Gli scrittori della porta accanto
Narrativa
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Recensione: L’orribile karma della formica, di David Safier

Recensione: L’orribile karma della formica, di David Safier



Libri Recensione di Elena Genero Santoro. L’orribile karma della formica di David Safier ( Sperling & Kupfer). Un romanzo umoristico da oltre un milione di copie con un buon ritmo, godibile, anche se ricade in alcuni stereotipi sulle donne.

L’orribile karma della formica di David Safier pare aver venduto oltre un milione di copie con il passa parola, stando all'indicazione riportata sulla cover. Anche negli store online è recensito molto bene e sulla quarta di copertina è definito un romanzo divertentissimo.

L’orribile karma della formica di David Safier ha degli indubbi pregi: mantiene sempre un buon ritmo, è ironico, le situazioni sono arricchite da trovate esilaranti.

La storia, ambientata in Germania, è quella di Kim Lange, famoso volto televisivo della TV tedesca che subito dopo aver vinto un prestigioso riconoscimento per la sua carriera, muore colpita da un detrito spaziale mentre si trovava sul tetto di un palazzo. Quando Kim, avvolta da una luce e dalla promessa di eterna pace pace, suppone di essere pronta per arrivare al Nirvana, si ritrova reincarnata in una formica. Buddha in persona, sotto le sembianze di una formica particolarmente grassa, le spiega che si è reincarnata in un punto molto basso della catena evolutiva e che per meritare il Nirvana a cui aspira dovrà compiere azioni positive.
Kim infatti non è stata una buona moglie: poco prima di morire ha tradito il marito Alex, che già trascurava, con il collega Daniel Kohn. Per la figlia di cinque anni Lilly non è stata una madre esemplare in quanto alla maternità ha sempre preferito la carriera.
In tutta sincerità, questo è stato l’aspetto del libro che più mi ha infastidita.

Il romanzo è scritto da un uomo che ha scelto una madre lavoratrice come espediente per rappresentare una donna che non merita il paradiso o quello che è.

Ed è pur vero che fin da subito Kim pare essere molto coinvolta dal suo lavoro e dalle sue ambizioni personali più che dalla cura domestica, tuttavia per rappresentare una pessima madre avrei preferito una mantenuta che si laccava le unghie tutto il giorno. Lo stereotipo della donna-che-non-è-una-buona-madre in quanto in carriera per me è stato particolarmente indigesto. L'angelo del focolare mancato mi ha dato fastidio. Avere ambizioni non dovrebbe essere un peccato per una donna. Anzi, conciliare entrambe le cose è qualcosa di talvolta sovrumano, ma alle donne si richiede di lavorare come se non si avessero figli e di essere madri come se non si lavorasse.

Ciò non di meno, come dicevo, il libro ha un buon ritmo, è coinvolgente e si beve in poche ore.

Kim, ora formica, inizia una serie di avventure rocambolesche. Conosce una formica che si scopre essere Casanova, quel Giacomo Girolamo vissuto nel Settecento e famoso per le sue numerose avventure sentimentali. Dal giorno della sua morte, il 4 giugno 1798, è sempre rimasto una formica reincarnata, non ha avuto nessuna evoluzione spirituale, non ha mai avanzato nella catena meritocratica dell'Aldilà. Kim e Casanova diventano amici e vivranno delle storie tragicomiche. Moriranno e si reincarneranno più volte; in una di queste saranno porcellini d’India ed entreranno in contatto proprio con Lilly.
Un inciso da amante viscerale dei piccoli roditori: il libro ritrae i porcellini d’India come bestiaole dolci e ingenue quali effettivamente sono. Chi mi conosce immaginerà quanto io sia stata in ansia mentre Kime era diventata una di loro. Sono felice che i porcellini d’India co-protagonisti della sottotrama abbiano avuto tutti un lieto fine.

Nei vari step karmici, Kim subirà una trasformazione interiore e morale, avanzerà come mammifero, arretrerà come dorifora delle patate, ma anche Casanova subirà le sue trasformazioni, e senza fare troppo spoiler posso dire che per entrambi ci sarà un lieto fine.

Tuttavia Kim pagherà un prezzo: perderà la sua avvenenza originale, perché una donna amabile non può essere anche una donna affascinante. E qui torniamo agli stereotipi indigesti che mi sono andati per traverso.
Pocanzi ho definito queste avventure "tragicomiche" perché, benché il romanzo abbia parti esilaranti e in alcuni punti faccia ridere per davvero, ci sono comunque delle venature di tristezza da cui non si può prescindere. In fondo si parla di morte, non tanto con l'ansia di ciò che ci sarà dopo, ma con il dramma della separazione. Si parla anche di incomunicabilità. Kim reincarnata vedrà suo marito risposarsi con Nina, sua ex amica di gioventù, che a suo tempo era già invaghita di Alex. Qualche anno prima Alex aveva dovuto scegliere tra Kim e Nina e aveva scelto Kim. Ma ora Kim non c'è più...

L’orribile karma della formica in alcuni tratti mi ha ricordato persino Amabili resti di Alice Sebold.

Il contesto è completamente diverso, qui abbiamo morti grottesche, al limite dell’assurdo; in Amabili resti c’era uno stupratore killer di ragazzine, niente a che vedere. Eppure in Amabili resti quando la protagonista si reincarna per un certo lasso di tempo, non riesce a comunicare con la sua famiglia. Il contatto tra vivi e morti rimane parziale e sospeso. Allo stesso modo quando Kim reincarnata si avvicina alla sua famiglia non riesce e non può avere un vero dialogo con loro. È lì, a pochi passi, o tra le loro braccia, ma non può manifestarsi in quanto Kim, non è nelle condizioni di spiegare chi è. La sua presenza è solo intuita, percepita dagli altri personaggi ma rimane quasi una suggestione. Questo senso di incompiutezza e di sospensione si porta avanti per molte pagine ed è anche ciò che tiene incollato il lettore. Kim avrà la sua rinascita, soprattutto spirituale. Capirà che nulla al mondo vale più dell’amore, come era facilmente intuibile.
Un libro godibile, carino assolutamente consigliato.


L’orribile karma della formica

di David Safier
Sperling & Kupfer
Narrativa | Umoristico
EAN 9788868360344
Cartaceo 9,85€
Usato 6,60€
Ebook 4,99€

Quarta

Kim Lange sa benissimo di essere un'arrivista disposta, per la carriera, a sacrificare tutto, marito e figlia compresi. D'altra parte, così facendo, è arrivata a condurre il più noto talk-show televisivo di Berlino ed è all'apice del successo. Ma il destino è sempre in agguato, ed ecco che un assurdo incidente pone fine alla sua vita. O no? Kim non si sta divertendo per niente: ha preso una gran botta in testa e le sembra di sprofondare in un immenso buco nero. Quando riemerge dal blackout, si sente strana, il suo corpo non è quello di sempre, ha una testa gigantesca... un addome assurdo... sei gambe... Orrore! È diventata una formica! La sua vita mal spesa deve essere espiata, e questa è la punizione. Per di più, con i suoi nuovi occhietti da insetto, finisce nel giardino della sua ex casa, dove assiste impotente alle manovre della ex migliore amica che gira attorno, smorfiosa, al suo ex marito. Ora, per la ex Kim, c'è un solo modo per correre ai ripari: rimontare al più presto nella scala delle reincarnazioni per tentare la difficile risalita da insetto a essere umano. Ma la strada purtroppo è lunga, e non c'è più molto tempo. Attraverso quante altre orribili forme animali dovrà passare? Molte: da porcellino d'India a verme, da scoiattolo a vitello, fino a rinascere in una docile cagnetta, e in ciascuna di queste reincarnazioni verrà messa alla prova per dimostrare che il suo sciagurato cattivo carattere è cambiato.



Elena Genero Santoro
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 Recensione: Eva e Barbablù, di Emma Fenu e Pier Bruno Cosso

Recensione: Eva e Barbablù, di Emma Fenu e Pier Bruno Cosso

Recensione: Eva e Barbablù, di Emma Fenu e Pier Bruno Cosso

Libri Recensione di Loriana Lucciarini. Eva e Barbablù di Emma Fenu e Pier Bruno Cosso, con le illustrazioni di Camilla Lilliu (PubMe – Collana Gli scrittori della porta accanto). Una storia intensa che esplora le dinamiche dell’abuso e l’urgenza del cambiamento.

Conosco Emma Fenu e ho letto molto della sua produzione letteraria. Siamo diventate amiche per via della comune passione per i libri, per l’universo di Cultura al Femminile e per aver partecipato a eventi organizzati contro la violenza di genere. La violenza sulle donne è un tema a cui entrambe siamo sensibili e per il quale ci impegniamo da tempo.

Emma Fenu e Pier Bruno Cosso: l’incontro di due voci autoriali.

Lasciatemelo dire: Emma Fenu usa parole intrise di poesia, evocative e dure. Sa andare al punto e, quando lo fa, è spietata. È capace di guardarsi dentro e raccontarsi sempre la verità, anche quando fa male. Nei suoi testi narrativi imprime la forza del vento che purifica e ci offre emozioni cristalline, autentiche.
Pier Bruno Cosso è stato invece una piacevole scoperta: scrive con uno stile interessante, anch’esso intriso di liricità. Sa andare a fondo per incontrare i demoni e riesce a trovare le immagini letterarie esatte per mostrarceli. Forse, sull’orlo dell’abisso, ha temuto di non riuscire a tradurre in parole una parte tanto mostruosa? L’impresa era ardua, certo, ma lui ha tenuto il registro giusto per svelare e rivelare le pulsioni e le ossessioni dietro a un uomo abusante e maltrattante. E ha colpito nel segno.

La trama e il simbolismo di Eva e Barbablù.

Il testo drammaturgico di Eva e Barbablù presenta personaggi vivi, delineati attraverso le loro aspirazioni, ingenuità, ossessioni e fragilità. La pièce teatrale ha forza e potenza, ha ritmo e sollecita giuste riflessioni, ha evocazioni e una dolorosa attinenza con la realtà. Il messaggio arriva chiaro: le sottili strategie psicologiche sono messe alla ribalta. Il crescendo degli abusi è la fotografia reale di quanto accade nella vita. I due personaggi, a voci alterne, ci mostrano come il Principe delle favole possa trasformarsi in Barbablù, se dietro la maschera affascinante e perfetta si cela un uomo non risolto e pieno di paure.
La storia ci evidenzia i segnali, ovvero le red flag, di cui tenere conto e che ogni donna deve poter individuare per evitare di finire in una relazione soffocante, che si trasforma in un incubo fatto di violenza e prevaricazione. Eva, purtroppo, accecata dall’amore, scivola ogni giorno un po’ più a fondo. Lei, donna romantica, artista empatica e generosa, scopre solo troppo tardi l’animo oscuro d’orco del proprio partner. Sotto questo aspetto, Pier Bruno Cosso riesce a descrivere con sapienza la psiche di un uomo segnato da un abbandono del passato, che si trasforma in adulto fragile e pieno di demoni, a cui soccombe, precipitando in un’oscurità senza redenzione.

Il mantra della consapevolezza.

Eva guarda la mela che il suo Lui ha lasciato in bella mostra sul tavolo. “Non toccarla” le ha ordinato e lei se ne tiene alla larga, tuttavia il suo sguardo torna sempre lì, a osservare la succosa rotondità del frutto e a desiderarlo.
«Non tentarmi, mela.» Emma Fenu e Pier Bruno Cosso, Eva e Barbablù

Eva, come la Eva del Paradiso, e la stessa irrefrenabile voglia di disobbedire.

Al solo scopo di affermare i propri desideri, le pulsioni, la vera se stessa, di affondare i denti nel dolce nettare della mela. Per riconoscersi e ritrovarsi. Tuttavia, non lo fa: rinchiusa in casa come una moderna e sfortunata Raperonzolo, guarda la porta chiusa e immagina un giorno di darsi alla fuga. Ma è solo velleità di un sogno.
«Non tentarmi, porta.» Emma Fenu e Pier Bruno Cosso, Eva e Barbablù

Solo quando diventerà straziante il suo bisogno di libertà e troppo grande la necessità di riappropriarsi finalmente di se stessa, la fuga diventerà l’unica via. Eva aprirà quella porta chiusa, anche se forse sarà troppo tardi. «Non tentarmi, mela. Non tentarmi, porta.»

Un teatro necessario: il mantra, che si ritrova lungo l’arco narrativo della pièce, è potente e carico di emotività.

Perfetto per mostrare la crescita della consapevolezza della protagonista femminile.
Complimenti agli autori per aver realizzato un testo drammaturgico di pregio, che rappresenta un’importante opera di sensibilizzazione sul tema della violenza di genere, di cui c’è sempre disperatamente bisogno.



Eva e Barbablù

di Emma Fenu, Pier Bruno Cosso
illustrazioni di Camilla Lilliu
PubMe (collana Gli scrittori della porta accanto)
Pièce Teatrale
ISBN: 979-1254589045
Cartaceo 9,00€

Quarta

Eva e Barbablù esplora il tema dell’abuso familiare e della violenza maschile sulle donne. E lo fa attraverso il sapiente utilizzo di due archetipi particolarmente evocativi.
Da una parte Eva, prototipo della donna piena di talenti che, come in un progressivo vortice, rimane invischiata in una relazione che le sottrarrà libertà e autostima. Dall’altra Barbablù, il compagno orco, incarnazione di quella cultura patriarcale e possessiva che, oggettivizzando il corpo e la vita della propria moglie, finisce per macchiarsi del più atroce dei delitti.
I dialoghi serrati tra i due protagonisti ripercorrono in maniera molto precisa le tappe della relazione abusante della quale la donna rimane vittima.
Eppure, malgrado l’epilogo, ciò che gli autori riescono a veicolare è un messaggio di speranza. Nonostante tutto.
Questa coinvolgente pièce teatrale ha il pregio di mostrare le dinamiche che si sviluppano tra le due parti di una storia tossica, ponendo l’accento, senza alcuna edulcorazione, sull’enorme contrasto tra le parole apparentemente d’amore usate dall’abusante e il vero peso delle sue azioni.

Il teatro, con la sua forza evocativa, è uno strumento efficace per accendere le coscienze e stimolare il cambiamento.
Eva e Barbablù non si limita a denunciare, ma spinge a riflettere, riconoscere i segnali della violenza e immaginare una via d’uscita.
La consapevolezza è il primo passo verso il cambiamento.


Loriana Lucciarini
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Recensione: Adolf prima di Hitler, di Antonio Mocciola

Recensione: Adolf prima di Hitler, di Antonio Mocciola

Recensione: Adolf prima di Hitler, di Antonio Mocciola

Libri Recensione di Elena Genero Santoro. Adolf prima di Hitler – Storia di un bacio mancato di Antonio Mocciola (Marotta e Cafiero). Un romanzo breve, un soffio di poesia che vola via leggero. Avrebbe potuto l’amore evitare ad Adolf di diventare Hitler?

Si può essere amici di un cattivo, di una persona niente affatto per bene?
Adolf prima di Hitler – Storia di un bacio mancato, di Antonio Mocciola, è la versione romanzata di un omonimo spettacolo teatrale che ha vinto il Premio Mario Mieli. Racconta dell’amicizia adolescenziale tra due ragazzi: uno è August Kubizek, divenuto poi direttore d’orchestra e scrittore. L’altro è Adolf. Quell’Adolf. Quello che avrebbe rivoluzionato l’assetto dell’Europa e cambiato il mondo per sempre.

August ha diciannove anni e si è trasferito a Vienna su pressione di Adolf.

Il primo studia musica al conservatorio, se le cose gli andranno male tornerà a fare il tappezziere con suo padre; il secondo tenta di essere ammesso all’Accademia delle Arti, è orfano e arrabbiato, eppure ancora innocente. Il rapporto tra Adolf e August, che dividono una stanza, non è privo di attriti. Adolf ha un bel caratterino, risponde male, gli interessa la musica di Wagner, studia la società a lui contemporanea, legge i giornali, sogna ristrutturazioni urbanistiche grandiose eppure è un inconcludente. Ha pochi soldi, ma a trovarsi un lavoretto ben retribuito non ci pensa proprio.

E poi quella di August e Adolf pare una relazione più che amicale, con una connotazione a sfondo omosessuale, in linea con il saggio Il segreto di Hitler dello storico ebreo-tedesco Lothar Machtan che, nel discutere la sessualità di Hitler, sostiene che il dittatore fosse un omosessuale velato.

Il romanzo di Antonio Mocciola è breve, è un soffio di poesia che vola via leggero, una pagina dietro l’altra, ma che lascia incollato addosso un senso di disagio, perché quella di Hitler è una figura altamente disturbante.
Disturbante e affascinante, al punto che è stata analizzata da molti studiosi di varie discipline. Nel 1972 lo psicoanalista Walter Charles Langer pubblica un saggio dal titolo La mente di Adolf Hitler in cui lo definisce uno “psicopatico (e chi più di lui?) nevrotico” e solleva a sua volta il dubbio della sua omosessualità. Un altro testo, del 1977, di Robert GL Waite, The Psychopathic God: Adolf Hitler, esamina i suoi comportamenti, le sue paranoie, le sue ossessioni.

Insomma, la mente contorta di un tale personaggio è una bella sfida da dipanare, ma c’è stato un tempo in cui Adolf era un bambino, poi un giovane senza peccato.

Sul web gira una foto di un Adolf infante: un bel pupo con gli occhi azzurri, le guance tonde e lo sguardo curioso. Un bimbo grazioso e desiderabile. Di solito la foto è accompagnata da una domanda scomodissima: sapendo che si tratta di uno che è diventato un pazzo sanguinario di simile portata, lo uccidereste subito?
Uccidereste un bambino innocente, avendo certezza che causerà la morte di sei milioni di persone?
(Una nota folk: ufficialmente, pare che Hitler, di mano sua, non abbia mai ammazzato nessuno. Ci sono comunque dei dubbi).
La vita di un bambino per la vita di sei milioni di innocenti, tra cui molti altri bambini di certo più buoni e più meritevoli di lui.

Il fatto è che non vi è certezza che, con una storia diversa alle spalle, Adolf sarebbe diventato l’Hitler che tutti conosciamo.

Adolf probabilmente psicopatico ci è nato, ma bisogna anche ammettere che la vita non gli ha risparmiato nulla. Un padre, Alois, che pare fosse più bestia di lui. La madre, una povera donna a cui sembra che Adolf fosse realmente affezionato, morta troppo presto dopo aver sepolto quattro figli. In una situazione del genere, un altro al suo posto avrebbe tirato fuori altri tipi di risorse, si sarebbe rimboccato le maniche per fare del bene a se stesso e agli altri. Adolf, senza una guida, ha esasperato le sue paranoie, ha sfogato le sue frustrazioni e la sua rabbia repressa contro gli zingari, gli stranieri, gli ebrei. Ha proiettato su altri quello che era il fallimento della sua esistenza. E lo ha fatto magistralmente, aiutato da una buona e infervorata dialettica, da una capacità manipolatoria e da una propensione alla menzogna più spudorata.

Questi elementi traspaiono tutti in germe, nella narrazione di Mocciola. Il giovane Adolf è già così.

Fa il sostenuto quando vuole ottenere qualcosa; fa leva sui sensi di colpa di August per forzarlo a fare ciò che lui vuole. È un piccolo Hitler in potenza, ma non ancora del tutto in atto, per dirla come Aristotele. Doveroso qui è citare la poesia “Il susino” di Bertolt Brecht.
Eppure, Adolf diciannovenne è anche un ragazzino magro e indifeso, che non conosce l’amore perché nessuno lo ha mai amato.
E quando il bacio mancato menzionato nel titolo starebbe per scoccare, succede qualcosa che spariglia le carte, cambia il contorno e la storia prosegue come noi tutti, purtroppo, conosciamo.
Avrebbe potuto l’amore evitare ad Adolf di diventare Hitler?
Forse. E ci piace sperarlo.



Adolf prima di Hitler
Storia di un bacio mancato

di Antonio Mocciola
Marotta e Cafiero
Narrativa
ISBN-13 979-1281484368
Copertina flessibile | 100 pag.
cartaceo 12,35€

Quarta

Due giovani nella Vienna di inizio Novecento, rintanati in un monolocale nel fumo tossico di una stufetta a cherosene, provano a ritagliarsi un futuro. Uno è August Kubizek, “Gustl”, umile figlio di un tappezziere: diventerà un apprezzato direttore d’orchestra. L’altro è Adolf Hitler. Tra di loro si sviluppa un rapporto morboso, viscerale. L’altra faccia di una storia fin troppo nota.


Elena Genero Santoro
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Recensione: La vita contro, di Rita Ragonese

Recensione: La vita contro, di Rita Ragonese

Recensione: La vita contro, di Rita Ragonese

Libri Recensione di Davide Dotto. La vita contro di Rita Ragonese (Fazi Editore). Due anime ferite scivolano tra le crepe della realtà, dove ogni porta si apre solo per richiudersi con un tonfo alle spalle.

La vita contro, di Rita Ragonese, racconta la storia di due anime ferite che il destino fa incrociare nella periferia di Mestre. Sullo sfondo, il CEP – un controverso esperimento di edilizia popolare affacciato sulla laguna veneziana – fa da scenario a questo incontro improbabile, con le sue case popolari che racchiudono storie di precarietà e tentativi di riscatto.
Umberto è un macellaio vicino alla pensione, tormentato dal peso di una tragedia e lasciato solo a combattere i propri demoni. Angela è una ragazza appena uscita dal carcere e si trova davanti a un muro: consultori, aule di tribunale, la separazione dal figlio Martin. Nel cercare di rimettere insieme i pezzi della sua vita, si dibatte tra l'urgenza di restare fedele a sé stessa e la necessità di scendere a patti con un ambiente poco incline a concedere seconde possibilità.

Nel loro avvicinarsi cauto e quasi casuale, Umberto e Angela cercano soprattutto di spostarsi da un punto morto, di uscire da un loop esasperante.

Non sono grandi gesti o nobili intenti a muoverli, ma tecniche disperate di sopravvivenza, rituali quotidiani per restare a galla. I loro dialoghi, inizialmente schematici e ridotti all'essenziale, rivelano un'umanità che si manifesta nei gesti minimi, nell'approccio dannatamente pratico di chi sa che la comprensione non basta, che servono soluzioni concrete.


La storia che ne scaturisce non ha nulla di scontato, è un lancio di dadi da cui può accadere qualsiasi cosa, anche niente.

La prosa cruda e asciutta riflette questo vuoto di certezze, restituendo lo sguardo disincantato di chi non vede altro che un presente indeclinabile, in cui tutti i giochi sono fatti e ogni porta si è aperta solo per richiudersi con un tonfo alle spalle.
È una palestra esistenziale non cercata, dove la consapevolezza coincide paradossalmente con un profondo senso di estraneità. Come suggerisce Angela al padre, rigido nelle sue certezze morali.
Sembrava facile, vero Pater? Come una partita a dama: sposta, scavalca, occupa. Vinci. Ma poi la realtà ha giocato una tattica inimmaginabile. Rita Ragonese, La vita contro

Forse solo gli angeli caduti si accorgono delle proprie ali, tutto dipende da che parte si guarda: dall'alto oppure dal basso.

Il quadro che viene dipinto mette a nudo pregiudizi, convenzioni sociali, aspettative tradite. Non è scontato e non è da tutti trovare una via di guarigione, di certo non prima di aver scavato a fondo ed essersi addentrati nei sentieri più tortuosi e dolorosi.


La vita contro

di Rita Ragonese
Fazi Editore
Narrativa
ISBN: 979-1259676030
Cartaceo 17,10€
Ebook 9,99€

Quarta

Umberto e Angela si incontrano. Lui alla soglia della pensione, alcolista, cresciuto al CEP – esperimento di aggregato popolare affacciato sulla laguna di Venezia – e lei poco più che ventenne, appena uscita dal carcere della Giudecca, proveniente da una rispettata famiglia ottusamente cattolica, la cui infanzia è stata scandita dalle ossessioni di un padre bigotto...Quando si incontrano per la prima volta, Umberto è il serio, scorbutico e apprezzato macellaio di un supermercato di Mestre che porta sulle spalle il peso di una terribile tragedia accaduta vent’anni prima. Abbandonato dalla moglie e dal figlio, trascina la sua esistenza in solitudine. Angela, ospite di una comunità, arriva al reparto macelleria come stagista, grazie al progetto di recupero proposto dai servizi sociali, al solo fine di ottenere l’affido di Martin, il figlio avuto da Florian, che durante la sua detenzione era stato affidato ai nonni. L’errore di Angela è stato quello di aver ingenuamente creduto alla lealtà del giovanissimo padre del bambino, finendo invischiata, invece, in una serie di attività criminali. Umberto e Angela, dopo un primo momento di collisione, iniziano ad avvicinarsi. Senza volerlo, senza sapere di esserne capaci, finiranno per proteggersi a vicenda, accompagnati dalla lenta scoperta della bellezza, sino all’inaspettato finale. Con una voce calibrata, emozionante, autentica, l'autrice ci racconta una storia di dolore e riscatto con due protagonisti diversissimi che saranno capaci, tuttavia, di dare vita a un'amicizia virtuosa imperniata sulla solidarietà e il sostegno reciproco.


Davide Dotto
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Recensione: Briscola chiamata, di Massimiliano Sonsogno

Recensione: Briscola chiamata, di Massimiliano Sonsogno

Recensione: Briscola chiamata, di Massimiliano Sonsogno

Libri Recensione di Andrea Pistoia. Briscola chiamata di Massimiliano Sonsogno (Astrolabio Vigevano). I continui colpi di scena ambientati sia nel presente che nel passato dei protagonisti tengono alto l'interesse del lettore mentre gli episodi surreali e demenziali gli strappano un sorriso o una risata.

Le prime pagine di Briscola chiamata, di Massimiliano Sonsogno, partono in modo a mio parere poetico (ma con un pizzico di leggerezza) e si concludono con un evento che spiazza e sprona il lettore a capire cosa stia accadendo.
Poi si entra nel vivo della storia, dove l'autore presenta in primis la casa di riposo Serenella e successivamente i protagonisti: Ottavio, Armando, Gino e Lucia. Questi scoprono che Giorgio, un altro residente della casa, è stato rapito.

Gli arzilli protagonisti si mettono subito a indagare, precipitando in un gioco più grande di loro (specialmente quando trovano nella stanza di Giorgio un oggetto che, più che chiarire i loro dubbi, li moltiplica).

Ed è così che gli anziani partono in soccorso dell'amico, gettandosi in situazioni da cui non sanno se ne usciranno vivi, tra poliziotti corrotti e mafiosi violenti, tra inseguimenti mozzafiato e sparatorie mortali, tra misteri sempre più fitti e nuovi personaggi che peggiorano la situazione.
In tutto questo i quattro protagonisti possiedono le esigue energie della loro non più giovane età ma la forza interiore di chi si aggrappa ancora alla vita ed è sempre pronto a gettarsi in avventure spericolate.
Senza contare che ognuno di loro nasconde piccoli e grandi segreti (i quali vengono a galla con il prosieguo della storia) e dimostra come i protagonisti siano giunti a quell'età affrontando sfide, sconfitte, dolori, perdite ma anche momenti che meritavano di essere vissuti e impressi nella mente.
Che dire di questo romanzo?

Innanzitutto è un susseguirsi di botte e risposte acute, gag esilaranti e battute originali, arricchite da quella comicità a volte sottile e altre volte diretta ma mai fuori luogo, con picchi di genialità dell'autore quando si tratta di giocare con le parole e i concetti.

Ne sono esempi lampanti: «La Lomellina non è adatta alla sopravvivenza dell'uomo ma l'uomo non lo sa e continua ad abitarla» o «I mafiosi dopotutto sono brave persone, sono solo politici che non ce l'hanno fatta» oppure «Quando sei vecchio dire addio è più difficile; sai che la maggior parte dei casi lo è davvero» o il «Recoveradvisor.com», il portale dove si può recensire e votare il ricovero dove si è alloggiati.
In più, i continui colpi di scena ambientati sia nel presente che nel passato dei protagonisti tengono alto l'interesse del lettore mentre gli episodi surreali e demenziali gli strappano un sorriso o una risata (ma anche un sentimento di stima verso l'autore e la sua inesauribile creatività).

Ma sopra ogni cosa, le rocambolesche avventure on the road dei protagonisti, la curiosità di capire come l'autore chiuderà tutte le sottotrame e dove andrà a parare la storia invoglia il lettore a non staccare gli occhi dalle pagine del romanzo fino alla sua conclusione.

Nota di merito anche per lo stile in cui è scritto. Infatti la velocità della narrazione e il ritmo incalzante rendono il romanzo fluente e mai noioso. Merito dell'autore, il quale non si dilunga in dialoghi o descrizioni superflue ma mette la quarta in ogni capitolo arricchendolo di particolari interessanti e originali atti a rendere la lettura piacevole, spassosa e accattivante. Ecco perché si legge tutto d'un fiato e scorre che è un piacere. E non dimentichiamo che ogni capitolo possiede un intro che spiazza, diverte, incuriosisce e spoilera qualcosa ma a vantaggio della narrazione in quanto incentiva il lettore a proseguire la lettura per scoprire come l'autore sia riuscito a sviluppare quell'intro per renderlo ricco di sfaccettature e di perle comiche.
Per quanto mi riguarda, ciò che mi ha stupito di più è come in mezzo a tanta comicità e colpi di scena (inevitabile, dato il genere di romanzo a cui appartiene, ovvero un thriller ricco di azione e di demenzialità) l'autore sia riuscito ad arricchire il tutto con alcune rivelazioni o momenti commoventi che spiazzano e fanno riflettere il lettore.
Ecco perché consiglio a tutti questo romanzo; a chi vuole una lettura leggera, a chi è appassionato di thriller vecchio stampo ma soprattutto a chi sta cercando un romanzo che trasuda emozioni genuine e riflessioni profonde.


Briscola chiamata

Briscola chiamata

di Massimiliano Sonsogno
Astrolabio Vigevano
ISBN: 9791280217776
Cartaceo 15,00€

Quarta

La storia si svolge a casa Serenella, una casa di riposo dal clima surreale dove accadono cose che purtroppo però accadono anche nella realtà. Ogni giorno ad un tavolo del grande salone si ritrovano i cinque giocatori di briscola chiamata più forti che l’ospizio abbia mai avuto: Giorgio, Gino, Giampiero, Armando e Ottavio. A Lucia è consentito guardare le partite, ma non giocare. Il clima è teso, costellato di misteri e violenze ai danni degli ospiti. Una notte Lucia assiste al rapimento di Giorgio e corre a chiedere aiuto agli altri amici. La mancanza del quinto giocatore costringe lo strano gruppo di anziani a scappare dal ricovero, soprattutto visto che la direttrice non li vuole assolutamente aiutare. Anzi, fa di tutto per farli desistere, dando mostra di nascondere qualcosa. È per questo che i cinque vecchi sono costretti a scappare, inseguiti dalla polizia e da un nutrito gruppo di malviventi che vuole qualcosa da Giorgio, ma anche da loro. Un’avventura piena di peripezie e di situazioni imbarazzanti: incontri con la mafia russa, con suore di colore, ricongiungimenti familiari, dichiarazioni d’amore, omicidi, piani più o meno riusciti, partite di bocce memorabili e molto altro. Una storia che parla dell’amicizia più bella che esiste, quella che nasce quando si ha ancora poco da vivere. Una storia che parla di famiglia: sia quella che ci si ritrova, sia quella che si sceglie, sia quella che si sarebbe tanto voluta. Una storia che parla d’amore: un amore “da vecchi”, perché non si è avuto modo di viverlo da giovani, ma che si vive con lo stesso ardore. Una storia che parla di coraggio: un coraggio che può avere solo chi ha vissuto abbastanza da sapere cosa vuol dire morire. Una storia che parla di vecchiaia: la vecchiaia quella vera, fatta di persone arrabbiate col mondo che non hanno voglia di morire, o forse sperano solo che accada alla svelta. Persone che vengono abbandonate perché ormai diventate un peso e che trovano nell’amicizia e nella solidarietà tra “vecchi di merda”, come direbbe Lucia, l’unico modo per vivere bene quello che gli resta.



Andrea Pistoia

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Recensione: La Madre del vento, di Emma Fenu

Recensione: La Madre del vento, di Emma Fenu

Recensione: La Madre del vento, di Emma Fenu

Libri Recensione di Loriana Lucciarini. La Madre del Vento di Emma Fenu (PubMe - collana Gli scrittori della porta accanto). La storia intensa di Dalida, voce narrante, che rifiuta la società dell’epoca e diventa la figura che meglio rappresenta gli abusi perpetrati verso tutte quelle donne considerate diverse.

Quante crepe ci possono essere in un'anima? E come riescono a provocare il collasso che porta alla distruzione? Accade quando il vento della follia si insinua, alimentando la disperazione, la solitudine, la morte, impedendo alla luce di passare per generare una nuova rinascita.

La Madre del Vento di Emma Fenu è un romanzo intenso e potente.

Emma Fenu realizza un’ottima prova autorale offrendoci una scrittura consapevole e matura, capace di spogliare i suoi personaggi e farli esporre ad anima nuda.
La narrazione priva di orpelli ma, al contempo, elegante e lirica, offre respiro tra le emozioni e va diretta al cuore, sollecitando empatia profonda e compartecipazione. La voce narrante è quella di Dalida, una donna che, a causa del rifiuto a conformarsi alla società dell’epoca, diventerà la figura che meglio rappresenta gli abusi perpetrati verso tutte quelle donne considerate diverse.
Da bambina ero considerata una santa: mi rivolgevano preghiere affinché esercitassi il dono misterioso di cui ero detentrice. Mi chiedevano di toccare le imbarcazioni, le reti e perfino i bambini perché curassi, prevedessi la tempesta o la calmassi, qualora fosse già scoppiata mentre le barche ancora non avevano fatto ritorno al porto.Emma Fenu, La madre del Vento

La vita di Dalida non è stata facile.

Bella e dannata, ha convissuto con l'essere additata come diversa dove, spesso, il diverso nelle tradizioni popolari trova spazio in figure ancestrali potenti che fanno paura. Il diverso è figlio del diavolo oppure un angelo, basta decidere con che sentimento lo si guardi. Una bella donna, che spicca sul resto della popolazione per colori chiari e luminosi, può essere considerata dea; ma se è affascinante e irrequieta, ribelle e libera, perde la virtù archetipa del bene e si trasforma subito in strega, demone tentatore. Così, in un’isola come la Sardegna – che ha un legame profondo con il mare che ne lambisce la costa – un territorio animato da cultura antica e tradizioni radicate, Dalida diventa la figlia oscura della Madre del Vento, ovvero colei che sceglie chi richiamare a sé oppure chi graziare con sguardo benevolo, concedendogli la sopravvivenza.

La Madre del Vento è potente e temuta: lei decide se sarà tempesta o bonaccia, se i flutti si trasformeranno in cupi mietitori o in generosi cesti di pescato, di vita.

Vita e morte dipendono dalla Madre del Vento.
Per Dalida, portarsi addosso tale ruolo non è facile, ma in esso la donna ci si riconosce e lo interpreta con convinzione. Spaventa gli altri con i suoi strali. Stupisce per le sue scelte. Affronta il cammino impervio, mai la strada tracciata. Vaga nelle notti in cerca di risposte, sotto lo sguardo bigotto dei suoi paesani per cui è facile scivolare nella malalingua. Lei è sempre un passo avanti oppure uno indietro, non si associa agli altri. Cerca la solitudine e non viene capita.

Plasmata dalla cultura in cui essa stessa è immersa, Dalida arriverà ad attribuirsi poteri sovrannaturali.

Lei è la figlia della Madre del Vento, lei può. E il tempo calca la mano su superstizioni e paure. I malcapitati che la incrociano per strada evitano il suo sguardo. Il suo nome è bisbigliato assieme alla condanna di puttana. Dalida impara a usare le parole intrise di oscurità per proteggersi dagli altri. Sola, urla in faccia al mare agitato la sua disperazione e il suo male di vivere, senza che mai qualcuno la riesca a comprendere davvero.
La mia bellezza mi rendeva pura e dolce come un angelo agli occhi dei compaesani, eppure io non ero una creatura luminosa, ma un animale notturno e schivo. La mia vera natura non fu più un segreto quando cominciai a crescere e diventare peccatrice e seduttrice. Allora divenni strega temuta e puttana insultata, perfino prima di conoscere come fosse fatto il corpo di un uomo.Emma Fenu, La Madre del vento

Con un’anima piena di crepe, si mostra orgogliosa e fiera quando invece il dolore del rifiuto altrui la lacera dentro.

Ondeggiando sul filo sottile dell'irreale, la tela tessuta dalla società e da lei stessa finirà per soffocarla. E, quando arriverà a partorire sua figlia e scoprirà che la bimba è nata morta, precipiterà nel baratro del dolore, della pazzia, dei sensi di colpa. Perché ciò che il paese crede diventa ciò che Dalida crede e, anche se lei si ribella alle convenzioni della società del tempo, nulla può contro la strisciante identificazione verso quel ruolo di morte.

Travolta dalle sue stesse convinzioni, finirà per assumere il ruolo mitologico di capro espiatorio, addossandosi accuse e vivendo di disperata colpa.

Dalida finirà per dannarsi per sempre, diventando carnefice di sé stessa e giudice implacabile.
Sarà solo grazie all’arrivo di Lucia, la seconda voce narrante – nomen omen – di questa storia, che avremo la giusta luce e troveremo la necessaria chiarezza su una vicenda gravata da disgrazie, dicerie, silenzi, omissioni, bugie. Una chiarezza che per Dalida sarà carezza riparatrice, abbraccio liberatorio da un destino fin troppo crudele.


La Madre del Vento

di Emma Fenu
PubMe – Collana Gli Scrittori della Porta Accanto
Narrativa
Formato tascabile | 142 pagine
ISBN 979-1254587218
Cartaceo 13,00€
Ebook 2,99€

Quarta


A Guelar, un piccolo borgo di pescatori sulla costa sarda, le vite di Dalida e Lucia si intrecciano tra le ombre di antiche leggende e le cicatrici di un passato tormentato.
Dalida è segnata da un dono inquietante che ha profondamente influenzato la sua esistenza, fino a condurla tra le mura di un manicomio. Lucia, alla ricerca delle proprie radici, scopre il destino che lega entrambe, fatto di sensi di colpa e segreti.
Attraverso una serie di rivelazioni strazianti e sconvolgenti, emerge un affresco familiare su cui pesa il fardello dei ricordi e una maledizione che ha segnato un’intera generazione. Al centro, la figura enigmatica della Madre del Vento, un’entità potente e ambigua, una presenza misteriosa che governa le acque, i venti e le tempeste, più reale di una madre di carne.
Un romanzo che esplora la profonda eredità dei traumi familiari, sfumando i confini tra realtà e mito. Un viaggio tra dolore e redenzione che conduce il lettore nell’oscurità della mente e del cuore, in uno spazio dove il mondo dei vivi e quello dei morti si incontrano.

"La verità è semplice e terribile... Non sono più la Dalida di cui si raccontava, nel silenzio di sere buie, fra bisbigli e brividi. Sono stata la fanciulla del borgo che impazzì per colpa del diavolo. A me solo tu, Madre del Vento, hai raccontato fiabe nere, tenendomi seduta sulle ginocchia; mia madre non lo fece mai."



Loriana Lucciarini
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Recensione: Eden, di Auður Ava Ólafsdóttir

Recensione: Eden, di Auður Ava Ólafsdóttir

Recensione: Eden, di Auður Ava Ólafsdóttir

Libri Recensione di Elena Genero Santoro. Eden di Auður Ava Ólafsdóttir (Einaudi): «Si ha la sensazione di respirare per qualche ora l'aria fresca e rilassata dell'Islanda, quella dove anche gli avvenimenti più tristi scorrono sotterranei e ovattati sotto una superficie di piccoli gesti quotidiani».

Credo di aver letto tutto ciò che è stato tradotto in italiano di Auður Ava Ólafsdóttir, quindi ormai ho l'imprinting. Posso dire che i suoi romanzi hanno una assoluta linearità stilistica, ma con esiti alterni nei risultati.
Così come ho adorato e recensito Miss Islanda qualche anno fa, così sono morta di noia con La vita degli animali e ho evitato di parlarne.

In genere Ólafsdóttir non si distingue per storie adrenaliniche.

Si tratta di racconti ambientati in un presente abbastanza statico dal quale, a frammenti, emergono fatti del passato che compongono il quadro come un puzzle. Talvolta sono stilettate che lasciano il lettore incredulo e sanguinante.
Di solito quando racconto un libro non mi soffermo tanto sullo stile quanto sul contenuto, ma nel caso di Ólafsdóttir è proprio lo stile quello che permette all'autrice di tessere una trama di micro eventi quotidiani, carote piantate, cipolle affettate, libri sottolineati, che si intersecano con riflessioni e conclusioni che inglobano il messaggio dell'autrice.

In Eden la storia quasi non esiste.

C'è Alba, una linguista, che lavora anche come editor, e che decide di spostarsi lontana dalla città. Vuole infatti piantare alberi per compensare l'impronta di carbonio che ha lasciato ogni volta che ha volato da qualche parte imprecisata del mondo per partecipare a conferenze sulle lingue in via di estinzione.
Colonna portante di Eden è il tema ecologico, compreso il cambiamento climatico. Persino l'Islanda non è più quella di un tempo e si verificano fenomeni atmosferici insoliti.

Per Ólafsdóttir – altro leitmotiv in comune con tutti i suoi libri – esiste l'Islanda ed esiste il resto del mondo, che non viene mai menzionato né descritto nello specifico.

E come in Hotel Silence, qui abbiamo dei profughi, persone che scappano da una guerra (in Hotel Silence si parlava di un luogo in cui la guerra era appena finita), ma non sappiamo esattamente da dove arrivino e quale fosse il loro paese. Potrebbe essere qualunque posto, di certo più caldo e con un sole più alto nel cielo che nell'Islanda stessa.
Ólafsdóttir dunque riempie il testo di tante micro azioni che descrivono come Alba si sistema nella sua casa nuova, come si ambienta nello spazio circostante, come crea il suo Eden – il paradiso terrestre in cui, però, biblicamente, non è destinata a rimanere per sempre.

Trasversalmente, e in sordina, emerge l'altra ragione per cui Alba è andata a stare lì: uno scandalo, un suo ex studente che ha pubblicato un libro di poesie in cui parla di lei, la sua ex amante.

Alba non affronta e non risolve: fugge.
E poi suo padre, sua sorella, i drammi familiari pregressi che vengono svelati un po' alla volta.
Una fine vera e propria non c'è, il romanzo si avvia a una conclusione senza colpi di scena, senza stravolgimenti e con qualche speranza per il futuro.
L'originalità risiede tutta nell'atmosfera di paesaggi desolati, di notti estive che non diventano mai scure, di nevicate a maggio, di lenzuola pulite e di piatti tipici.
Con Ólafsdóttir si ha la sensazione di respirare per qualche ora l'aria fresca e rilassata dell'Islanda, quella dove anche gli avvenimenti più tristi scorrono sotterranei e ovattati sotto una superficie di piccoli gesti quotidiani.


Eden

di Auður Ava Ólafsdóttir
Einaudi
Narrativa
ISBN 978-8806261115
ebook 9,99€
cartaceo 17,10€

Quarta

Alba, che si occupa di lingue in pericolo di estinzione, vive a Reykjavík e viaggia spesso in aereo per lavoro. Di ritorno da un convegno, calcola che per compensare la sua impronta di carbonio annuale dovrebbe piantare cinquemilaseicento alberi. Detto, fatto. Imparando a costruire muretti dai video in rete, tra colpi di vanga e veri e propri sradicamenti, nel suo nuovo terreno fuori città Alba è destinata a incontri eccezionali, come quello con Danyel, un giovane rifugiato in fuga dalla guerra, che le regalerà una nuova prospettiva sul futuro.

«Auður Ava Ólafsdóttir fa parte di quegli autori che ritroviamo ogni volta con piacere, come un'amica che vive lontano ma con cui continuiamo ad avere un forte legame».
«Les Échos»

Alba all'ultimo convegno a cui partecipa. Linguista, docente universitaria, correttrice di bozze, Alba è un'esperta - e un'amante - delle parole, e il tema delle lingue in pericolo di estinzione le sta a cuore, dal momento che l'islandese ne fa parte. Per questo interviene in conferenze in tutto il mondo, il che per lei, abitante di un'isola a nord del Circolo polare artico, significa per forza salire su un aereo. Di ritorno dal convegno, Alba fa una riflessione: per compensare la sua impronta di carbonio di quell'anno, dovrebbe piantare cinquemilaseicento alberi. Questo è l'importo, inevitabilmente parziale, del debito che ha nei confronti del pianeta. Perciò, quando legge l'annuncio di una proprietà in vendita fuori città, Alba non ci pensa due volte. L'appezzamento, che comprende un casolare da ristrutturare, è il posto giusto per realizzare un progetto di riforestazione. Nonostante sia un terreno di rocce, lava e sabbia, sferzato dal vento, tutt'altro che fertile... Ma Alba non si lascia scoraggiare dai presupposti avversi. Né tantomeno dai sospetti del vicino, il ruspante allevatore di pecore Álfur, o dalle critiche della sorella Betty, che la assilla con le sue telefonate. Su consiglio di Hlynur, comandante di marina in pensione e appassionato di selvicoltura, amico del padre, Alba comincerà dalle betulle, che resistono a quelle latitudini. La linguista trascorre cosí il tempo libero tra vanghe e zappe, alle prese con un muretto che impara a costruire dai video in rete, apprezzando il contatto con la natura e affezionandosi alla piccola realtà locale - qui la panetteria ha un reparto bricolage e l'alimentari ospita la filiale della banca. Stringe amicizia con Håkon, del negozio della Croce Rossa, e incontra Danyel, un giovane rifugiato in fuga dalla guerra che ha un grande talento per l'islandese. A poco a poco Alba si impegna sempre di piú in quel suo originalissimo Eden privato, tanto da decidere di vendere l'appartamento in città e trasferirsi nel casolare. Anche grazie a Danyel, quella che sembrava solo un'idea stravagante per Alba prende la forma di una possibilità: di un nuovo inizio, di una vita piú ricca, della libertà di scegliere finalmente le parole per riscrivere la sua vita con i versi di una luminosa poesia.


Elena Genero Santoro
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Recensione: Coltello, di Salman Rushdie

Recensione: Coltello, di Salman Rushdie

Recensione: Coltello, di Salman Rushdie

Libri Recensione di Davide Dotto. Coltello. Meditazioni dopo un tentato assassinio, di Salman Rushdie (Mondadori). Meditazioni dopo un tentato assassinio. Il Potere della Parola: la risposta di Rushdie all'aggressione attraverso la Scrittura.

Il 12 agosto 2022, poco prima dell’inizio di una conferenza pubblica nell’anfiteatro di Chautauqua – nello Stato di New York – sulla “Importanza di proteggere gli scrittori dai soprusi”, Salman Rushdie è stato bersaglio della «volontà cieca e determinata» di un attentatore.

Le premonizioni inquietanti sono state numerose e concordanti.

Incubi, presagi letterari (foreshadowing), e non solo un "senno del poi" fin troppo saggio. Questo "senno del poi" è stato alimentato da riferimenti letterari, incubi ricorrenti, dalle stesse pagine dei romanzi di Rushdie, dalla navicella che colpisce l'occhio destro della luna (riferimento a Le voyage dans la Lune, film muto del 1902 di Georges Méliès) fino alle vicende di Pampa Kampana nell'ultimo romanzo. Alla fine, tutto questo esplode. Il rumore di sottofondo che ha prodotto è diventato così insistente da non essere ascoltato, un monito percepito solo a cose fatte, quando forse si attendeva che accadessero per liberarsene.

Alla radice di tutto la fatwā emessa contro lo scrittore e i suoi editori dall’Ayatollah Khomeini nel febbraio del 1989, a seguito della pubblicazione del romanzo I versi satanici.

Nonostante i limiti alla libertà di movimento, necessitando una costante e scrupolosa protezione, la produzione letteraria non si è arrestata. I suoi ultimi romanzi sono Quichotte (2020) e La città della vittoria (2023).

Leggi anche Davide Dotto | Recensione: Quichotte, di Salman Rushdie

Coltello. Meditazioni dopo un tentato assassinio, la più autobiografica tra le sue opere, non è un memoir in senso stretto.

Non contiene semplicemente rievocazioni e riflessioni sulla propria vita: esse diventano un tutt’uno con l'opera letteraria, al di là dell’esperienza vissuta e interiorizzata.
Il rasoio di Occam è un coltello concettuale, un coltello della teoria, che toglie di mezzo un bel po’ di fuffa e ci ricorda di preferire sempre, tra le spiegazioni della realtà disponibili, quelle più semplici a quelle più complicate. In altre parole, un coltello è uno strumento, e assume il suo significato sulla base dell’uso che ne facciamo. Un coltello è moralmente neutro. A essere immorale è l’uso sbagliato che se ne fa. Salman Rushdie, Coltello


C’è un punto di svolta, un evento non del tutto inaspettato che però crea attesa e sospensione.

Accentua fuori misura il senso della profonda precarietà dell’esistenza, quella che rende impossibile qualsiasi progetto a lungo termine. È un sogno angoscioso che si realizza e suggerisce il moto di rassegnazione di chi non si aspetta un dopo. Ma Coltello è, a tutti gli effetti, il racconto di questo dopo. Si tratta, a ben vedere, di un tema ricorrente nell’opera di Rushdie, che spesso esplora le sfide e le trasformazioni che seguono momenti di grande cambiamento o crisi.
Mi limiterò a dire questo: non saremmo le persone che siamo oggi senza le calamità dei nostri ieri. Salman Rushdie, Coltello

Sono almeno due le storie, una intrappolata dentro l'altra, quella dello scrittore che a poco a poco supera i postumi della violenta aggressione, e dell'attentatore che assume – anch'egli a poco a poco – le fattezze di un personaggio di Salman Rushdie.

Un po' tutti, alla fine, si è un po' come libri già scritti, e non tanto per il futuro ma per il passato al quale si ritorna con occhi nuovi, e da cui ci si sente trascinati
Opera nell'autore, nella rievocazione come durante i drammatici momenti dell'aggressione, una forma particolare di dissociazione perché vediamo in Salman Rushdie lo scrittore che detta legge su eventi, personaggi e interpretazioni («Comunque, dovrò rassegnarmi a essere tanto "Salman" quanto "Rushdie"»).

Lo vediamo come un personaggio che non smette però di tessere la sua storia.

Qualcuno che cerca di riappropriarsi di significati ed eventi guardandoli dall'esterno, cosa che stavolta non gli capita di fare; indossa secondo l'occasione la maschera, le vesti di un ruolo e lo fa come si deve, anche se per un momento gli è stato sottratto. Finché non giunge il messaggio, o la comprensione più profonda nonostante il lungo e intenso cercare, l’identica storia non fa altro che ripetersi nell’eco di infinite varianti, come se capitasse non ad altri, ma a sé stessi.


Questo, in fondo, intende fare Coltello di Salman Rushdie: scavare dentro e riflettere su eventi come se non li avesse vissuti in prima persona.

Tanto da raccoglierne l'eco da diverse fonti e diversi punti di vista, dato che il suo al momento è obnubilato, come si conviene a un personaggio. Inoltre, come nei romanzi, tenta di aprire un varco tra una dimensione e l'altra facendole colloquiare e non solo costruendo ponti, ma autentiche vie di fuga per godere la vita o semplicemente sopportarla nel riuscire a vederla così com'è. E strappare al caso e alla precarietà, quando si può, qualche brandello di normalità.



Coltello
Meditazioni dopo un tentato assassinio

di Salman Rushdie
Mondadori
ISBN: 978-8804780366
Cartaceo 19,95€
Ebook 9,99€

Quarta

Da Salman Rushdie ci arriva un resoconto personale e potente su com'è riuscito a resistere - e a sopravvivere - a un attentato alla sua vita trent'anni dopo la fatwa che era stata scagliata contro di lui. Nell'ormai lontanissimo febbraio del 1989 l'ayatollah Khomeini emise una fatwa, una sentenza di morte, contro Rushdie per aver scritto I versi satanici, romanzo nel quale, a detta del leader iraniano, venivano offesi la religione islamica e il suo profeta. A quasi trent'anni da quell'evento, la mattina del 12 agosto 2022, mentre si trovava sul palco del Chautauqua Institution – nello stato di New York – per tenere una conferenza, un uomo in abiti e maschera neri si precipitò lungo il corridoio verso di lui brandendo un coltello. Il primo pensiero di Rushdie fu: "Sei tu, dunque. Eccoti qui". Quello che seguì fu un atto di violenza che scosse il mondo letterario e non solo. In queste pagine potentissime, Rushdie ci fa rivivere per la prima volta, e con dettagli indimenticabili, gli eventi traumatici di quel giorno, nonché quello che venne dopo: il suo complicato percorso verso il recupero fisico e la guarigione resi possibili dall'amore e dal sostegno di sua moglie, Eliza, della sua famiglia, del suo esercito di medici e fisioterapisti e della sua comunità di lettori in tutto il mondo. Coltello è l'opera di un Maestro delle Lettere all'apice delle sue capacità, che scrive con passione, con dignità, con onestà incondizionata. È anche un ricordo profondamente commovente del potere della letteratura di dare un senso all'impensabile, una meditazione intima e rassicurante sulla vita, sulla perdita, sull'amore, sull'arte e sul trovare la forza di rialzarsi.


Davide Dotto

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Recensione: Una gran voglia di vivere, di Fabio Volo

Recensione: Una gran voglia di vivere, di Fabio Volo

Recensione: Una gran voglia di vivere, di Fabio Volo

Libri Recensione di Andrea Pistoia. Una gran voglia di vivere di Fabio Volo (Mondadori). Un libro a tratti ruffiano, che affronta i soliti temi tanto cari all'autore ma da un nuovo punto di vista: non solo la genesi e l’evoluzione di una storia d’amore, ma anche la sua rovina e i tentativi di riportarla ai vecchi splendori.

La storia in sé è piuttosto semplice e lineare: Marco (il protagonista) e Anna (sua moglie) stanno attraversando la classica crisi di coppia dovuta alla consapevolezza sempre più pressante che non stanno più bene insieme.
Decidono  lo stesso di partire per un viaggio in Australia con il figlio Matteo, in modo da cercare di salvare il salvabile e di far chiarezza sul loro rapporto, sulla vita e sull'amore.
Nel loro viaggio attraverso l’Australia e la Nuova Zelanda incontrano persone sagge e interessanti che gli faranno mettere in discussione i capisaldi su cui hanno fondato il loro rapporto di coppia. E durante la loro avventura on the road il protagonista ha dei flashback in cui si evince quanto lui e la moglie fossero felici e affiatati all’inizio della loro relazione e come negli anni successivi qualcosa si fosse rotto, portandoli ad allontanarsi sempre più l’uno dall’altra fino a rendere il loro rapporto scontato.
Ad un tratto però i flashback finiscono e l'intera storia si focalizza sul presente, quindi sul loro viaggio e su ciò che stanno imparando su loro stessi e sul loro amore precario.
Che dire di questo libro? Innanzitutto partiamo dai pregi.

Anche in questo romanzo, come nei precedenti, c'è sempre quella capacità di Fabio Volo di mettere nero su bianco in modo semplice e accessibile a tutti pensieri, emozioni e stati d'animo legati a situazioni in cui ognuno di noi si è trovato almeno una volta nella vita, con tutto il bagaglio di gioie e dolori annessi.

Altro punto di forza è che Volo analizza e approfondisce un rapporto che si sgretola non per qualche episodio eclatante e plateale ma perché la coppia ha semplicemente lasciato che l’amore si spegnesse senza fare nulla per impedirlo, facendolo travolgere dalla routine quotidiana e da quella monotonia tanto rassicurante quanto priva di momenti di crescita e di emozioni travolgenti.
Azzeccati anche gli incontri con i comprimari i quali, da buoni portatori di verità e saggezza spiccia, forniscono una visione interessante su alcuni aspetti della vita che faranno riflettere non solo il protagonista ma anche il lettore.
Ma ora passiamo agli aspetti negativi, ovvero quelle due o tre cose sempre presenti nei libri di Fabio Volo che mi danno irrimediabilmente fastidio.

Ci sono i soliti temi cari che ritornano in ogni romanzo di Volo.

In primis, la vita del protagonista diviso tra lavoro e amore, con tutte le sue limitazioni e potenzialità. Sembra quindi di leggere sempre le stesse dinamiche dei libri precedenti ma con parole diverse. D’altro canto, però, è anche vero che nella vita di un tipico quarantenne i temi dominanti sono in fondo il lavoro, la famiglia e l’amore.
Ma soprattutto non possono mai mancare quelle onnipresenti paraculate atte a conquistare il pubblico femminile. È palese, quanto imbarazzante, come i suoi libri siano scritti unicamente puntando su un target: le donne. Lo si evince da come nei suoi romanzi non ci sia mai, da parte del protagonista, un momento in cui fa veramente “l’uomo medio”. Al contrario, è rappresentato come la versione ideale di un uomo per una donna, come se la priorità assoluta dell’autore fosse quella di dipingerlo il più politicamente corretto per non incorrere nelle ire e nelle critiche delle lettrici.

Fabio Volo anche in questo libro si limita a trattare un tema delicato come la separazione e l'amore agli sgoccioli con quella sensibilità che certamente conquista a man bassa il pubblico femminile.

Ma che, al tempo stesso, non rappresenta ciò che, anche in piccola misura, prova e pensa veramente l'uomo medio, specialmente su temi quali l'amore ma soprattutto il sesso. Per intenderci, sembrerebbe più un libro scritto da una donna che ha cercato d’immedesimarsi in un uomo.
Per farvi un esempio, il protagonista asserisce di aver fatto l’amore anche quando aveva avuto degli incontri occasionali. Ora, parliamone: un uomo nei rapporti “da una botta e via” direbbe più semplicemente che ha fatto sesso. Ciò è più plausibile e realistico. Quindi è palese come Volo usi questi escamotage per rendere il protagonista più apprezzabile dal pubblico di eterne romantiche che sperano di trovare un uomo che, anche nel semplice rapporto di una notte, ci metta amore e non solo un lasciarsi dominare da un più banale istinto animale.

Dopo queste critiche vi verrà spontaneo e naturale domandarvi allora perché io continui a leggere i suoi libri.

Onestamente a volte me lo chiedo anch’io! Ma la risposta è che non lo faccio tanto per le storie in sé o per quel confortante politicamente corretto che traspare da ogni suo libro ma perché ammetto di rispecchiarmi nelle situazioni dei protagonisti dato che, come tutti, alcune le ho vissute sulla mia pelle. Senza contare che alcuni concetti vengono spiegati dell’autore in modo semplice e con frasi ad effetto che colpiscono.
Infine, ammetto che anche in questo romanzo ho trovato degli episodi teneri, spiazzanti e addirittura drammatici che fanno guadagnare punti alla trama. Senza contare che tocca un tema nuovo rispetto ai libri precedenti: non prende in considerazione tanto la genesi e l’evoluzione di una storia d’amore quanto la sua rovina e i suoi tentativi di riportarla agli albori.

In definitiva, questo romanzo è adatto a tutti coloro che hanno vissuto un rapporto d’amore partito con i fuochi d’artificio ma poi lentamente logorato fino al triste epilogo.

Ecco perché, al di là delle critiche riportate da me poc’anzi, considero comunque un romanzo meritevole di essere letto, non fosse altro per la delicata tematica trattata.


Una gran voglia di vivere

di Fabio Volo
Mondadori
Narrativa
ISBN: 978-8804707271
Cartaceo € 18,05€
Ebook 7,99€

Quarta

"Svegliarsi una mattina e non sapere più se ami ancora la donna che hai vicino, la donna con cui hai costruito una famiglia, una vita. Non sai come sia potuto accadere. Non è stato un evento, una situazione, un tradimento ad allontanarvi. È successo senza esplosione, in silenzio, lentamente, con piccoli, impercettibili passi. Un giorno, guardando l'uno verso l'altra, vi siete trovati ai lati opposti della stanza. Ed è stato difficile perfino crederci". Quello di Marco e Anna sembrava un amore in grado di mantenere le promesse. Adesso Marco non riesce a ricordare qual è stata la prima sera in cui non hanno acceso la musica, in cui non hanno aperto il vino. La prima in cui per stanchezza non l'ha accarezzata. Quando la complicità si è trasformata in competizione. Forse l'amore, come le fiamme, ha bisogno di ossigeno e sotto una campana si spegne. Forse, semplicemente, è tutto molto complicato. Il libro di Fabio Volo è il racconto di una crisi di coppia e del viaggio, fisico e interiore, per affrontarla. Un romanzo sincero, diretto, che sa fotografare le pieghe e le piccole contraddizioni dei nostri rapporti.


Andrea Pistoia

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Recensione: Il sogno dell'isola, di Tamara Marcelli

Recensione: Il sogno dell'isola, di Tamara Marcelli

Recensione: Il sogno dell'isola, di Tamara Marcelli

Libri Recensione di Ornella Nalon. Il sogno dell'isola, di Tamara Marcelli (PubMe - Collana Gli Scrittori della Porta Accanto). Un romanzo notevolmente intenso che non lascia indifferenti.

Per me, Tamara Marcelli non è una novità. Ho letto il suo primo libro Il blu che non è un colore (ora rieditato con nuovi contenuti e uscito per PubMe col titolo Quel che resta delle parole, che vi consiglio di non perdere) e sono rimasta conquistata dallo stile asciutto, oserei dire “perentorio” con cui si esprime nelle poesie e nei testi di narrativa: molte frasi brevi, incisive, addirittura monosillabiche a volere enfatizzare un concetto appena espresso, sottolineare la sua valenza. Entrambi i testi sono intrisi di pathos, carichi di quelle emozioni che, sicuramente, sono proprie dell'autrice e di cui non vuole oppure non riesce a farne mistero, trasferendole, in tutta la loro intensità, al lettore che ne viene contagiato, se non addirittura sommerso.

Non sono letture facili, quelle di Tamara Marcelli. Le frasi, i paragrafi, i capitoli, devono essere assimilati gradualmente, solo in questo modo si può entrare in sintonia con la storia narrata ed esserne rapiti.

Non è una lettura veloce da fare in poche ore. Le parole devono sedimentare.
Ne Il sogno dell'isola ho ritrovato Tara, la protagonista del libro precedente, questa volta, però, in versione di più ampio respiro.
Tara, una giovane donna il cui costante conflitto interiore le procura non poche difficoltà di relazione sociali, in prevalenza con individui del suo stesso sesso. Tara l'attrice, che solo calcando le scene del teatro riesce a sentirsi parte integrante del mondo. Che ingurgita cibo per colmare il vuoto dell'anima e poi se ne libera, come a volere estromettere le proprie angosce. La cui ambivalenza le fa desiderare di vivere nella sua terra d'origine, la sua amata isola, dura e selvaggia, che più di ogni altro posto sembra rappresentarla, ma che, per contro, ama anche i paesi di montagna in pieno inverno, la cui coltre di neve le trasmette un senso di pace e purificazione.

Se non fosse per l'amore che incontra nella sua vita, a dispetto di quello scarso che prova per se stessa, forse Tara avrebbe potuto arrendersi di fronte a tutte le angosce che la attanagliano.

A quel senso d’inadeguatezza profondo che l'accompagna in ogni suo gesto Invece, la compagnia costante e simbiotica dei suoi cani, Tobia e Leon, la aiutano a sventare la solitudine che spesso l'accompagna e che lei stessa, a volte, cerca. E Laurence, l'uomo forte, equilibrato, pragmatico, l'unico che conosce e ama la sua anima senza veli, compensa le sue carenze, la sostiene e la supporta nei percorsi più impervi.
Sarà un'impresa difficile, quasi al limite della stabilità mentale anche raggiungere il naturale e desiderato obiettivo della maternità, ma Tara, oltretutto, è tenace e fortissima nella sua fragilità. Riuscirà a vincere anche questa battaglia? Forse, finalmente, potrebbe essere quella decisiva per sconfiggere tutta la sua personale guerra.


Il sogno dell'isola

di Tamara Marcelli
PubMe – Collana Gli scrittori della porta accanto
Romance | Narrativa
ISBN 9788827519424

Ebook 2,99€
Cartaceo 13,00 €

Quarta

«Cercarsi, trovarsi, riconoscersi. Accettarsi o combattersi. Da dentro. Perché non hai scelta, devi prendere una strada e seguirla.»

Questo romanzo non è semplicemente il racconto di una storia d'amore, in tutte le sue accezioni, ma piuttosto quello di una vita che si interseca con molte altre. Un viaggio nel tempo che rappresenta un viaggio dentro se stessa. Fino alla consapevolezza dei propri incubi più segreti. Fino alla liberazione. Per questo, lo stile fluido e i continui flashback, trasportano il lettore in dimensioni diverse, costringendolo anche a immedesimarsi, attraverso l’uso del tempo presente, alla situazione che in quel momento vive la protagonista. Come in Teatro.
È la storia di Tara, instabile e romantica, perennemente inquieta, innamorata della Vita, dell'Amore e dell'Arte. La maternità difficile, i disturbi del comportamento alimentare, il Sogno, sono alcuni dei temi presenti. Il suo incontro con un Poeta, con un Musicista e con Laurence, l'uomo che diventerà il suo alter ego e la salverà dall'autodistruzione.
Una vita vissuta sempre intensamente, tra luce e ombra. È la storia di un sogno che, una volta raggiunto, chiude il cerchio e rivive, trasfigurandosi, in nuovi occhi verdi. Nei sogni e nella vita, in un continuo scambio di dimensione e di senso, i segni diventano indizi, vanno colti e compresi. Ciò che sembra squilibrio e irrazionalità, è emozione e istinto; le sue maschere, quelle che spesso si è costretti a indossare nel mondo esterno per apparire "in linea" e sopravvivere. Ma l’anima va altrove.

«La mia vita è tutta qua. La mia follia sempre accanto per non soccombere al tempo, per non ingrigire, risucchiata dalla desolazione del mondo. Spesso serve bloccarsi, respirare e guardare indietro, per poter guardare avanti. Per guardare ad un sogno. E stare tra le stelle.»

Ornella Nalon
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Recensione: In cerca di te, il diario intimo «diacronico e onirico» di Emma Fenu

Recensione: In cerca di te, il diario intimo «diacronico e onirico» di Emma Fenu

Recensione: In cerca di te, di Emma Fenu

Libri Recensione di Stefano Marullo. In cerca di te, un memoir di Emma Fenu (PubMe – Gli Scrittori della Porta Accanto). Il racconto sublime e straziante di una donna in cerca di un figlio, un diario dell’anima diacronico e onirico che rimanda a Paula e Lettere a un bambino mai nato.

Nel sottotitolo di questo libro leggiamo “La storia di una donna segreta”, sebbene, in realtà, chi conosce Emma Fenu ha avuto modo di seguire le sue vicende personali attraverso i social, per lo più senza filtri e in diretta. Ma è nella forma della parola scritta che l'autrice riesce a dare, senza dubbio, il meglio di sé, in una sorta di diario dell’anima diacronico e, in buona parte, onirico. Sbaglierebbe chi scambiasse questa esposizione dettagliata, talvolta minuziosa di sindromi e di sangue (ma insieme trasfigurata in immagini dal forte simbolismo muliebre, passando da Mary Poppins a Maria Maddalena, dalla Regina di Cuori a Biancaneve) per una qualche forma di pornografia verbale; in Emma Fenu la passione non diventa mai volgarità e nel suo grido liberatorio non leggiamo mai compiacenza né, tantomeno, commiserazione.

Parimenti, l’autrice sembra attingere alla lezione psicoanalitica che vuole che non ci sia altro modo di abbattere i propri mostri se non affrontandoli alla luce del sole.

E sviscerando i loro reconditi rifugi in un incalzare che passa dall’interlocuzione con il bambino che non c’è, che ridiventa la bambina che non c’è, alla ferale consapevolezza di non potere essere madre di alcuna creatura, per potere essere, invece, «madre senza confini, madre di ogni figlio, di ogni sguardo, di ogni storia», in una commovente e lacerante liturgia che è, sostanzialmente, una cerimonia degli addii.

La narrazione all’ombra di algidi ospedali ricorda, per le sensazioni evocate e gli ossimori tra le attese intime e la disattesa realtà, il diario di Isabel Allende in Paula.

E c’è, in particolare, un parallelo interessante nel commiato che le narratrici danno alla propria prole come disposizione a una nuova presenza; laddove scrive Emma «Ti lascio andare, Bambina, perché l’amore è anche questo», e altrove «ci sei, ti sento, ti cerco negli occhi del mondo e in tutti ti ritrovo», là Isabel scriveva: «Adiós, Paula, mujer. Bienvenuda, Paula, espíritu» («Addio, Paula, donna. Benvenuta, Paola, spirito»).

Le riflessioni-soliloquio, di cui è imbevuto tutto il libro, dal potente carattere esistenziale, rimandano a Lettera ad un bambino mai nato di Oriana Fallaci.

Anche lì, la conversazione con chi non potrà nascere (paradossale almeno quando le invocazioni dell’ateo Cioran al Dio muto) è occasione per dare senso al proprio esserci.
In cerca di te è il racconto sublime e straziante di una donna e della propria caduta, certo, ma di una donna che cade in piedi ed è pronta a riprendere il cammino fatto di «amore e stupore», nonostante tutto, insieme a Pietro, inseparabile compagno a cui Emma Fenu riserva le parole più belle.


In cerca di te

di Emma Fenu
PubMe – Collana Gli Scrittori della Porta Accanto
Narrativa non-fiction | Memoir
ISBN 979-1254583982
Cartaceo 9,00€
Ebook 2,99€

Emma, la protagonista di questa storia, affronta con coraggio e sincerità le sfide di un viaggio fatto di attese, esami medici e trattamenti dolorosi. Non si risparmia le lotte emotive legate alla fertilità e all’endometriosi, la pressione sociale sulle donne per generare nuova vita, né i demoni che si frappongono tra lei e il suo sogno di diventare madre.
Tra queste prove, non mancano le dinamiche familiari fatte di momenti commoventi, teneri e drammatici.
In cerca di te è intima esplorazione di sé, racconto di un percorso nella sua interezza e nelle sue sfaccettature più profonde.

«Questa non è la storia della mia vita, ma solo di una parte di essa. Ci sono molti aspetti che in tale percorso di aspirante mamma, possono essere messi in luce: alcuni sono commoventi, altri teneri, altri drammatici, altri ancora decisamente ironici. E io li ho attraversati tutti, nel corso di dieci anni. Ora voglio liberare la mia parte in ombra, quella più fragile, quella che cede al dolore, quella che subito viene messa a tacere dalle altre, per far spazio al sorriso e alla determinazione. Non è la parte più vera di me: è solo la più nascosta.»


© Stefano Marullo


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Recensione: La stanza numero cinque, di Stefania Bergo

Recensione: La stanza numero cinque, di Stefania Bergo

Recensione: La stanza numero cinque, di Stefania Bergo

Libri Recensione di Davide Dotto. La stanza numero cinque di Stefania Bergo (Gli scrittori della porta accanto Edizioni). Un romanzo breve corale, sei storie di donne, ciascuna con una peculiarità e un metro differenti, nessuna con in tasca una soluzione matematicamente certa.

La stanza di questo racconto è la numero cinque, cinque (anzi, sei) sono le figure femminili chiamate a rispondere di loro stesse con una scelta delicata, definitiva.
Proprio perché ne rispondono, essa non è irresponsabile. La decisione, nella sua imponderabilità, contempla tanto un SI quanto un NO. Essa si scontra con condizionamenti esterni molto forti: problemi individuali della più varia natura, economici, famigliari e lavorativi, i quali suggeriscono o impongono di interrompere la gravidanza.
«Non penserai di tenerlo, vero?»
No, certo, non le era stato concesso di pensare.
«Lo sai che saresti sola, io non potrei fare nulla per te.»


L’invito – tutt’altro che scontato – è mettersi le scarpe degli altri prima di pronunciarsi su vicende e cose di cui non si ha esperienza diretta.

Solo così si è in grado di lasciare da parte l’oggettività delle regole, la logica della soluzione uniforme, della restrizione e del divieto. Soprattutto quando è proprio una norma  (la Legge 194 del 22 maggio 1978) a intervenire nel merito, con le sue valutazioni di fondo, disciplinandone i presupposti, e di cui vale la pena considerare almeno due articoli.
Art. 2
I consultori familiari istituiti dalla legge 29 luglio 1975, n. 405, fermo restando quanto stabilito dalla stessa legge, assistono la donna in stato di gravidanza [omissis]
d) contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all'interruzione della gravidanza.

Art. 4
Per l’interruzione volontaria della gravidanza entro i primi novanta giorni, la donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito, si rivolge ad un consultorio pubblico istituito ai sensi dell’articolo 2, lettera a), della legge 29 luglio 1975 numero 405, o a una struttura socio-sanitaria a ciò abilitata dalla regione, o a un medico di sua fiducia.

L’esistenza stessa della legge rende difficile chiamarsi fuori da una questione che non riguarda soltanto la donna. 

Non si può negare che i commi citati chiamino in causa chi ha determinato (o concorso a determinare)  «le condizioni economiche, sociali o famigliari» alla base della decisione.
Questo per capire che le storie narrate non sono una prova d’esame con in tasca una soluzione matematicamente certa. Ciascuna ha una peculiarità e un metro suoi propri, non ve ne sono due di uguali. Anzi, se le protagoniste si cambiassero vicendevolmente di posto, le storie assommerebbero ad alcune centinaia (6!=720). E non sarebbero comparabili in forza delle motivazioni profonde e del vissuto personali.
Volevo raccontare storie di donne che hanno scelto l’aborto.
Per insindacabili motivi. E proprio perché insindacabili non mi interessava soffermarmi su di essi. Volevo accendere un riflettore sulle donne. Ci sono così tante ragioni e sfumature, così tante scarpe differenti, che sarebbe stato impossibile raccontare una storia per ognuno di questi motivi.


La stanza numero cinque

di Stefania Bergo
PubMe – Collana Gli scrittori della porta accanto
Romanzo breve
ISBN 978-8833664149
Cartaceo 6,50€
Ebook 2,99€

Quarta
«Non si vendono verità e non si regalano giudizi, in questo romanzo colmo di materna delicatezza. Lo stile di Stefania Bergo è fluido, emozionale, coinvolgente. Le parole scorrono come acqua, come olio e come sangue. Non si arrestano e raggiungono l’anima.»
Emma Fenu

«Stefania Bergo, ha una penna delicata e sensibile e ha trattato questo argomento in punta di penna, dando realismo e tridimensionalità ai suoi personaggi. E, soprattutto, li ha resi veri. “La stanza n. 5” è un caleidoscopio di anime tutte al femminile dove l’Autrice ha tratteggiato ottimamente il bagaglio di vita di ogni singola protagonista; i pensieri, i retroscena, le angosce, le scelte. Un romanzo bello, intenso, senza sbavature.»
Loriana Lucciarini

Sei donne si ritrovano a raccontare la loro storia in una stanza d’ospedale in attesa dell’intervento programmato per la mattina seguente. Si tratta di Liliana e della giovane figlia Chiara, di Miriana, futuro amministratore delegato di una multinazionale, Daniela, architetto e madre di quattro figli, Valeria, editor in una casa editrice, ed Eva. Cinque di loro sono in lista per un aborto. Ma condividere le loro storie l’una con l’altra crea un cerchio di confronto ed empatia in grado anche di mettere in discussione la loro scelta. Forse.



Davide Dotto

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Recensione: In cerca di te, di Emma Fenu

Recensione: In cerca di te, di Emma Fenu

Recensione: In cerca di te, di Emma Fenu

Libri Recensione di Loriana Lucciarini. In cerca di te, un memoir di Emma Fenu (PubMe – Gli Scrittori della Porta Accanto). Una storia autobiografica densa di umanità e lirismo. La parte più intima della vita dell'autrice raccontata con cristallina sincerità, la ricerca della maternità, di un figlio desiderato, negato e rincorso con fatica, dolore, dedizione e speranza.

In cerca di te è l’ultimo lavoro di Emma Fenu, pubblicato nel 2023 per la collana de Gli Scrittori della Porta Accanto, PubMe.
L'ho letto già da un paio di settimane. Tuttavia avevo bisogno di fare chiarezza sulle emozioni che ha provocato in me e per questo ve ne parlo solo adesso. Lo faccio con difficoltà, perché ogni parola rischia di essere riduttiva o suonare ridondante, perché l’autrice ha raccontato la parte più intima della sua vita e lo ha fatto ad anima nuda e con una capacità narrativa evocativa ma, al tempo stesso, netta e sincera, cristallina.
Vorrei altresì riuscire a trasmettere ciò che penso, a tal fine sono andata alla ricerca delle parole giuste per cesellare emozioni e riflessioni che questa lettura ha sollecitato in me.
In cerca di te di Emma Fenu racconta della ricerca della maternità e di un figlio desiderato, negato e rincorso con fatica, dolore, dedizione e speranza. Sulla propria pelle e sul proprio corpo. Una storia autobiografica, priva di retorica ma densa di umanità, vibrante di lirismo.

Quanto si è disposti a fare per trasformare in realtà un desiderio profondo?

Il desiderio si impasta con la volontà e poi si fa carne, corpo, ventre in attesa pieno di amore e promesse future e, quando il ventre rimane nido vuoto, la mancata gravidanza si porta dietro il dolore di un’aspettativa che non fiorisce, un sogno infranto, una richiesta che la vita nega.
Emma ritenta. E, mese dopo mese, anno dopo anno, il grembo vuoto pesa sull’anima come un macigno. La ricerca di un figlio si forgia allora di volontà ed è rincorso con il fardello pesante di lacrime e sangue, fatica e dolore. Così, quando il sogno si infrange, Emma ne raccoglie i frammenti sparsi e li impasta, di nuovo, con ciò che resta di sé, per trovare la determinazione di provarci ancora. Ancora e poi ancora. Nonostante la vita mostri il volto amaro del rifiuto sulla propria pelle e sul proprio corpo, con segni che ogni volta rimangono.

Quanti tentativi? Quale accettazione?

In un percorso intimo e personale, l’Autrice svela e rivela – senza sconti – tutta la fragilità e le paure, le delusioni e la frustrazione, ma al contempo fa emergere anche grande forza e capacità di rinnovarsi e rigenerarsi, pur se nel sofferenza.
Ecco, trovo che la chiave di volta sia proprio qui: nel saper rinascere dalle proprie ceneri, come moderna fenice, nonostante il dolore, nonostante i segni che le mancate gravidanze lasciano nel fisico.
Emma è fenice che attraversa i no, vince il buio e genera sempre nuova luce per non perdersi. E, un passo dopo l’altro, diventa madre di sé e dei suoi sogni e di tutto quanto è in grado di abbracciare, dell’amore che riesce a produrre, a dispetto di tutto. Anche del destino. Nonostante i “nonostante”.

In cerca di te è la fragilità che diventa forza.

Emma porta sulla propria pelle e sul proprio corpo segni che non andranno mai via, cicatrici perenni, eppure lei raccoglie sempre tutti i pezzi sparsi di sé e ne fa nuova creazione. Emma partorisce ogni volta una nuova sé che, a cuore aperto, va verso il mondo e incontro alle infinite possibilità, pur se diverse dal ciò che aveva programmato. Diventa madre di idee, progetti, viaggi, esperienze, spettacoli, libri, storie, indagini, risate, lavori a maglia, feste, testimonianza, presenza, comunità, sorrisi.

Perché leggere In cerca di te di Emma Fenu?

Perché dimostra la forza di sapersi rinnovare, nonostante i segni della vita, custodendo i propri sogni ma riuscendo ad accettare anche che, a volte, sia il destino a tessere i fili della nostra esistenza.
Emma Fenu in questo racconto autobiografico, applica una narrazione che porta il lettore nel flusso di coscienza di un’anima in cammino. La scrittura è impeccabile e la delicatezza poetica innesca una straordinaria sovrapposizione compartecipativa e, dunque, l’empatia scatta immediatamente. Perché Emma Fenu si racconta con coraggio, si espone e parla di sé. E lo fa con parole sue, facendosi guardare.
Lei, anima fatta di cristallo puro.


In cerca di te

di Emma Fenu
PubMe – Collana Gli Scrittori della Porta Accanto
Narrativa non-fiction | Memoir
ISBN 979-1254583982
Cartaceo 9,00€
Ebook 2,99€

Emma, la protagonista di questa storia, affronta con coraggio e sincerità le sfide di un viaggio fatto di attese, esami medici e trattamenti dolorosi. Non si risparmia le lotte emotive legate alla fertilità e all’endometriosi, la pressione sociale sulle donne per generare nuova vita, né i demoni che si frappongono tra lei e il suo sogno di diventare madre.
Tra queste prove, non mancano le dinamiche familiari fatte di momenti commoventi, teneri e drammatici.
In cerca di te è intima esplorazione di sé, racconto di un percorso nella sua interezza e nelle sue sfaccettature più profonde.

«Questa non è la storia della mia vita, ma solo di una parte di essa. Ci sono molti aspetti che in tale percorso di aspirante mamma, possono essere messi in luce: alcuni sono commoventi, altri teneri, altri drammatici, altri ancora decisamente ironici. E io li ho attraversati tutti, nel corso di dieci anni. Ora voglio liberare la mia parte in ombra, quella più fragile, quella che cede al dolore, quella che subito viene messa a tacere dalle altre, per far spazio al sorriso e alla determinazione. Non è la parte più vera di me: è solo la più nascosta.»

Loriana Lucciarini
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