Gli scrittori della porta accanto
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Recensione: Vittoria, di Barbara Fiorio

Recensione: Vittoria, di Barbara Fiorio

Vittoria, di Barbara Fiorio - Recensione

Libri Recensione di Gianna Gambini. Vittoria, di Barbara Fiorio, Feltrinelli, 2018. I moderni quarantenni, un gap generazionale che fatica a costruire il proprio futuro.

La realtà che descrive Barbara Fiorio, brillante scrittrice genovese e insegnante di scrittura creativa, è quella dell’Italia di oggi, in cui la crisi ha messo in ginocchio la generazione dei quarantenni: troppo giovani per aspirare ad una pensione anticipata, troppo vecchi per sperare in un contratto di apprendistato, ma dell’età perfetta per perdere il posto di lavoro da un giorno all’altro e per abbandonare l’utopia del posto fisso che aveva contraddistinto la generazione dei loro genitori.
Vittoria rientra perfettamente in questo gap generazionale: perde il lavoro, si butta nella sua passione, la fotografia, ma il contemporaneo abbandono da parte del suo compagno le toglie la vena creativa e anche la voglia di combattere. Il suo salvagente sono gli amici: Alice, che la ospita e si prende cura di lei, Irene che la sostiene a distanza e Giorgio, salda ancora a cui aggrapparsi quando il mare è in tempesta.
La convivenza con Federico è finita improvvisamente e come accade spesso, quando è solo uno della coppia a decidere che è il momento di chiudere, Vittoria si sente il mondo crollare sotto i piedi e, se fino a quel momento riusciva scorgere una luce particolare e unica nel mondo intorno a lei, adesso niente le appare degno di essere immortalato con l’obiettivo.
Monica, un’altra amica, le regala un mazzo di tarocchi a cui Vittoria non dà alcun peso, se non che, dopo una serata in una villa di una conoscente, intraprende la carriera di cartomante o, meglio, si dedica ad un’attività inedita: la fotomanzia. Riesce a leggere ciò che sta dentro le persone non tanto negli arcani minori o maggiori, ma piuttosto nei loro occhi, nei loro atteggiamenti.
Abile osservatrice quale è, Vittoria capisce che le persone che si siedono davanti a lei hanno bisogno soltanto di porsi delle domande e di sentirsi pronti per affrontarne le risposte.
Nella comunicazione con gli altri, passo dopo passo, Vittoria ritrova se stessa e anche il legame indissolubile che la lega alla sua passione: la fotografia.


Molto ben caratterizzati i vari personaggi restano impressi nella memoria, perché ognuno di loro racchiude dentro sé un aspetto della nostra vita che spesso ci siamo trovati ad affrontare.

E lasciano dentro l’amarezza per non aver incontrato, talvolta, la persona che ponesse la domanda giusta al momento opportuno. Tra tutte, Valentina è l’ospite di Vittoria che più mi ha colpito: pur essendo una donna bellissima, il rapporto in crisi con il marito le ha tolto la luce negli occhi e di conseguenza l’autostima: sarà l’obiettivo di Vittoria a restituirle la capacità di apprezzarsi e valorizzarsi. Tra gli amici di Vittoria, sebbene sia a quattro zampe, spicca Sugo, un gatto sornione che resta l’unico legame tra la protagonista e la casa in cui viveva con il suo compagno (per chi già conosce la scrittrice, impossibile non collegarlo con Brodo…).
Tra i capitoli più coinvolgenti mi piace citare quello in cui Vittoria si trova faccia a faccia con arcani minori e maggiori:
L’Imperatrice la si inquadra subito, è la diva della compagnia, bellissima e irraggiungibile, uno scettro in mano e due tori alle spalle, prova tu ad avvicinarti; l’imperatore sta su un piede solo come un fenicottero; il Papa su un trono, me lo terrei amico; l’Innamorato vale per due abbracciati e trafitti da Cupido; il Carro è una biga bondage, la trainano sfingi dal seno nudo, con un uomo a guardarle, una carta che sarà anche propizia ma di certo è discutibile; la Giustizia ricorda Atena e sento che sarà una delle mie preferite; l’Eremita invece assomiglia a Obi Wan Kenobi; mentre la Ruota della Fortuna sembra un party lisergico dove una sfinge tiene una spada, un uomo lupo si arrampica e un drago a tre teste cazzeggia.

Barbara Fiorio alterna brani di indiretto libero che segnano l’introspezione della protagonista a riflessioni sul mondo contemporaneo.

Tra le quali ho condiviso a pieno una considerazione sui social: 
Facebook è un luogo di una potenza inaudita, è la Circe che attira i marinai e li trasforma in porci, è il Pese dei Balocchi che tramuta i bambini in asini, è l’eden degli ego ipertrofici, è il palcoscenico di chi è sempre stato tappezzeria alle feste … È il luogo in cui la democrazia viene scalzata dall'anarchia più becera.
In conclusione, Vittoria è un romanzo davvero ben costruito, scorrevole, apparentemente leggero, ma che scava dentro nella profondità del nostro io e anche nei meandri di una società che ci obbliga a reinventarsi ogni giorno. Se con la fotomanzia Vittoria riesce a leggere dentro l’anima dei suoi poliedrici ospiti, devo ammettere, che leggendo le sue riflessioni, ha il potere quasi paranormale di leggere dentro anche all’anima dei suoi lettori.


Vittoria

di Barbara Fiorio
Feltrinelli
ISBN 978-8807032905
Cartaceo 12,75€
Ebook 8,99€

Sinossi
Vittoria non crede nella spiritualità dei manuali, negli aforismi da calamite e soprattutto non crede nei cartomanti: molto meglio un piatto di trenette al pesto con un'amica che farsi leggere i tarocchi. Fotografa genovese con alle spalle alcune pubblicità di successo, è sempre riuscita a navigare tra le difficoltà della vita grazie a un valido mix di buonsenso e ironia. Credeva anche di aver trovato l'amore ma, quando Federico se ne va, lasciandola sola in una casa piena di ricordi, il mondo le crolla addosso. Disorientata e in profonda crisi creativa, Vittoria si ritrova a quarantasei anni senza compagno, senza lavoro e senza sapere più con quali soldi comprare le crocchette a Sugo, il suo adorato gatto. A soccorrerla arriva un aiuto inatteso, sotto forma di un mazzo di tarocchi che suo malgrado, e nonostante il suo scetticismo, scopre di saper leggere con imprevedibile talento. E così, tra la carta dell'Eremita che le ricorda Obi-Wan Kenobi e la Ruota della fortuna che sembra un party psichedelico, nel suo salotto fanno la loro comparsa tanti volti nuovi, consultanti di ogni età che le portano uova fresche, insalatina a chilometro zero e ratafià in cambio di un vaticinio. Circondata da anime gentili che come lei cercano di rammendare il loro cuore spezzato, e da amici fidati che per mesi la incoraggiano e la proteggono, Vittoria senza rendersene conto tornerà pian piano ad ascoltare il mondo che la circonda ritrovando, insieme alla vena creativa, la forza di credere in se stessa.

Gianna Gambini
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A maggio, 5 mostre d'arte da non perdere

A maggio, 5 mostre d'arte da non perdere

A maggio, 5 mostre d'arte da non perdere - Arte

Arte Di Gianna Gambini Mostre di maggio: arte e cultura in Italia tra le due guerre, Impressionismo e avanguardie,  le donne di Picasso, le opere di Man Ray a San Gimignano e a Roma una mostra dedicata ai 50 anni delle rivolte studentesche del '68.

Molte le mostre in corso nelle nostre città italiane da non perdere.

Dreamers. 1968: Come eravamo, come saremo, a Roma dal 5 maggio

Il Museo di Roma in Trastevere, in occasione del cinquantesimo anniversario delle rivolte operaie e studentesche del 1968, ospita, fino al 2 settembre,  Dreamers. 1968: Come eravamo, come saremo una mostra fotografica e multimediale. Il percorso espositivo offre 171 immagini, di cui più di 60 inedite, una raccolta di oggetti d’epoca tra i quali un juke boxe, un ciclostile, una macchina da scrivere Valentine, la Coppa originale vinta dalla Nazionale italiana ai Campionati Europei, la maglia della nazionale italiana indossata da Tarcisio Burgnich durante la finale con la Jugoslavia, la fiaccola delle Olimpiadi di Città del Messico.
I grandi “sognatori del futuro”; ovvero Martin Luther King e Bob Kennedy guideranno il pubblico all’interno della cronaca internazionale del ’68: dalla guerra del Vietnam alla segregazione razziale negli USA, dalla presidenza di Nixon alla fine della Primavera di Praga, dalla Grecia dei colonnelli al maggio francese, si ripercorreranno alcuni degli eventi che hanno influenzato e cambiato le sorti della storia del mondo.
Le occupazioni, le contestazioni e le rivolte studentesche saranno invece i temi affrontati nella sala “Il movimento fra occupazioni e tazebao - Valle Giulia”; in particolare saranno ripercorsi i tragici scontri tra studenti e forze dell’ordine avvenuti nella famosa Battaglia di Valle Giulia (Roma, 1 marzo 1968) L’esposizione proseguirà nella sala “Le due Italie: dal Belice al Piper”: da un lato si vedrà l’Italia della gente comune e delle famiglie, in opposizione ad essa, invece, verrà narrata l’Italia del Piper Club.
La mostra stimolerà i vari sensi del visitatore che oltre ad osservare le opere esposte si troverà immerso in un mondo sonoro e di immagini particolarmente suggestivo. Emozionante e toccante la sala in cui si sovrappongono i suoni del 1968: le voci dei contestatori e testimonianze sonore dei protagonisti dell’epoca vi catapulteranno indietro di cinquant’anni.
Per info: www.museodiromaintrastevere.it

Post Zang Tumb Tuuum. Art life politics: Italia 1918-1943, a Milano fino al 25 giugno

Post Zang Tumb Tuuum. Art life politics: Italia 1918-1943, a Milano fino al 25 giugno

Milano in questi giorni ospita presso la Fondazione Prada (Largo Isarco, n. 2) un’esposizione dal titolo Post Zang Tumb Tuuum. Art life politics: Italia 1918-1943, che esplora il sistema dell’arte e della cultura in Italia tra le due guerre mondiali. La ricerca prede avvio dallo studio di documenti e fotografie storiche che rivelano il contesto spaziale, sociale e politico in cui le opere d’arte sono state create dagli artisti e interpretate dal pubblico dell’epoca. Germano Celant, il curatore della mostra, ha potuto raccogliere oltre 600 lavori, tra dipinti, sculture, disegni, fotografie, manifesti, arredi, progetti e modelli architettonici, realizzati da più di 100 autori. Tra i nomi più noti ricordiamo opere originali di artisti come Giacomo Balla, Carlo Carrà, Felice Casorati, Giorgio de Chirico, Fortunato Depero, Filippo de Pisis, Arturo Martini, Fausto Melotti, Giorgio Morandi, Scipione, Gino Severini, Mario Sironi, Arturo Tosi e molti altri ancora. Ad arricchire il percorso espositivo, 29 cinegiornali integrali, selezionati in collaborazione con l’Istituto Luce – Cinecittà, distribuiti nelle sale italiane tra il 1929 e il 1941 che documentano le fasi di allestimento e i momenti di inaugurazione di alcuni tra i principali eventi espositivi e culturali del periodo. 

Impressionismo e Avanguardie. Capolavori dal Philadelphia Museum of Art, a Milano fino al 2 settembre

Impressionismo e Avanguardie. Capolavori dal Philadelphia Museum of Art, a Milano fino al 2 settembre

Palazzo Reale, fino al prossimo 2 settembre ospita l’esposizione Impressionismo e Avanguardie. Capolavori dal Philadelphia Museum of Art. I visitatori potranno apprezzare oltre 50 opere selezionate provenienti dal celebre museo statunitense. Le opere, appartenenti al movimento artistico impressionista, sono conservate abitualmente a Philadelphia, poiché alla fine del 1800 era una città in cui vivevano molti facoltosi collezionisti. Per l’esposizione italiana sono state scelte opere importantissime e significative quali: Il sentiero riparato (1863) di Monet, I grands Boulevards (1875) di Renoir, Donna con collana di perle in un palchetto (1879) di Mary Cassatt, Donna seduta in poltrona (1920) di Matisse. E molti altri da scoprire in un’ambientazione che mira a valorizzare la straordinarietà di tali grandi opere.
Per info: www.palazzorealemilano.it

Picasso. L’altra metà del cielo, in Puglia fino al 4 novembre

Picasso. L’altra metà del cielo, in Puglia fino al 4 novembre

Nei mesi estivi, a partire dallo scorso 24 aprile, la Puglia ospita le donne di Picasso, nell’esposizione Picasso. L’altra metà del cielo. L’esposizione è distribuita su tre diverse location, visitabili con un unico biglietto: il Palazzo Ducale di Martina Franca, il Castello Normanno Svevo di Mesagne e il Palazzo Tanzarella a Ostuni.
L’eccezionalità della mostra verte nel fatto che le 217 opere ospitate provengono tutte da collezioni private e molte di esse non sono mai state esposte prima. Ad accompagnare le opere grafiche del grande artista spagnolo c’è un acquerello della sua compagna di vita Dora Maar, 19 grafiche di Françoise Gilot e circa 80 foto del grande amico di Picasso, Edward Quinn. La mostra sarà visitabile per tutta la stagione estiva, fino al prossimo 4 novembre.
Per info: www.picassoinpuglia.com

Man Ray. Wonderful visions, a San Gimignano fino al 7 ottobre

Man Ray. Wonderful visions, a San Gimignano fino al 7 ottobre

La meravigliosa cittadina di origine medievale San Gimignano (Siena), che già di per sé merita una visita in quanto museo a cielo aperto, ospita fino al prossimo 7 ottobre la mostra Man Ray. Wonderful visions. Presso la Galleria d’arte moderna e contemporanea Raffaele De Grada. Lo spazio espositivo ospita più di cento fotografie del celeberrimo artista esposte in ordine cronologiche al fine di permettere al visitatore di cogliere le differenze e l’evoluzione dell’opera complessiva del fotografo. La ricchezza del messaggio di Man Ray risiede nell’ottica surrealista, ovvero nella sua straordinaria capacità di cogliere anche negli oggetti di uso quotidiano un potere misterioso, straniante, enigmatico. Per questo il percorso attraverso le sue opere appare una via magica, inquietante e al contempo affascinante. 

Gianna Gambini
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Recensione: Bella mia, di Donatella Di Pietrantonio

Recensione: Bella mia, di Donatella Di Pietrantonio

Bella mia, di Donatella Di Pietrantonio - Recensione

Libri Recensione di Gianna Gambini Bella mia, di Donatella Di Pietrantonio, Einaudi, 2018. Dall'autrice dell'Arminuta, un romanzo sul dolore della perdita, sullo spaesamento dovuto alla distruzione e all'assenza senza lasciare spazio ad alcuna ostentazione o sentimentalismo.

Come scelgo i libri da leggere? Dipende. I consigli di lettori forti di cui condivido i gusti e le inclinazioni sono spesso il primo passo per avvicinarmi ad un autore. In seguito, se un romanzo mi piace, mi procuro altre opere pubblicate in precedenza.
Donatella Di Pietrantonio l’ho scoperta proprio così: dopo la sua affermazione con la vittoria del Premio Campiello del suo romanzo L’Arminuta, ne ho letto la recensione di una scrittrice di cui spesso condivido le opinioni, Elena Genero Santoro. 


Dopo aver divorato L’Arminuta, averne apprezzato la trama e soprattutto lo stile diretto e assolutamente privo di inutile retorica, ho cercato e letto avidamente in una delle tante domeniche di pioggia di questa primavera un po’ pigra, il romanzo Bella mia, uscito per la prima volta nel 2014 per la casa editrice Elliot e pubblicato nel 2018 da Einaudi con una postfazione inedita dell’autrice.
Il terremoto che ha colpito L’Aquila nel 2009 ha scosso la terra d’Abruzzo e ha distrutto complessi architettonici ritenuti indistruttibili e al contempo ha frantumato e devastato la vita dei tanti abitanti che hanno visto sgretolarsi tra le mani sogni e certezze.

Caterina, la protagonista del romanzo, non ha perso soltanto la casa e il laboratorio di ceramica a seguito delle scosse.

Ha perso anche sua sorella gemella Olivia, madre di Marco, un adolescente incapace di orientarsi nel suo corpo improvvisamente cresciuto e nel mondo circostante fatto di macerie e distruzione.
Dopo un breve periodo di convivenza con il padre Roberto, musicista romano, Marco decide di vivere con la zia e con la nonna nelle C.A.S.E (Complessi Antisismici Sostenibili ed Ecocompatibili) e di proseguire gli studi nella sua città.
Per Caterina, che ha scelto di non diventare madre, non è facile trovarsi ogni giorno faccia a faccia con un nipote semisconosciuto che ha in comune con il bambino che amava coccolare soltanto i riccioli neri che troppo spesso ricadono sul volto a nascondere gli occhi.
Non ne ho mai voluti di bambini, non mi sono mai creduta capace di provvedere a un altro, già è troppo stare in piedi da sola. 
Il dialogo tra zia e nipote appare impossibile, il loro canale comunicativo sembra intasato dai troppi silenzi, tanto che i rari momenti di confidenza e familiarità che li legano compaiono spesso dopo un guaio combinato dal ragazzo maldestro tanto nei movimenti quanto nell’affrontare la vita, che gli ha riservato un destino difficile da sostenere. Il compito della zia non è quello di sostituire la madre, ma deve riallacciare i fili delle relazioni interrotte, in particolare quello tra padre e figlio, un filo tanto fragile e instabile quanto necessario. In questo Caterina è aiutata dalla madre che nel suo ruolo di nonna trova un flebile appiglio nello sconforto di aver perso Olivia, la figlia.


Bella mia di Donatella Di Pietrantonio è un romanzo sul dolore della perdita, sullo spaesamento dovuto alla distruzione e all'assenza, costruito però sulle percezioni delle realtà, senza lasciare spazio ad alcuna ostentazione o sentimentalismo. 

Alcuni episodi narrati con crudele realismo colpiscono il lettore e si imprimono nella memoria in modo indelebile. Emblematica in tal senso è la vicenda di Lorenza che ha perso la sua bambina a causa del terremoto e il suo dramma viene descritto nell'assenza percepita anche nei piccoli gesti quotidiani: 
[Marco] vede prima di me la vicina che ha perso la bimba nel terremoto. È così senza peso e forza che non riesce ad abbassare con il piede la leva per aprire il cassonetto dei rifiuti. Marco lo fa per lei, le prende anche il sacco dalla mano e lo lancia dentro.

Un altro aspetto fondamentale del romanzo è quello di rendere palese la discrepanza tra la percezione che hanno gli spettatori dei programmi televisivi sul dramma degli abitanti delle zone colpite dal terremoto e la realtà dei fatti, le vite vissute da chi a causa delle scosse ha perso tutti i beni materiali. 

Tali beni non hanno solo un valore economico, facilmente rimpiazzabile, ma sono i ricordi di una vita intera, legami che non potranno mai più essere allacciati. La percezione che si ha, leggendo Bella mia di Donatella Di Pietrantonio è di abbandono da parte dello stato e anche della stessa opinione pubblica: i concerti, le visite dei politici e degli inviati della Tv del dolore sono solo una manifestazione di apparente solidarietà che non ha cambiato in alcun modo la situazione degli sfollati.
Nel campo eravamo deportati di lusso, venivano cuochi famosi a cucinare per il nostro scarso appetito e politici a visitarci con i vestiti sportivi adatti alla circostanza e le facce atteggiate a solidarietà. Le telecamere li filmavano sullo sfondo blu delle tende mentre prendevano impegni per pronta rinascita dell’intera area colpita dal sisma e lodavano il coraggio e la dignità della popolazione così duramente provata. Me ne andavo a camminare fuori, per non ascoltarli, o me ne stavo sulla branda.

Il romanzo ha un andamento semicircolare, ovvero si parte da un intero distrutto improvvisamente dal terremoto e durante il corpo centrale dalla narrazione c’è un tentativo di rimettere insieme i pezzi di un’esistenza frantumata. 

La conclusione ci fa capire che il tempo non aggiusta le cose, ma tenta di riportare le vite dei protagonisti verso una pseudo-normalità che non sarà mai simile all'intero iniziale. La corrente della vita, infine, appare più forte di tutto e ognuno a suo modo torna a percepire il battito del proprio cuore,non più intatto, ma sicuramente aperto al futuro.
Raramente nei notiziari si fa ancora riferimento alla ricostruzione dell’Aquila, ai cantieri, alla corruzione che ha rallentato il procedimento di recupero e l’arrivo degli aiuti economici, ma non si parla mai di chi ha vissuto in prima persona il dramma del terremoto, per questo vorrei concludere questa recensione con le parole con cui Donatella Di Pietrantonio chiude la postfazione:
Di quello che gli aquilani si portano dentro nessuno parla.


Bella mia

di Donatella Di Pietrantonio
Einaudi
ISBN 978-8806237998
Cartaceo 10,2€
Ebook 7,99€

Sinossi
Ritrovarsi alle prese con un adolescente taciturno e spigoloso che è quasi uno sconosciuto, inventarsi madre quando quell'idea era già stata abbandonata da tempo. È ciò che succede a Caterina, la protagonista di Bella mia, quando Olivia, la sorella gemella che sembrava predestinata alla fortuna, rimane vittima del terremoto dell'Aquila, nella lunga notte del 6 aprile 2009, lasciando il figlio Marco semiorfano. Il padre musicista vive a Roma e non sa come occuparsene, perciò tocca a Caterina e alla madre anziana prendersi cura del ragazzo, mentre ciascuno di loro cerca di dare forma a un lutto che li schiaccia. Ma è in questo adattamento reciproco, nella nostalgia dei ricordi, nella scoperta di piccole felicità estinte, nei gesti gentili di un uomo speciale che può nascondersi la forza di accettare che il destino, ancora una volta, ci sorprenda. Bella mia è un romanzo di grande intensità che parla con un linguaggio scarno ed essenziale dell'amore e di ciò che proviamo nel perderlo. Ma soprattutto della speranza e della rinascita: la rinascita di una città squassata dal sisma e la rinascita ancora piú faticosa della fiducia nella vita.

Gianna Gambini
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Ketty La Rocca in mostra a Ferrara

Ketty La Rocca in mostra a Ferrara

Ketty La Rocca in mostra a Ferrara

Arte Di Gianna Gambini Dal 15 aprile al 3 giugno, la Galleria d'Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara ospita, all'interno della XVII Biennale Donna, le opere di Ketty La Rocca.

Questo mese vorrei soffermarmi su una mostra che verrà proposta a Ferrara, città che merita di essere visitata in ogni stagione, ma soprattutto in primavera, magari in sella ad una bicicletta e con l’occorrente per un picnic in uno dei tanti bei parchi che rendono estremamente vivibile e accogliente questo capoluogo di provincia emiliano.
La Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara, all’interno della XVII Biennale Donna, ospiterà a partire dal 15 aprile, fino al prossimo 3 giugno una retrospettiva di una grande artista italiana troppo poco nota al grande pubblico: Ketty La Rocca.
L’artista nata a La Spezia nel 1938, ma trasferitasi a Firenze per compiere gli studi al Conservatorio di Luigi Cherubini che lavorava nell'ambito della musica elettronica, stabilisce contatti con il Gruppo 70 e nel 1964 realizza i primi collages. Sono interessanti lavori in cui l’artista reinterpreta in modo amaramente ironico i messaggi dei mass media e del crescente consumismo.

Due sono i filoni di indagine prediletti da Ketty La Rocca.

Uno è la condizione della donna, di cui l’immagine di donna perfetta, madre e moglie felice, viene sfruttata in ambito pubblicitario, al fine di creare uno stereotipo che mal si confà alla realtà emergente dell’emancipazione femminile. In Vergine (1964) viene evidenziata la contraddizione tra il mito dell’illibatezza e la volontà di rendere il corpo femminile un oggetto di consumo, mentre in Sono felice (1965) denuncia la consuetudine di paragonare la donna ad un oggetto addetto alla manutenzione della vita quotidiana.
L’altro campo d’interesse dell’artista agli esordi è l’indagine sulla responsabilità politica e sociale di situazioni critiche che si verificavano nel mondo a lei contemporaneo, quali la guerra in Vietnam, la povertà in alcune zone del mondo, dovuta alla crescente ambizione imperialistica occidentale. Nel collage Bianco napalm (1967) denuncia apertamente il silenzio della Chiesa cattolica verso la feroce guerra che sta avendo luogo nel sud-est asiatico, unendo il bianco, simbolo di pace e di purezza, alla bomba incendiaria usata dagli eserciti statunitensi.
In Sana come il pane quotidiano (1965) si uniscono in un’unica opera l’interesse verso la donna limitata dalla cultura cattolica italiana, ma esaltata nella sua immagine corporea, indiscutibilmente oggetto e obiettivo del messaggio consumistico e lo strapotere occidentale che rende difficile la sopravvivenza delle madri nel sud est asiatico e dei loro figli a cui non restano altro che povere ciotole di riso.
Dopo il 1968, si sciolse il Gruppo 70.
Dall'editoriale di Gianna Gambini Ketty la Rocca e il "Gruppo 70"

Il filo conduttore della mostra è la comunicazione data sia dalle immagini che dalle parole, usate anche come segno, simbolo, significante.

Il filo conduttore della mostra è la comunicazione data sia dalle immagini che dalle parole, usate anche come segno, simbolo, significante. 

Ketty La Rocca, pur restando fedele alle tematiche a lei care, sviluppa un’arte personale, legata a doppio filo con il messaggio scritto, con il significante più che con il significato.
Le mani, invece, divengono espressione di quello stesso significato perso dal messaggio scritto, comparendo nelle varie opere come mezzo di comunicazione esplicita e immediata.
L’esposizione a cura di Francesca Gallo e Raffaella Perna, e realizzata in collaborazione con l’Archivio Ketty La Rocca di Michelangelo Vasta, figlio dell’artista, propone un’ampia selezione di opere basate sul rapporto tra linguaggio verbale e corpo, fulcro della poetica dell’artista.
Insieme a una selezione di circa cinquanta lavori scelti tra i più rappresentativi delle varie serie dell’artista – dai collage verbovisivi ai cartelli, dai videotape alle sculture sagomate, dalle Riduzioni alle Craniologie – l’esposizione propone alcuni progetti, opere e materiali documentari mai esposti prima in Italia.
La mostra della XVII edizione della Biennale Donna, inoltre, si arricchisce dei prestiti del Mart di Rovereto, de La Galleria Nazionale, della Collezione Palli, della Collezione Frittelli, delle Teche Rai e della Quadriennale d’Arte di Roma.

Per ulteriori informazioni: www.mam-e.it

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A marzo, 4 mostre d'arte da non perdere

A marzo, 4 mostre d'arte da non perdere

A marzo, 4 mostre d'arte da non perdere

Arte Di Gianna Gambini Mostre di marzo: l'archivio storico di tavole illustrate della Salani Editrice a Firenze, mentre Ferrara dedica una mostra agli Stati d'animo ispirati dalla pittura di artisti come de Chirico e Boccioni.

Sebbene la primavera fatichi ad arrivare, in questi ultimi scampoli di inverno, sono molti i validi motivi che l’arte ci offre per visitare le maggiori città italiane.

Stati d'animo. Arte e Psiche, tra Previati e Boccioni, a Ferrara fino al 10 giugno

Imperdibile la mostra inaugurata sabato 3 marzo presso il Palazzo dei Diamanti di Ferrara: Arte e Psiche. Tra Previati e Boccioni. Divisionismo, Simbolismo e Futurismo sono le tre correnti messe a confronto nell’esposizione che ospita alcuni tra i capolavori di artisti di spicco della scena artistica italiana: Giovanni Segantini, Gaetano Previati, Giuseppe Pellizza da Volpedo, Angelo Morbelli, Medardo Rosso, Giacomo Balla, Giorgio de Chirico, Umberto Boccioni e Carlo Carrà. Le opere esposte hanno come filo conduttore l’influenza della recente rivoluzione darwiniana e degli studi sulla psiche e sulle emozioni dell’essere umano che ben si amalgama con l’uso di tecniche pittoriche sperimentali. Fulcro della mostra il trittico Stati d’animo, che dà il nome alla mostra stessa, realizzato da Boccioni. Sarà possibile osservare le opere degli artisti suddetti fino al 10 giugno 2018.


Nascita di una nazione, tra Guttuso, Fontana e Schifano, a Firenze dal 16 marzo al 22 luglio

Nascita di una nazione, tra Guttuso, Fontana e Schifano, a Firenze dal 16 marzo al 22 luglio

Dopo il successo di pubblico e critica dell’esposizione delle opere di Michelangelo e degli altri artisti del Cinquecento, Palazzo Strozzi a Firenze ospiterà la mostra Nascita di una nazione, tra Guttuso, Fontana e Schifano a partire dal prossimo 16 marzo.
Ottanta opere di artisti del calibro di Renato Guttuso, Lucio Fontana, Alberto Burri, Emilio Vedova, Enrico Castellani, Piero Manzoni, Mario Schifano, Mario Merz e Michelangelo Pistoletto permettono al visitatore di ripercorrere attraverso l’arte i cambiamenti della società italiana tra gli anni Cinquanta e il 1968.
La presentazione degli artisti risulta inedita, poiché per la prima volta sono riunite opere afferenti a contesti culturali diversi che evidenziano la metamorfosi della società italiana nel periodo del secondo dopoguerra, del miracolo economico, e negli anni della contestazione giovanile, che ha permesso alla società odierna di acquisire il concetto di libertà individuale.
Nella mostra vengono avvicinate correnti artistiche molto diverse tra loro, ma spesso contemporanee, quali il Realismo, l’Astrattismo, la Pop Art, ed infine l’arte Informale e l’arte povera. La mostra chiuderà i battenti il 22 luglio.

Pinocchio, Harry Potter, Topolino, Heidi e tutti gli altri..., a Firenze fino al 3 giugno

Pinocchio, Harry Potter, Topolino, Heidi e tutti gli altri..., a Firenze fino al 3 giugno

A Firenze, nello splendido scenario di Villa Bardini, nei pressi del Giardino di Boboli, che offre proprio in primavera il suo volto migliore, dal 13 febbraio scorso è possibile visitare Pinocchio, Harry Potter, Topolino, Heidi e tutti gli altri... Una mostra fra illustrazioni e sogni dell’Archivio Storico Salani. La mostra è un’occasione unica per scoprire i tesori della storica casa editrice fiorentina, attiva da oltre 155 anni, che ha popolato con i suoi personaggi i sogni e la fantasia di milioni di bambini. Considerati oggi delle vere e proprie icone, Cappuccetto Rosso, Heidi, Harry Potter, Topolino e molti altri sono vividi nell’immaginario di ogni generazione. La parte più preziosa dell’esposizione, a mio avviso, è quella in cui vengono presentati i disegni e le tavole originali realizzati per le collane Salani ragazzi storiche: Primi amici del bambino, Grandi piccoli libri, “La biblioteca dei miei ragazzi. È possibile visitare la mostra fino al prossimo 3 giugno.


Antonio Ligabue a Genova fino al 1° luglio

Antonio Ligabue a Genova fino al 1° luglio

Sotto la nuova direzione di Luca Bizzarri, Palazzo Ducale a Genova ospita, a partire dal 3 marzo, una mostra antologica dedicata all’opera di Antonio Ligabue, un grande autore del Novecento noto per la sua originalità. La mostra propone 80 opere tra dipinti, sculture, disegni e incisioni. Le creazioni dell’artista sono esposte nei due poli principali e rappresentano gli animali selvaggi, quelli domestici e gli autoritratti. Tigre reale (1941) è uno dei dipinti più interessanti tra quelli che ritraggono gli animali selvaggi, mentre gli animali domestici sono sempre ritratti in un ambiente di campagna che ricorda la Bassa Reggiana, luogo in cui il poeta ha passato molti anni della propria vita. Le opere più incisive e empatiche sono gli autoritratti, in cui il volto in primissimo piano dell’autore trasmette a chi lo osserva una sensazione di disagio, data dall’angoscia, il dolore e lo smarrimento che invade lo sguardo sofferente del pittore. La presenza ingombrante del volto dell’autore che sovrasta lo sfondo, sembra chiedere a chi incrocia lo sguardo di vederlo, di percepire quanto il dolore sia un compagno di vita pesante, che lo accompagnerà fino al capitolo conclusivo della sua difficile esistenza. Palazzo Ducale accoglierà le opere di Ligabue fino al 1° Luglio.
Per info: www.palazzoducale.genova.it

Gianna Gambini
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Recensione: L'amore che non è, di Gianpaolo Trevisi

Recensione: L'amore che non è, di Gianpaolo Trevisi

L'amore che non è, di Gianpaolo Trevisi - Libri, recensione

Libri | Recensione di Gianna Gambini. L'amore che non è di Gianpaolo Trevisi, Gabrielli Editori. I sentimenti delle donne maltrattate, diverse per età, provenienza, tratti fisici e caratteriali, avvicinate da un divisore comune: la violenza domestica.

Credo che per qualunque grande cambiamento, in ogni campo, non si debba sempre aspettare l’arrivo della legge più giusta o di quella meno sbagliata, ma si debba cominciare da molto prima, facendo accendere proprio all’interno delle aule scolastiche i primi focolai di una rivoluzione culturale che può cambiare davvero tutto.
Giampaolo Trevisi, autore della raccolta di racconti L’amore che non è, ha lavorato nella Squadra Mobile della Questura di Verona e la sua esperienza a contatto con le violenze quotidiane ha dato spunto alla stesura delle storie che si susseguono nel volume. È l’autore stesso a dire che le vicende narrate prendono vita prima di tutto nella sua fantasia, sebbene attingano in parte alle realtà con cui Trevisi è venuto in contatto durante la sua carriera.
Ogni racconto ha per protagonista o per co-protagonista una donna: età diverse, provenienza diversa, tratti fisici e caratteriali differenti, ma sono tutte avvicinate da un massimo comun divisore, ovvero la violenza che hanno subito da uomini a loro molto vicini. Ci sono vicende che si sviluppano tra le mura di una casa e che rimangono latenti all’interno di un’abitazione che, per quanto da fuori possa apparire un castello dorato, si rivela una prigione al cui interno si verificano torture inaudite. 


L'amore che non è: ogni storia colpisce il lettore e lo immerge in una realtà parallela di cui è difficile liberarsi.

Alcune di esse restano scolpite e come fossero un susseguirsi delle scene di un film costruito da una regia sapiente, si traducono in immagini vivide e profondamente realistiche.
Il libro si apre con una lettera di una ragazza al padre, in cui prevale la sofferenza per un legame ormai concluso con un uomo fondato sulla possessività, ma anche l’affetto sincero di una figlia che cede al bisogno di confessare le proprie sofferenze all’unico punto di riferimento maschile che ha conosciuto in vita. Tra le vicende narrate spicca il rapporto tra due gemelle, che pur vivendo ai lati opposti del globo terrestre, riescono a intercettare l’una i bisogni dell’altra sconfiggendo la violenza e l’odio di cui una delle due è vittima. Interessante la vicenda che vede per protagonista una dottoressa che assume l’incarico di Assessore per la difesa del sorriso della donna (assessorato purtroppo ancora inesistente nelle amministrazioni italiane) e durante un’intervista, dai risvolti inaspettati, racconta la storia che l’ha spinta a occuparsi delle donne che hanno subito violenza. Tra i racconti mi ha colpito anche la storia di Amal che è legata a quella della crescita anomala di un salice piangente e la confessione-sfogo di un uomo che, accecato dalla sete del possesso della donna che dice di amare, alterna una doppia personalità, resa magistralmente da un duplice registro stilistico.
Gli aspetti che rendono questa raccolta un volume prezioso, sono molti, ma primo tra tutti mi piace evidenziare che l’autore è un uomo e questo a mio avviso è un valore aggiunto perché, oltre che interpretare in modo sensibile e plausibile i sentimenti delle donne maltrattate, trasmette un messaggio di fondamentale importanza: la lotta per i diritti delle donne e contro la violenza su di esse, non sarà mai totalmente efficace fin quando sarà considerata soltanto una lotta di genere.

La tutela delle donne deve essere una lotta condivisa sia dagli uomini sia dalle donne. 

Infatti in L'amore che non è la bestialità di certi gesti viene additata da entrambi i generi (tra i personaggi spicca un poliziotto, di stampo forse autobiografico, che riesce a intercettare i bisogni di una donna in difficoltà ancor meglio della sua collega donna).
La lettura del libro risulta avvincente, rapida e mai noiosa grazie anche al continuo cambio dei punti di vista, che rendono la narrazione varia e viva, oltre che estremamente realistica. Questo esercizio di stile, che poteva diventare difficile da sostenere, è invece il valore aggiunto di L'amore che non è che mostra la capacità narrativa dello scrittore. Un libro da leggere, dunque, sia per l’importante tematica affrontata, che per il modo in cui Giampaolo Trevisi ha saputo raccontarci lo sguardo delle donne che ne sono protagoniste.
Lavinia e Matteo pensano e soffrono insieme, perché quando ci si ama sulla pelle di entrambi si sente tutto: un soffio di vento più fresco degli altri o una lingua di fuoco che brucia il sangue.


L'amore che non è
«Ci saranno giorni nuovi, di mille colori diversi»

di Gianpaolo Trevisi
Gabrielli Editore
Narrativa
ISBN 978-8860993229
Cartaceo 11,05€
Ebook 6,49€

Sinossi
Trevisi, poliziotto-scrittore, con questo suo nuovo libro affronta la tematica della violenza di genere, narrando esperienze tragiche e a volte fatali, esistenze interrotte o sfregiate e lo ha fatto con la voce e gli occhi delle donne. L’autore, in qualità di funzionario di polizia, spesso ha avuto modo di vedere da vicino queste storie e le racconta con grande empatia, dimostrando una profonda conoscenza delle dinamiche psicologiche maschili e femminili. La visione, nonostante la tragicità degli avvenimenti, si apre comunque alla speranza; uno sguardo positivo che coinvolge anche gli uomini, perché a fronte del violento, del codardo, vi è il padre amorevole, il compagno capace di comprendere, l’uomo che ama di un amore sano, il poliziotto competente e sensibile, in grado di ascoltare anche le parole non dette.
Prefazione di Elvira Vitulli e Postfazione di Antonia De Vita

Gianna Gambini
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A febbraio, 5 mostre d'arte da non perdere

A febbraio, 5 mostre d'arte da non perdere

A febbraio, 5 mostre d'arte da non perdere

Arte | Di Gianna Gambini. Mostre di febbraio: Frida e un Che intimo e inedito a Milano e un'esposizione dedicata ai Pink Floyd a Roma, mentre Treviso, unica sede italiana, dedica a Rodin una retrospettiva.

L’ingresso nel mese di febbraio e l’avvicinarsi della primavera offre, insieme alla voglia di trascorrere più tempo fuori casa, l’occasione di visitare mostre inedite e interessanti, che arricchiscono l’offerta artistica e culturale delle città italiane.

Frida. Oltre il mito, a Milano fino al 3 giugno

Tra gli eventi che si preannunciano davvero imperdibili troviamo in prima linea “Frida. Oltre il mito”, la mostra ospitata al MUDEC (Museo delle Culture) di Milano a partire dal 1° febbraio, fino al prossimo 3 giugno. Grazie ad un’accurata opera di ricerca, effettuata dal curatore Diego Sileo, svoltasi anche in Messico, nei luoghi in cui l’artista ha trascorso la sua troppo breve esistenza, l’esposizione risulta estremamente diversa rispetto alle precedenti ospitate nella nostra penisola, sia per l’approccio, che va ben oltre la semplicistica analisi delle opere alla luce delle mere vicende biografiche, sia per le tematiche affrontate. Le opere di Frida Kahlo visibili nel percorso espositivo, infatti, comunicano al visitatore la “messicanicità” permeata in ogni tratto e in ogni pennellata di colore, ma anche una dimensione intima e al contempo universale in cui l’esperienza dell’io diventa un simbolo di resilienza. L’esposizione del Mudec è imperdibile anche per le opere che ospita provenienti dalle due maggiori collezioni dell’artista messicana: Museo Dolores Olmedo di Città del Messico e dalla Jacques and Natasha Gelman Collection. Durante i quattro mesi in cui le opere di Frida Kahlo saranno esposte al Museo delle Culture, molti saranno gli eventi collaterali, tra i quali spiccano interessanti conferenze, di cui è possibile consultare il programma sul sito del Museo, nell’area dedicata.
Per info www.mudec.it.

Rodin – Linea d’ombra, a Treviso dal 24 febbraio

Rodin – Linea d’ombra, a Treviso dal 24 febbraio

Dal 24 febbraio Treviso ospita la mostra “Rodin – Linea d’ombra” che, grazie alla collaborazione del Musée Rodin di Parigi, presenterà 80 opere totali, di cui 50 sculture tra le più famose e 30 lavori su carta. Inserita tra gli eventi che hanno festeggiato nel 2017 il centenario della morte del famoso scultore, Treviso è l’unica sede italiana che ha dedicato a Rodin una retrospettiva in stretta collaborazione con il museo francese, che darà la possibilità alla città veneta di ospitare le opere del più grande scultore del XIX secolo, e uno dei maggiori di sempre in questa disciplina. La mostra si propone anche come indagine artistica e biografica, a tal proposito il Catalogo appare di particolare pregio. I visitatori potranno osservare sculture che hanno segnato la storia dell’arte di inizio Novecento: dal Pensatore al Bacio, dalla Porta dell’Inferno ai Borghesi di Calais. Viene messa in evidenza nel percorso delle opere l’influenza che hanno avuto nello scultore francese i grandi artisti italiani, da Donatello a Michelangelo a Bernini, e la Commedia dantesca, che è stata sempre sua fonte di ispirazione.
Per info www.lineadombra.it.

Che Guevara Tú y Todos, a Milano fino ad aprile

Che Guevara Tú y Todos, a Milano fino ad aprile

Dal 6 dicembre 2017 scorso, fino al prossimo aprile alla Fabbrica del Vapore a Milano è possibile visitare l’esposizione “Che Guevara Tú y Todos”: un percorso creato per raccontare un personaggio chiave della storia del ‘900, attraverso una ricca e inedita documentazione supportata da una minuziosa ricostruzione del contesto storico in cui ha vissuto Ernesto Che Guevara. Il visitatore si troverà di fronte a proiezioni a 360° in cui sarà possibile interagire con dei libri. La visione che si vuole dare del famoso e discusso protagonista della liberazione cubana è un’immagine che si discosta da quella del mito ormai tramandata di generazione in generazione, spesso svuotata del suo significato più profondo e che guida gli spettatori alla scoperta di un Che intimo, sconosciuto e inedito.
La mostra, attraverso cui i visitatori rivivranno i giorni e i luoghi, gli stati d’animo e i pensieri, le azioni personali e gli eventi storici che hanno visto protagonista il Che è stata curata da Daniele Zambelli è arricchita dalla colonna sonora creata appositamente da Andrea Guerra. I livelli che potranno essere esplorati dai visitatori sono tre: il primo piano narrativo riguarda il clima geo-politico dell’epoca, il secondo livello racconta la figura pubblica di Ernesto Che Guevara impegnato nella lotta, nell’economia e nella politica, il terzo livello, infine, rivela gli aspetti più intimi e personali del comandante, che si svela prima di tutto come uomo, nel suo rapporto con familiari ed amici e soprattutto in un introspettivo legame con se stesso.
Per info www.mostracheguevara.it.

Albrecht Dürer e il Rinascimento tra la Germania e l’Italia, a Milano dal 21 febbraio

Albrecht Dürer e il Rinascimento tra la Germania e l’Italia, a Milano dal 21 febbraio

Sempre nella cornice di Milano, Palazzo Reale ospiterà dal 21 febbraio prossimo l’esposizione “Albrecht Dürer e il Rinascimento tra la Germania e l’Italia”. Le opere di uno dei più grandi artisti del Rinascimento, mettono in connessione la realtà tedesca dell’epoca con uno sguardo anche al contesto dell’Europa del Sud e del Nord. Dürer fu un incisore, un pittore, un letterato e i molteplici aspetti della sua brillante carriera convivono in questa mostra, che offre anche una lettura comparata con le opere di noti artisti a lui contemporanei, come Lucas Cranach, Albrecht Altdorfer, Hans Baldung Grien da un lato, e dall'altro come Giorgione, Andrea Mantegna, Leonardo da Vinci, Andrea Solario, Giovanni Bellini, Jacopo de' Barbari, Lorenzo Lotto. I visitatori potranno ammirare oltre 130 opere, in una retrospettiva inedita nella scena artistica italiana.
Per info www.palazzorealemilano.it.

The Pink Floyd Exhibition: Their Mortal Remains, a Roma fino a luglio

The Pink Floyd Exhibition: Their Mortal Remains, a Roma fino a luglio

Tra i consigli del mese di febbraio non potevo non citare l’esposizione del Macro di Roma “The Pink Floyd Exhibition: Their Mortal Remains”, inaugurata lo scorso 19 gennaio e aperta fino a luglio 2018. La mostra, ospitata già a Londra al Victoria and Albert Museum, con oltre 400 mila visitatori, si prepara ad affrontare un tour mondiale che coinvolgerà un pubblico vastissimo e multiforme. Organizzato in ordine cronologico, il percorso espositivo ripercorre gli ultimi 50 anni della storia della popolare band, attraverso immagini, video e audio in cui la musica si mischia alle voci dei membri del gruppo. Ci sono più di 300 oggetti, tra cui la ricostruzione del furgone Bedford che usavano i Pink Floyd per i tour a metà degli anni Sessanta, o il grosso gonfiabile a forma di maiale della copertina del disco Animals.
Per info www.pinkfloydexhibition.com.


Gianna Gambini
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A gennaio, 5 mostre d'arte da non perdere

A gennaio, 5 mostre d'arte da non perdere

mostre d'arte

Arte | Di Gianna Gambini. Mostre di gennaio: grandi protagoniste, le rivoluzioni. Da quella russa dei pittori del '900  a quella musicale anni '70 a quella della fotografia Leica.

In questo inizio di anno le città italiane offrono interessanti spunti di riflessione, grazie ad esposizioni che non attingono soltanto all’arte figurativa, ma anche alla storia, alla musica, alla fotografia e agli oggetti d’uso.

La Rivoluzione Russa. Da Djagilev all’Astrattismo, a Gorizia fino a marzo

Il 2017 che si è appena concluso ha visto tra le ricorrenze di maggior rilievo il primo centenario della Rivoluzione d’Ottobre in Russia e per ricordare questo dal 21 dicembre scorso il Palazzo Attems Petzenstein di Gorizia ospita l’esposizione La Rivoluzione Russa. Da Djagilev all’Astrattismo (1898-1922). La mostra, che chiuderà i battenti nel prossimo mese di marzo, si pone l’obiettivo di riferire al grande pubblico che le spinte rivoluzionarie del 1917 in Russia non hanno portato soltanto alla deposizione del regime monarchico dello zar e all’avvento del Comunismo con Lenin, ma hanno anche favorito un rinnovamento nell’ambito delle varie arti quali il teatro, la letteratura, il balletto e sicuramente l’arte figurativa. Tra i pittori più noti, di cui è possibile osservare le opere nell’esposizione del capoluogo friulano, si ricordano Benois, Bakst, Kandinskij, Malevič, Končalovskij, Larionov, Tatlin, Gončarova, Stepanova, Ekster.
Il percorso espositivo, arricchito da contenuti multimediali, offre una continua interazione tra l’Arte e la Storia, mostrando che lo sviluppo dell’una è inevitabilmente legato allo scorrere dell’altra.
Per info http://www.beniculturali.it.

Revolutija. Da Chagall A Malevich Da Repin A Kandinsky, a Bologna fino a maggio

Revolutija. Da Chagall A Malevich Da Repin A Kandinsky, a Bologna fino a maggio

Anche la città di Bologna rende omaggio al centenario della Rivoluzione Russa con l'esposizione Revolutija. Da Chagall A Malevich Da Repin A Kandinsky, presso il MAMbo, Museo di Arte Moderna, fino al mese di maggio. Revolutija è una mostra che ospita oltre 70 opere che racconteranno gli stili e le dinamiche di sviluppo di artisti tra cui Nathan Altman, Natalia Goncharova, Kazimir Malevich, Wassily Kandinsky, Marc Chagall, Valentin Serov, Alexandr Rodchenko e molti altri per dar conto della straordinaria modernità dei movimenti culturali della Russia d’inizio Novecento: dal primitivismo al cubo-futurismo, fino al suprematismo, costruendo contemporaneamente un parallelo cronologico tra l’espressionismo figurativo e il puro astrattismo. L’esposizione, particolarmente ricca e coinvolgente, è stata realizzata grazie alla collaborazione in esclusiva con il Museo di Stato Russo di San Pietroburgo.
Per info mostrarevolutija.it.

Revolution. Musica e ribelli 1966-1970, a Milano fino al 4 aprile

Revolution. Musica e ribelli 1966-1970, a Milano fino al 4 aprile

Ad altri anni di cambiamento e di movimenti rivoluzionari, si riferisce, invece la mostra Revolution. Musica e ribelli 1966-1970. Dalla Londra dei Beatles a Woodstock, presente fino al prossimo 4 aprile 2018 presso La fabbrica del vapore di Milano. L’esposizione presenta al pubblico le storie, gli oggetti e i cambiamenti che in quegli anni hanno permesso al mondo contemporaneo di ottenere le conquiste di cui oggi tutti noi possono usufruire. Il clima sociale e culturale degli alti anni Sessanta viene proposto in un’esperienza immersiva che propone oggetti di moda, design, film e canzoni che investono i visitatori catapultandoli in un’atmosfera arricchita dalla musica del periodo.
Per info www.mostrarevolution.it.

Illustri Persuasioni. Tra le due guerre, a Treviso fino al 4 marzo

Illustri Persuasioni. Tra le due guerre, a Treviso fino al 4 marzo

Sarà prorogata fino al prossimo 4 marzo, avendo riscosso un discreto successo di pubblico la mostra Illustri Persuasioni. Tra le due guerre, ospitata presso il Museo Nazionale Collezione Salce di Treviso. L’esposizione accoglie centotrentadue manifesti pubblicitari e locandine selezionati dai 24.850 della propria raccolta, arrivata allo Stato per lascito testamentario del trevigiano Ferdinando Salce. In questa esposizione l’attenzione è focalizzata sugli autori dei manifesti pubblicitari, in anni in cui la persuasione tramite le immagini e gli slogan ha un’efficacia non soltanto commerciale ed economica, ma soprattutto politica e morale. La propaganda politica studia e sviluppa il concetto di comunicazione di massa, di cui la pubblicità è la perfetta rispondenza iconografica. Sono anni in cui anche i grandi geni già affermati, come Leonetto Cappiello e Marcello Dudovich, sperimentano la tenuta delle loro idee comunicative attraverso un linguaggio più volumetrico e incisivo, continuando ad inventare personaggi indimenticabili come il folletto nella buccia d’arancia per Campari o l’elegante donna in blu per la Fiat Balilla.
Per info www.polomusealeveneto.beniculturali.it.

I Grandi Maestri. 100 Anni Di Fotografia Leica, a Roma fino alla fine di febbraio

I Grandi Maestri. 100 Anni Di Fotografia Leica, a Roma fino alla fine di febbraio

Il complesso del Vittoriano (Ala Brasini) ospita fino alla fine di febbraio l’esposizione I Grandi Maestri. 100 Anni Di Fotografia Leica. Unica tappa italiana, questa mostra rende omaggio alla prima macchina fotografica 35 mm provvista di pellicola, alla fotografia d’epoca e a tutti gli artisti che hanno utilizzato la Leica dagli anni venti ai giorni d’oggi, celebrando le loro immagini. I visitatori potranno osservare oltre 350 opere dei maggiori e più prestigiosi autori - da Henri Cartier-Bresson a Gianni Berengo Gardin, da William Klein a Robert Frank, Robert Capa, Elliott Erwitt e molti altri - decine di documenti originali, riviste e libri rari, fotografie vintage, macchine fotografiche d’epoca, compongono questa ricca esposizione, interessante sia per gli appassionati di fotografia, sia per i profani di questa forma contemporanea di arte.
Per info www.ilvittoriano.com.


Gianna Gambini
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Parla, mia paura, di Simona Vinci

Parla, mia paura, di Simona Vinci

Libri | Recensione di Gianna Gambini. Parla, mia paura, di Simona Vinci, Einaudi, 2017. Un viaggio tormentato nel mondo interiore dell'autrice: il demone della depressione, il potere salvifico della letteratura.

Quando nell’aprile del 2016 lessi voracemente La prima verità ( Recensione Gli scrittori della porta accanto: La prima verità, di Simona Vinci, finalista al Premio Campiello 2016), ritenevo che difficilmente fosse possibile scavare in modo altrettanto profondo, toccante, tagliente e sincero nel disagio e nella sofferenza dell’animo umano. Le pagine di quel libro mi si erano appiccicate dentro e per molto tempo le parole si rincorrevano nella mia testa insieme ad immagini nitide, più di quelle riprodotte da una macchina da presa: lo sguardo ceruleo intravisto da una crepa del muro ha popolato i miei incubi per un lungo periodo, ma d’altronde seguo Simona Vinci dai tempi del suo esordio con Dei bambini non si sa niente e so che le sue immagini sono come bassorilievi dell’anima. Poi ho saputo dell’imminente uscita di Parla, mia paura e l’ho acquistato intuendo già dalle prime recensioni che sarebbe stato un viaggio nel tormentato mondo interiore della scrittrice.

In Parla, mia paura, Simona Vinci racconta alcuni anni della sua vita in cui la paura, sentimento di per sé positivo, perché aiuta ad evitare i pericoli, si è impossessata di lei anche quando di pericoli imminenti non ce n’erano.

Paura delle automobili. Paura dei treni. Paura delle luci troppo forti. Dei luoghi troppo affollati, di quelli troppo vuoti, di quelli troppo chiusi e di quelli troppo aperti. […] Paura degli sconosciuti, paura dello sguardo degli altri, di ogni altro, paura del contatto fisico, delle telefonate.
Gli attacchi di panico, improvvisi e all’apparenza immotivati, giungevano nei momenti più improbabili, tanto da allontanare Simona da ogni contatto con l’esterno e soprattutto dalla propria stessa interiorità, che lentamente andava verso l’annullamento.
Ed è stata proprio la presa di coscienza del rischio che stava correndo, quando Simona ha capito che avrebbe potuto mettere fine alla sua vita da un momento all’altro, che l'ha spinta a raccogliere le poche forze rimaste e a chiedere aiuto, non tanto a chi le stava vicino, ma a degli specialisti, evitando di ricorrere alla scappatoia degli psicofarmaci.

Comprendere che si è toccato il fondo è forse il primo passo per tentare una risalita.

Ma proprio perché tornare a galla non è semplice e prevede innumerevoli ricadute, tanto che la stessa scrittrice afferma che da uno stato depressivo non si riemerge mai completamente, Simona Vinci racconta la sua vita al prossimo, al fine di sostenere, supportare con la mera condivisione, tutti coloro che nella vita si sono sentiti come lei. Le parole, inoltre, assumono una valenza salvifica: quelle stesse parole che nel periodo buio parevano scomparse, inconciliabili l’una con l’altra, appaiono nel presente come una corda a cui aggrapparsi per restare in superficie.
Nel libro Parla, mia paura, gli eventi che si sono susseguiti negli ultimi dieci anni di vita della scrittrice vengono ripercorsi con flash back, parentesi narrative che rendono palese come il presente e il futuro coesistano irrimediabilmente con un passato che troppo spesso non è quello che avremmo voluto, ma che ha contribuito a plasmarci e a renderci ciò che siamo. La perdita di E., la nascita del figlio, la maternità che non è mai stata per Simona una meta da raggiungere ad ogni costo e che appare come l’annullamento del sé per mano di un essere ancora sconosciuto, l’incontro con Vikram Seth, sono i gradini di una scala della quale ignoriamo il percorso futuro.

La scrittura di Simona Vinci è immediatamente riconoscibile, nella sua schiettezza, nel ricorrere talvolta alla paratassi, al fine di rendere le singole parole taglienti come lame.

 E anche quando lei stessa diventa protagonista delle sue pagine, riesce ad essere obiettiva, diretta ed incisiva, in modo da rendere, pagina dopo pagina, le sue parole indelebili. Le immagini, come fotogrammi, incidono la memoria del lettore e lasciano un solco che non potrà più riempirsi.
E poi c’è lei, il sogno ricorrente: la Ragna, mio talismano personale. L’incarnazione della mia paura. La prima volta che la sognai avevo infilato una mano, la sinistra, da qualche parte dentro una fessura. La mano riemergeva con sopra un ragno enorme; il carapace duro e lucido da scarafaggio, ma era un ragno, un ragno che stava inghiottendo la mia mano, partiva da indice e medio e avanzava, ingoiando pelle, tendini, articolazioni e ossa nella sua bocca invisibile. […] Gli occhi della Ragna, perché è chiaro che era una femmina, erano gialli e scintillanti. Consapevoli e impietosi, privi di sentimento.
Ogni vocabolo si incastra con l’altro nel tentativo perfettamente riuscito di creare uno specchio che riflette al contempo l’io della scrittrice e quello di ogni lettore, in modo particolare di coloro i quali hanno avvertito il peso dell’esistenza e della sua continua instabilità e riescono ancora a cogliere il potere salvifico della letteratura.

Parla, mia paura

di Simona Vinci
Einaudi
Narrativa
ISBN 978-8806235901
ebook 7,99€
cartaceo 11,05€

SINOSSI
Simona Vinci si immerge nella propria paura e cerca un linguaggio per confessarla. L'ansia, il panico, la depressione spesso restano muti: chi li vive si sente separato dagli altri e incapace di chiedere aiuto. Ma è solo accettando di «rifugiarsi nel mondo» e di condividere la propria esperienza che si sopravvive. La stanza protetta dell'analista e quella del chirurgo estetico, che restituisce dignità a un corpo di cui si ha vergogna, l'inquietudine della maternità, la rabbia della giovinezza, fino allo strappo iniziale da cui forse tutto ha avuto origine.
Scavando dentro sé stessa, Simona Vinci ci dona uno specchio in cui rifletterci. Si affida alle parole perché «le parole non mi hanno mai tradita». Perché nella letteratura, quando la letteratura ha una voce cosí nitida e intensa, tutti noi possiamo trovare salvezza.
È cominciata con la paura. Paura delle automobili. Paura dei treni. Paura delle luci troppo forti. Dei luoghi troppo affollati, di quelli troppo vuoti, di quelli troppo chiusi e di quelli troppo aperti. Paura dei cinema, dei supermercati, delle poste, delle banche. Paura degli sconosciuti, paura dello sguardo degli altri, di ogni altro, paura del contatto fisico, delle telefonate. Paura di corde, lacci, cinture, scale, pozzi, coltelli. Paura di stare con gli altri e paura di restare da sola. Nel posto in cui vivevo allora arrivava il richiamo lacerante dei piccoli rapaci notturni nascosti tra i rami degli alberi. Di notte, l'inferno indossava la maschera peggiore. Di notte, quando nelle case intorno si spegnevano tutte le luci, tutte le voci, quando sulla strada il fruscio delle automobili e dei camion si assottigliava.

Gianna-Gambini

Gianna Gambini
Laureata in Lettere presso l’Università degli Studi di Firenze. Dopo aver conseguito alcuni master e il diploma di specializzazione presso la SISS di Pisa, lavora come insegnante, presso la Scuola Secondaria di Primo grado. Sposata con una figlia vive nel comune di Terranuova Bracciolini.
Tartarughe marine, 0111Edizioni.
Equilibrio precario, 0111Edizioni.
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Recensione: Qualcosa di vero, di Barbara Fiorio

Recensione: Qualcosa di vero, di Barbara Fiorio

Libri | Recensione di Gianna Gambini. Qualcosa di vero di Barbara Fiorio, Feltrinelli, 2015. La fiaba della nostra vita siamo noi a scriverla, aggiungendo ogni giorno una riga a quelle già tracciate dal destino.

Quindi ragazze, se da grandi incappate in un tipo intollerabile, magari anche bruttino e arrogante, non siate carine nella speranza che cambi, ma gettatelo con tutte le vostre forze contro un muro. Se non diventa migliore, ne sarà comunque valsa la pena.
Se fino a qualche tempo fa, ogni volta che un rospo saltellava maldestro nella strada umida di pioggia, pensavo che tutto sommato tentare di baciarlo poteva catapultarmi in un mondo di principi e cavalli bianchi, oggi non è più così. No, non si tratta dell’età che mi porta più vicina agli “anta” che agli “enta”, non si tratta della quotidianità che toglie spazio alla fantasia, la colpa è di Barbara Fiorio, una brava scrittrice, che con la sua ironica disillusione suggerisce alle sue lettrici che i rospi, se si baciano, non si trasformano in principi. Ci suggerisce anche una soluzione pratica per liberarsi di loro: lanciarli contro il muro, così imparano a nutrirci di false illusioni.
La Fiorio, dopo essersi già interessata alle fiabe, quelle vere e non edulcorate dal tocco magico di Walt Disney, nel volume C’era una svolta, torna a trattare la tematica del mondo della fantasia con un romanzo ben ancorato alla realtà dal titolo Qualcosa di vero.
Giulia, una bella ragazza, con un lavoro invidiabile, un collaboratore-segretario sempre a sua disposizione, qualche appuntamento deludente, un vicino di casa che fa l’attore teatrale, una sera trova davanti alla sua porta una bambina, Rebecca, che ha paura ad aspettare la sua mamma da sola in casa e cerca di trovare nuovi punti di riferimento in una città nuova, a cui è giunta dopo un improvviso trasferimento.

Giulia intrattiene la piccola, come meglio sa fare, raccontandole le fregature della vita tramite le fiabe, che non sono certo come raccontano ai bambini, ma presentano tratti tragici, talvolta grotteschi. 

Le principesse delle fiabe non aspettano più il bacio del principe, ma si ingegnano per cavarsela da sole e i cattivi altro non sono che personaggi imbranati, insoddisfatti della vita, che affrontano le difficoltà tentando di danneggiare gli altri apparendo spesso ridicoli e inadeguati (a tal proposito, l’antagonista più inadeguato è la matrigna di Biancaneve, che, sebbene la giovane fanciulla dal pallore leggendario non sia proprio portatrice sana di intelligenza, proprio non riesce ad eliminarla una volta per tutte).
Giulia, però, capirà che la vita a volte può sorprendere molto di più delle fiabe e gli epiloghi delle storie delle persone che ci circondano mostrano così tante sfaccettature inaspettate che diventa difficile restare sereni e distaccati.
La vita di Rebecca è difficile, i suoi pochi anni portano con sé tante esperienze, che alla fine anche le certezze di Giulia non riescono ad esserle totalmente di sollievo: il rapporto con i compagni di scuola non è facile, riesce a legare soltanto con Daniele, un compagno che prima di conoscerla cercava contatto con il resto del mondo soltanto tramite i disegni; la madre si è separata dal padre e spesso deve lasciare la bambina da sola per lavorare; la solitudine appare spesso come un muro impossibile da scalare.
Giulia, di contro, non è pratica di bambini, si lascia guidare dall’intuito e l’appuntamento serale del racconto delle fiabe diventa terapeutico per lei stessa: scopre che avere qualcuno di cui occuparsi è consolatorio e il momento del distacco da Rebecca diventa più problematico di quanto lei stessa immaginasse. Inoltre, la giovane pubblicitaria, dispensa consigli ironici sulle relazioni con l’altro sesso, ma al contempo esce con uomini apparentemente perfetti soltanto per ingannare il tempo, ma fatica a guardarsi dentro e a capire che l’amore a volte può nascondersi dietro chi non si crederebbe mai l’altra metà della mela.
La veste ironica del romanzo, reso ancor più gradevole dallo stile scorrevole, diretto e coinvolgente di Barbara Fiorio, cela però un aspetto profondo, in cui compaiono tematiche di notevole rilevanza, quali la violenza sulle donne, la dipendenza della donna dall’uomo legata a motivi economici e psicologici, la ripercussione sui bambini delle scelte compiute dagli adulti. L’aspetto che ho maggiormente apprezzato del romanzo è che l’autrice non propone una soluzione, non si pone su un piedistallo, ma ci racconta com’è la vita vera e ci permette di comprendere, con le vicissitudini in cui Giulia si trova coinvolta, quanto la solidarietà e l’appoggio degli altri possano rendere l’esistenza di ognuno di noi più accettabile. Inoltre capiamo che il destino ci gioca scherzi imprevedibili, ma la nostra volontà e l’appoggio di chi ci circonda può modificarne il corso.
La fiaba della nostra vita, insomma, siamo noi a scriverla, aggiungendo ogni giorno una riga a quelle già tracciate dal destino.

Qualcosa di vero

di Barbara Fiorio
Giangiacomo Feltrinelli Editore
Narrativa
ISBN 978-88-07-88920-2

Sinossi
A rincasare ubriachi nel cuore della notte si rischia di inciampare in qualsiasi cosa: un gradino, i lacci delle scarpe, uno stuoino fuori posto. Ma se ti chiami Giulia, sei una pubblicitaria di successo e per te l’infanzia è solo una nicchia di mercato, puoi anche inciampare in una camicia da notte con una bambina dentro: Rebecca, la figlia della nuova vicina. Allora, tra i fumi dell’alcol, puoi persino decidere di ospitarla per una notte sul tuo divano. Salvo poi rimanere invischiata in sessioni di fiabe da raccontarle ogni volta che la madre, misteriosamente, non c’è. Da Cenerentola a Pollicino, da Raperonzolo alla Sirenetta, purché siano sempre le versioni originali: quelle di Perrault, dei Grimm e di Andersen, dove i ranocchi si trasformano in principi soltanto se li lanci contro un muro, e non sono certo i baci a risvegliare le più belle del reame. Se invece ti chiami Rebecca e sei arrivata da poco in città, puoi provare a conquistare i compagni di classe con le “fiabe vere”. Salvo poi imbatterti nelle temibili bimbe della Gilda del cerchietto, pronte a screditarti con le versioni edulcorate della Disney. E forse, nonostante i tuoi nove anni, cercherai di far capire a Giulia, la tua amica del pianerottolo, che, anche se i principi azzurri nella realtà non esistono, l’uomo giusto a volte è più vicino di quanto si pensi. Ciò che ancora non sai è che la verità costa cara. E non solo perché certe cose è meglio non raccontarle, specie quando ci sono di mezzo i segreti degli adulti. Ma anche perché in ogni storia, persino in quelle più divertenti, si nasconde un mostro. E per sconfiggerlo le parole non bastano. Per sconfiggerlo ci vuole qualcosa di vero.


Gianna Gambini
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