inciso. Se appaiono grammaticalmente scorrette, sono giustificate dal contesto, dal contenuto e dalla struttura della frase.

Sono solo alcune delle riflessioni cui conduce la lettura di Questione di virgole. Punteggiare rapido e accorto, di Leonardo G. Luccone. 

Pur non essendo una grammatica, da una parte è un discorso generale sulla punteggiatura, dall'altra una guida pratica che fa incetta di casi presi a prestito da letteratura, saggistica, quotidiani. È il modo migliore - l'esempio appunto - per capire che, se esistono regole sulla punteggiatura, esse non sono rigidamente codificate, ma derogabili in presenza delle più disparate situazioni e non destinate, quindi, ad applicarsi meccanicamente. Come ampiamente dimostrato, le esigenze del testo e la logica dell'interpunzione si intersecano e si condizionano a vicenda più di quanto si creda.


Questione di virgole
Punteggiare rapido e accorto

di Leonardo G. Luccone
Laterza
ISBN 978-8858130650
Cartaceo 13,60€
Ebook 9,99€

Sinossi
La virgola e il punto fermo hanno fagocitato il punto e virgola e i due punti. I catastrofisti dicono che rimarremo solo con il punto (o 'soli con il punto'): più che una scrittura telegrafica è un ritorno al telegrafo. Eppure, con una sola virgola ben messa si può illuminare una pagina. Allora, cosa si può e cosa non si può fare con questi segnetti meravigliosi? E soprattutto: come li hanno usati gli altri, quelli bravi e molto più autorevoli di noi? Questo libro tenta di fare chiarezza. Con semplicità e metodo, e la guida di mirabili scrittori, racconta gli usi corretti ed errati di virgola e punto e virgola, a partire da casi reali tratti da romanzi, saggi, articoli. Incontreremo autori che usano la punteggiatura in modo automatico e naturale, come se fosse il respiro del testo; altri che la usano come un'arma, come manifesto estetico ed esistenziale. Affronterete le incertezze della vostra punteggiatura, ad una ad una, anche quelle che non sapevate di avere. Sfideremo gli 'atroci dubbi', eviteremo le trappole, disinnescheremo le mine - con leggerezza e senza paura di sbagliare, perché la creatività ci permette di allargare i confini delle norme. Provate a tirare l'elastico: che i vostri segni-lucciola diventino fari per illuminare le vostre idee. Pronti a rifare la punta alla punteggiatura?

Davide-Dotto

Davide Dotto
Sono nato a Terralba (OR) vivo nella provincia di Treviso e lavoro come impiegato presso un ente locale. Ho collaborato con Scrittevolmente, sono tra i redattori di Art-Litteram.com e curo il blog Ilnodoallapenna.com. Ho pubblicato una decina di racconti usciti in diverse antologie.
Il ponte delle Vivene, Ciesse Edizioni.
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